di Giorgio Mauri
Mi ritrovo a Roma, nella medioevale Cappella Orsini, un immobile storico, un tempo sede della Venerabile Compagnia dei Cuochi e Pasticceri, fondata nel 1513. Ci sono moltissimi giovani, attendono l’arrivo di Varoufakis per l’incontro ufficiale di DiEM25, organizzato per preparare la manifestazione del prossimo 25 marzo in occasione della Celebrazioni per il 60° anniversario dei Trattati di Roma e per continuare la paziente opera di costruzione di un Movimento Democratico paneuropeo con cui prendere per mano una UE frastornata e strattonata dalla tecnocrazia che sta fallendo tutti gli appuntamenti con i popoli.
In sottofondo pare ci sia la voce di Bob Dylan, grande amico di Mark Knopfler, l’originalissimo chitarrista (lui la chitarra la pizzica, non usa il plettro) e compositore inglese che fondò il complesso dei Dire Straits, letteralmente significa “senza il becco di un quattrino”, proprio come tutti i ragazzi accorsi a difendere il proprio futuro, lottando a mani nude contro una società sempre più distante dalle loro esigenze e in cui la politica è appannaggio soltanto delle lobby.
Il giorno dopo leggo un trafiletto di uno dei pochi giornalisti veri rimasti in circolazione, Alessandro Gilioli, che si presta per dirigere i lavori nella stanza a pianterreno, mentre gli altri sono al piano superiore, e scrive queste parole che vorrei leggessero tutti:
«A me ogni tanto, come è accaduto oggi, capita di andare a qualche assemblea pubblica, di politica, di attivismo.
E allora vedo gente che ci è venuta da fuori, o proprio da altre città lontane, e che ha speso soldi, si è presa un gran freddo e magari un albergo, o una branda da un amico.
Ma è lì, è qui, per parlare, ascoltare, confrontarsi, provarci.
Provarci per l’ennesima volta.
Perché la sete di giustizia è più forte di ogni delusione.
E io, con il mio carico di scettica diffidenza in tutto, che allora mi sento una merda.
E loro, che si sono spesi tempo e denaro prezioso per provarci ancora, che mi sembrano stelle vere, umanità vera di quella che nemmeno Ken Loach.»
L’atmosfera è quella di un piccolo spazio a luci soffuse, caldo, affollato, ma in cui il rispetto la fa da padrone e le note di sottofondo sono ascoltabili distintamente. Siamo in molti, e fa piacere la partecipazione internazionale, con Judith Meyer (Volunteers Coordinator) da Berlino, una giovane ragazza da Madrid, ed altri stranieri che capivano al 100% Varoufakis, che parlava in inglese, senza attendere che venisse tradotto al termine di ogni discorso da un ottimo interprete.
Francesca Fornario e Lorenzo Marsili introducono l’intervento di Yanis. L’accento va su due aspetti attualissimi:
1) il risveglio dei nazionalismi come risposta alle paure indotte dalle politiche di austerity (oggi denominate “crescita”)
2) l’indisponibilità dei tecnocrati europei ad ascoltare e assecondare la volontà dei popoli (Establishment sordo e supino alla finanza) I diciassette milioni di poveri, con un trend in crescita, sono un allarme che non può essere ignorato, pena le perdita della coesione sociale. Quattro paradisi fiscali, uno degli strumenti per l’arricchimento a dismisura dei sempre meno numerosi già ricchi, sono dentro ai confini europei.
Il problema è questa Europa, non l’Europa in sé e tanto meno l’euro. È questa l’idea base di Yanis. Prima di procedere è bene gettare uno sguardo alla attuale organizzazione. Il governo dell’Europa è organizzato, essenzialmente, nel seguente modo:
A) IL CONSIGLIO EUROPEO. È composto dai capi di Stato o di governo — i presidenti e/o i primi ministri — di tutti gli Stati membri
dell’UE, oltre al presidente della Commissione europea. Si riunisce normalmente quattro volte l’anno a Bruxelles. Fissa gli obiettivi
dell’UE, stabilisce il percorso per conseguirli, è il referente per la «politica estera e di sicurezza comune».
B) IL CONSIGLIO DEI MINISTRI. È composto dai ministri provenienti dai governi nazionali dell’UE. Il compito principale del
Consiglio è di approvare gli atti legislativi dell’UE. Il Consiglio e il Parlamento europeo condividono inoltre la responsabilità di adottare il bilancio dell’Unione europea.
Dal 1º novembre 2014, in base al trattato di Lisbona, una decisione verrà adottata se il 55 % degli Stati membri è a favore e se gli stessi rappresentano almeno il 65 % della popolazione dell’Unione europea.
C) IL PARLAMENTO EUROPEO. Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale diretto ogni cinque anni. Il Parlamento europeo esercita la funzione legislativa in base a due procedure:
1) mediante la procedura di «codecisione», (condivide con il Consiglio). Dal trattato di Lisbona, queste aree rappresentano circa il 95 % della legislazione dell’UE;
2) mediante la procedura del «parere conforme», il Parlamento deve ratificare gli accordi internazionali dell’UE (negoziati dalla
Commissione), ivi compreso qualsivoglia nuovo trattato di allargamento dell’Unione.
