di Pietro Antonuccio
Lo scorso 13 settembre abbiamo dovuto prendere atto con fastidio delle esternazioni dell’ambasciatore USA in Italia, John Phillips, il quale intervenendo ad un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato a Roma all'istituto di studi americani, ha candidamente dichiarato che il No al referendum sulla riforma costituzionale “sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”. Con l’occasione, l’ambasciatore si è spiegato ancora meglio affermando che “l’Italia deve garantire di avere una stabilità di governo” per poter attrarre gli investimenti, attualmente scoraggiati da una realtà politica ritenuta inadeguata: “63 governi in 63 anni non danno garanzie”.
Allo stesso tempo, si è premurato di assicurare che non si trattava di una sua personale iniziativa estemporanea: “Renzi - ha proseguito - ha svolto un compito importante ed è considerato con grandissima stima da Obama, che apprezza la sua leadership”.
E in effetti un mese dopo, il 17 ottobre, Renzi è sbarcato in grande stile a Washington con ricco seguito di uomini d’affari e di spettacolo, per un mega spot pubblicitario organizzato in appoggio alla sua campagna referendaria. Nel pieno di feste, cene, sketch e convenevoli (quintessenza ormai irrinunciabile della politica-spettacolo) non sono mancati gli espressi inviti a votare Sì da parte del Presidente Obama, che ha scandito senza mezzi termini: “Il sì al referendum aiuterà l’Italia. Le riforme sono quelle giuste. Spero che Matteo resti al timone, faccio il tifo per lui”.
Che dire di tutto questo? Che purtroppo è un film già visto troppe volte, con attori diversi ma sempre con lo stesso contenuto.
Per capirne la sostanza, occorre allargare lo sguardo in retrospettiva a partire quantomeno dallo spartiacque rappresentato dalla seconda guerra mondiale e dalla lotta di liberazione dal nazifascismo. Da quella fase storica in cui i fermenti rivoluzionari e di trasformazione sociale innescati dal movimento operaio e dalla Rivoluzione d’Ottobre e contrastati dalla reazione imperialista e nazifascista, lasciavano aperta - a livello planetario - l’alternativa tra un modello sociale capitalista e uno socialista. E l’Italia terra di frontiera sia per la sua collocazione geografica, sia per il forte insediamento di un partito comunista uscito vittorioso e rinnovato dalla stagione della Resistenza.
In questa situazione ancora fluida e contraddittoria si creava lo spazio per i primi governi di unità antifascista e per la stesura di quella avanzata Carta costituzionale che, pur senza rompere la cornice del diritto borghese, vi innestava elementi importanti di ispirazione socialista e di princìpi di giustizia sociale programmaticamente tendenti verso una democrazia di massa.
L’Italia era, infatti, annessa di autorità alla sfera di influenza (neocoloniale) occidentale, generando così quella gabbia invisibile ma molto concreta che passerà sotto il nome di “sovranità limitata”.
Ciò non toglie che nella società italiana e specialmente nel patrimonio storico delle classi subalterne continuassero ad esistere e anche a crescere i fermenti di trasformazione che alimentavano il forte insediamento di un movimento politico e sindacale capace di lotte e rivendicazioni contro il governo di quella che si voleva ridurre all’Azienda Italia.
Di qui l’incessante azione del paese leader dell’economia di mercato per rafforzare in ogni modo il “baluardo italiano contro il comunismo”. A partire dallo storico viaggio di De Gasperi negli USA nel gennaio 1947 e dal successivo piano Marshall avviato subito dopo (sulla base del presupposto della estromissione del PCI dal governo italiano) tutti i 70 anni che ci portano fino ad oggi sono pieni di quelle che, solo con un eufemismo, possiamo definire le “ingerenze USA nella politica italiana”.
Si tratta, infatti, di molto di più; si tratta della lotta (di classe) incessante portata avanti dalla massima potenza capitalista per condizionare ed omologare a se stessa una realtà politico-sociale ritenuta inaffidabile in quanto ancora “inquinata” nei suoi connotati e nella sua composizione da “elementi di socialismo”.
Una lotta portata avanti con ogni mezzo, da quelli del ricatto economico a quelli delle infiltrazioni occulte, fino all’organizzazione di veri e propri poteri militari alternativi (chi non ricorda, tra i tanti buchi neri della nostra storia repubblicana, gli anni dei tentati golpe, delle stragi di stato, di organizzazioni come le logge e Gladio, dei servizi deviati, ecc., in cui la matrice USA ha svolto sempre un chiaro ruolo di orientamento reazionario della politica italiana?).
In questo quadro, che non dobbiamo mai dimenticare, si collocano le odierne “ingerenze” nella campagna referendaria; un fatto per nulla estemporaneo o casuale, ma quanto di più usuale e scontato ci si poteva attendere. Anche perché il passaggio di controriforma della Costituzione che Renzi sta tentando va proprio nella direzione a cui i nostri alleati statunitensi lavorano alacremente presso di noi da settant’anni: svuotare la nostra Costituzione (e possibilmente tutta la nostra vita politica) da tutte le residue incrostazioni di possibili aperture in senso socialista. Rendere il modello politico esclusivamente funzionale al comando dell’impresa capitalistica, abolendo, o riducendo il più possibile, i luoghi istituzionali del dibattito e della rappresentanza di una complessità sociale potenzialmente contraddittoria.
Onestamente, si poteva credere che, di fronte a una così completa realizzazione di quanto auspicato da lungo tempo “oltreoceano”, il governo USA potesse esimersi dall’appoggiare chi, con grande zelo, sta completando l’agognato progetto di “normalizzazione liberale”?
Non fingeremo quindi di essere sorpresi da questa ennesima prova di arroganza. Ne trarremo invece, ancora di più, ragione e forza per rilanciare l’opposizione a questo percorso, sia con il NO che deve subito far fallire questa controriforma, sia con il rilancio in ogni modo delle lotte sociali che devono ridare sostanza e concretezza ad un altro mondo possibile.
Fonte: La Città futura
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