di Geraldina Colotti
Non ha voluto statue, Fidel, né simboli che possano alimentare il culto della personalità. Se avesse potuto, di sicuro avrebbe controllato anche le cronache del suo funerale, misurandone il tono e l’esattezza, la precisione del messaggio. È stato un grande intellettuale e anche un grande giornalista, lo hanno ricordato in molti. Prima e dopo la rivoluzione, ha scritto editoriali e riflessioni e articoli battenti che, quand’era ancora in montagna, hanno fatto da complemento alla guerriglia.
«UN ECCELLENTE giornalista è un grande essere umano», scriveva Ryszard Kapuscinski che di cronache s’intendeva. Fidel Castro è stato l’uno e l’altro: di sicuro per il suo popolo che lo ha accompagnato nell’ultimo viaggio, seguendo la Carovana della libertà al grido di «Yo soy Fidel». Con la vis polemica che lo caratterizzava, se avesse potuto descrivere le sue esequie e quella marea dolente ma ferma che ha scandito il discorso del fratello con lo slogan «Raúl, tranquillo, il popolo è con te», avrebbe ironizzato sul format che dilaga nei grandi media, per imposizione o per autocensura: «dittatore, regime, aperture»… luoghi comuni che filtrano con lenti deformate la vitalità di un’isola tutt’altro che ferma, tutt’altro che rivolta a Miami.
PER GLI 80 ANNI di Fidel Castro, all’Avana è stato pubblicato il libro Fidel periodista. Il giornalista Ernesto Vera – uno dei fondatori del Granma, scomparso a gennaio – racconta che nel II Congresso mondiale sulla comunicazione e il giornalismo che si tenne a Buenos Aires, «un grande giornalista argentino, molto conosciuto e apprezzato» disse davanti a una platea di giovani che il destino di un giornalista conseguente è quello di restare senza lavoro o morire di fame: oppure «smettere di esistere».
DUNQUE, LA MORTE FISICA o quella morale – commenta Vera – «Io stesso – dice – avevo usato espressioni come autocensura di sopravvivenza, ma non ne avevo mai sentita una così cruda». Mendez, fondatore del Partito comunista di Cuba, fu presidente onorario dell’Union de Periodistas de Cuba (Upec) e della Federación Latinoamericana de Periodistas (Felap). Un rivoluzionario della prima ora, che ha partecipato all’edizione e alla distribuzione clandestina dei giornali Revolución e Vanguardia Obrera.
Nel libro, che raccoglie articoli e editoriali di Fidel Castro precedenti la rivoluzione, parla del Fidel periodista, del rigore concettuale e stilistico che insegnava ai «colleghi», delle visite costanti in redazione nei mesi successivi alla rivoluzione, delle difficoltà a reimpostare un sistema informativo rompendo coi modelli del passato.
GIORNALISMO POLITICO, frutto di un’epoca capace di nominare la battaglia delle idee come una delle sfere della lotta di classe, dello scontro di concezioni: senza quartiere nel grande Novecento. Usare i mezzi di comunicazione come «arma per l’educazione del popolo» è stata una costante nella strategia e nella tattica di Fidel Castro. I canali educativi di televisione erano nei suoi programmi fin dal 1959. Lo ha raccontato più volte. Nel pieno del sequestro del bambino conteso con Miami, Elian Gonzalez, creò la «Mesa redonda» per informare e divulgare le idee della rivoluzione. E quella campagna informativa internazionale, che diresse in prima persona, dette i suoi frutti: Elian tornò a casa dal padre, e oggi ha espresso pubblicamente la sua gratitudine a Fidel e al sistema educativo cubano.
UNO DEI PIÙ GRANDI risultati dell’integrazione latinoamericana, guidata da Fidel Castro e Hugo Chavez è stata l’istituzione di Telesur, che ha dato conto dei funerali e il cui segnale è ricevuto in tutta l’America latina: con l’eccezione, adesso, dell’Argentina, perché una delle prime decisioni prese dal liberista Mauricio Macri è stata quella di espellere Telesur e licenziare i giornalisti.
IERI, ACCANTO a Raúl Castro c’era il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro: il socialismo di ieri che ha germinato in nuove sfide: «Quand’eravamo negli anni più bui, chi avrebbe pensato che sarebbe nato un Chavez, eppure è arrivato», ha detto Fidel Castro al funerale dell’ «amigo» venezuelano: per dire che la storia continua, che il cambiamento strutturale avviato nel continente non verrà stroncato dalla nuova offensiva delle destre, concentrata adesso soprattutto contro il paese bolivariano.
NON FINIRANNO i movimenti che accompagnano l’Alba, il Mercosur, la Unasur e che si fanno sentire in tutti i vertici prima ridotti a mero rituale.
Aprendo l’Assemblea continentale dei movimenti dell’Alba, il leader dei Sem Terra, Joao Pedro Stedile, ha analizzato il momento attuale, le sfide che hanno di fronte i movimenti popolari. Il primo obiettivo – ha detto – è quello di costruire in ogni paese piattaforme che mostrino ai nostri popoli come affrontare il capitalismo e l’imperialismo, e anche come costruire il socialismo: costruendo anche propri mezzi di comunicazione di massa. Poi ha reso omaggio a Fidel, che «sempre ha saputo organizzare il popolo».
A FIDEL PIACEVA l’Hemingway di Per chi suona la campana, che riporta ai versi di John Donne: «Nessun uomo è un’isola/ completo in se stesso/ ogni uomo è un pezzo del continente,/ una parte del tutto. Se anche solo una zolla/ venisse lavata via dal mare/, l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio,/ come se venisse a mancare/ una dimora di amici tuoi/, o la tua stessa casa./ La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,/ perché io sono parte dell’umanità./ E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te».
Fonte: Il manifesto
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