D) LA COMMISSIONE EUROPEA. La Commissione è l’istituzione chiave dell’UE, da sola ha il diritto di presentare nuove proposte
legislative in ambito UE. I suoi membri, in carica per cinque anni, sono nominati dagli Stati membri. Essa dispone di ampi poteri nella gestione delle politiche comuni dell’UE (ricerca e tecnologia, aiuti internazionali, sviluppo regionale) e ne amministra il bilancio. Si avvale di una struttura amministrativa composta da 44 dipartimenti e servizi con sede principalmente a Bruxelles e Lussemburgo. Esistono anche numerose agenzie, create per svolgere compiti specifici per la Commissione e dislocate principalmente in altre città europee.
Un altro aspetto molto importante è il modo in cui si siede in parlamento. Se non si dispone di almeno 25 parlamentari distribuiti tra almeno 7 stati non si ha nessun diritto, non si può far nulla. Questo produce un effetto poco edificante, con gruppi disomogenei che stanno insieme solo per ragioni strumentali legate alla possibilità di presentare proposte di legge, etc.
Detto questo è chiara l’intuizione di Yanis: non si può aspirare a niente muovendosi tra i confini di un solo stato. L’unico modo in cui
possiamo riuscire a cambiare davvero le politiche europee è di presentarsi con uno schieramento internazionale, il più diffuso e
numeroso possibile, che si sieda nel suo seggio senza essere costretto a alleanze insensate e inutili.
Occorre molto tempo per raggiungere un simile obiettivo ? Certamente sì, quel 25 sta per 2025, cioè sono previsti dieci anni per costruire un movimento con le caratteristiche suddette.
C’è un altro aspetto che va sottolineato. In questo periodo in cui la politica ama nascondersi dietro al paradigma che destra e sinistra non esistono più, la scelta di DiEM25 è di sinistra, ma rifugge quella classica del secolo scorso, che ha dimostrato di non saper raggiungere nessun risultato concreto e di non essere credibile agli occhi dei più (anche per lotte che oramai non avrebbero più nessuna ragione di esistere e che invece i nostalgici continuano a riproporre). Auspica una cosa che dice che non è mai esistita, un accordo tra tutti i democratici, per combattere i nazionalismi. Rassicuriamo Yanis, la cosa è stata fatta e vinse, era “Giustizia e Libertà” fondata nel 1929 a Parigi dell’esule Carlo Rosselli, che ci accompagnò poi fino alla fine della seconda guerra mondiale, annoverando dai comunisti a moderati quali Ugo La Malfa.
L’invito di Varoufakis è di dedicare questi mesi che ci separano dalle Celebrazioni per il 60° anniversario dei Trattati di Roma per individuare concrete proposte per migliorare le politiche europee. Sottolineo con convinzione l’atteggiamento costruttivo di Yanis, che i media hanno presentato alla gente come un bullo mitomane e che invece è uomo intelligente, ragionevole e piacevolissimo (è dotato di una empatia fuori dal comune).
Per esempio sull’immigrazione ha ribadito, con il buon senso di chi conosce bene la storia del mediterraneo, che essa è sempre stata
presente, e pensare di debellarla è insensato. Piuttosto va saputa gestire, in modo da trasformarla in una opportunità a vantaggio di tutti. Un atteggiamento simile a quello dei sindaci delle città ribelli, i bravi De Magistris (Napoli) e Ada Colau (Barcellona).
Sulla indigenza sempre più diffusa anche Varoufalis è dell’idea di un salario di cittadinanza, come i 5 stelle.
Sui paradisi fiscali il discorso è aperto, ma non ci sono soluzioni fino a quando ne esisteranno altri nel mondo. Come disse Obama a un G8 occorre una lotta ai paradisi fiscali a 360°, ma ovviamente non ha mai fatto nulla.
Sulla banche la situazione è molto complessa, non può essere gestita dai singoli paesi. Alla fine dell’incontro gli ho chiesto, in disparte, se è pensabile che si possa vincere questa battaglia continuando a operare con sole banche private. Mi ha risposto che secondo lui occorre che esse vengano affiancate e dirette da grandissime banche pubbliche. In medio stat virtus, ne sono convinto.
Perché questo appuntamento a Roma per il 25 marzo ? una ragione è proprio data dal fatto che l’Italia è il test perfetto per verificare questo governo europeo, essendo il paese in cui sono presenti tutte le componenti, dall’immigrazione alle banche, dalla crisi manifatturiera alla fiscalità succube del debito pubblico, dall’austerity impietosa (praticata da Monti) alla mancata ripresa economica.
L’assemblea si è poi dedicata ad affrontare gli aspetti organizzativi e le tematiche per il 25 marzo, data in cui verrà a Roma anche Noam Chomsky.
C’è stata una presa di coscienza e questi mesi saranno spesi anche per affinare l’attuale organizzazione e renderla più efficace, al fine di favorire la diffusione di una idea (quella di DiEM25) un pò troppo lontana dalla gente.
Per il 25 Marzo uno degli argomenti di lotta potrebbe essere quello di recuperare parte della democrazia persa, dando al parlamento europeo molto più potere di quanto ne abbia oggi e creando un governo selezionato tra i suoi componenti che sostituisca una Commissione Europea oggi composta da soli tecnocrati.
Fonte: alganews
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