di Alessandra Algostino
Al 4 dicembre mancano ancora pochi giorni, pochi giorni di una campagna durata lunghi mesi: era aprile quando a fianco della raccolta firme si tenevano i primi incontri sul testo Renzi-Boschi. Sono stati mesi intensi, faticosi certo e corredati da una continua, e crescente, tensione, ma sono stati mesi in cui è emersa la ricchezza sparsa nella società. La potenza mediatica e comunicativa del sì, per tacere dei ricatti politici ed economici, è lampante, ma la campagna, condotta dai comitati del no nei territori, attraverso dibattiti, presidi, volantinaggi, ha mostrato la vivacità esistente sul territorio, una vivacità plurale, fatta di tanti pezzi: sedi dell’Anpi, quanto resta dei partiti della sinistra radicale, gruppi attivi nel sociale, comitati per l’acqua pubblica, movimenti a difesa del territorio e dell’ambiente, associazionismo cattolico, centri sociali, qualche segmento dei sindacati.
Ne emerge una società come corpo vivo, non solo: la mobilitazione del tessuto sociale di auto-organizzazione collettiva sul referendum mostra la consapevolezza dell’inserimento della specifica lotta/impegno sociale in una visione alternativa più ampia, nella quale le singole lotte si percepiscono come parte di un contro-progetto rispetto al modello dominante. Una visione in cui la Costituzione rappresenta ancora un punto di riferimento importante. Una lettura utopica? Non credo, certo, la cittadinanza sociale attiva non è un fenomeno di massa, ma può costituire la base per (ri-)costruire una politica, e un soggetto politico, che metta al centro le esigenze di giustizia ed emancipazione sociale.
Da un lato, dunque, un nuovo riconoscimento per la Costituzione, una sua rivitalizzazione; una conferma e una concretizzazione del carattere fondamentale della «partecipazione effettiva» (art. 3, c. 2, Cost.). Ciò, in palese contrasto con una riforma che mira sempre più ad espellere dallo spazio politico il pluralismo e la partecipazione. Non penso solo alle norme sulla democrazia diretta, come quelle che elevano le firme necessarie per una proposta di legge di iniziativa popolare da 50.000 a 150.000 (lasciando immutata la non considerazione delle proposte stesse da parte del parlamento, perché nulla garantisce il rinvio a future e discrezionali regole stabilite dai regolamenti parlamentari [n.d.r.: dalla maggioranza]). Penso all’impianto complessivo di un progetto che, concentrando poteri nell’esecutivo, attraverso il depotenziamento dei possibili contrappesi, marginalizza sempre più le minoranze, mostrando insofferenza per qualsivoglia manifestazione di dissenso e/o di partecipazione che non sia quella di un voto che mira ad individuare una maggioranza (o una minoranza artificialmente resa tale) al cui comitato direttivo – o, meglio, ancora, al suo vertice (il presidente del consiglio) – sono affidate le sorti del Paese per cinque anni.
Dall’altro lato, non si può negare che sia in atto una lotta sulla Costituzione, che rischia di dimidiarne l’essere “patto sociale”: vi sarà una parte che stenterà a riconoscervisi. Facciamo in modo che non sia il corpo vivo della società. Diciamo No ad un modello decisionista strumentale alla competitività escludente della razionalità neoliberista, nel nome della Costituzione, con il suo riconoscimento del conflitto sociale e il suo progetto di emancipazione sociale, di partecipazione e di limitazione del potere.
Fonte: comune-info.net
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