Intervista a Roberto Finelli di Roberto Ciccarelli
Un’utopia postcapitalista e postcomunista è alla base del ripensamento radicale del pensiero marxiano condotto da Roberto Finelli. Il filosofo romano propone una doppia strategia: da un lato, sganciare Marx, e il marxismo, dall’«antropologia della penuria» che vede la ricchezza nell’accumulo di beni e servizi legati al soddisfacimento di bisogni solo materiali e a un’autorappresentazione ancestrale e primitiva di sé; dall’altro lato, considerare il comunismo come un nuovo rapporto tra l’autonomia dei singoli e l’autorealizzazione dell’altro. La sua riflessione ha raccolto l’eredità della critica dell’autoritarismo e del pensiero della differenza e dialoga con un’originale lettura psicoanalitica del concetto di libertà e un materialismo spinozista fondato sul nesso corpo-mente.
In questa prospettiva qual è l’eredità della rivoluzione sovietica?
"Al di là dell’ovvia constatazione dell’enorme importanza storica di questo primo tentativo di realizzare il comunismo, tutta l’esperienza sovietica, nelle sue diverse fasi, si è strutturata su un’antropologia monocolturale dell’eguaglianza. Valore assolutamente legittimo, ovviamente, anche a partire dall’antropologia della penuria e della miseria storico-sociale di quei tempi, ma che risentiva di una definizione di questo valore evidentemente troppo riduttiva e unilaterale. E anche tale da giustificare una gestione autoritaria e totalitaria, con qualsiasi mezzo possibile, della realizzazione e distribuzione dell’eguaglianza, intesa anch’essa come valore totalitario. Questa considerazione ci permette di ritornare sui limiti dell’antropologia dello stesso Marx che, oltre a essere il grande scienziato del capitale, ancora oggi indispensabile e insuperato per la lettura del presente, ci ha però offerto un’antropologia che si è confrontata molto poco con le tematiche dell’individuazione, delle differenze, e del riconoscimento, presenti invece diffusamente nella filosofia hegeliana. La rivoluzione è stata un’occasione mancata, io credo, di fecondare il valore della socializzazione con quello dell’individuazione. Da qui si deve ripartire per ripensare il presente."
Con quali strumenti?
"La rivoluzione sovietica è stata il primo tentativo di realizzare una nuova antropologia, fallito oltre che per la reazione esterna per i limiti della sua gerarchia di valori. Oggi sono necessari nuovi esperimenti con un’antropologia fondata sulla pienezza e sull’intreccio di due assi relazionali: quello orizzontale della relazione con gli altri e quello verticale della relazione con il proprio sé. Una ripresa dell’utopia concreta potrebbe permettere di concepire e praticare istituti della socializzazione che siano contemporaneamente istituti del riconoscimento."
Quali sono?
"Potrebbero essere luoghi di produzione di beni materiali e culturali a doppia matrice: processi produttivi che, mentre lavorano l’oggetto e il mondo esterno, contemporaneamente lavorano il soggetto. Ossia, in altri termini, luoghi di produzione con una duplice valenza ecologica: produzione di beni che non entrino in contraddizione con il genere umano e contemporaneamente secondo modalità produttive che non entrino in contraddizione con la realizzazione emozionale e psichica del proprio sé."
È d’accordo nel definire questo progetto di politica comunista in termini di un nuovo umanesimo? Una categoria complessa da usare oggi, non trova?
"Sì, ne sono consapevole, ma non rinuncio a questa categoria. Facciamo un caso concreto. Ad esempio la scuola. Si potrebbe lanciare in Italia la proposta utopica di un’estensione dell’obbligo scolastico a 18 anni, di un rifiuto di qualsiasi connessione tra processo educativo e processo lavorativo, con la generalizzazione obbligatorio di un liceo unico di alta qualità a tutta la popolazione scolastica: un liceo classico/scientifico organizzato sulla comunità del gruppo classe, cioè di una collettività di studenti, in relazione ma autonoma con la classe docente, e che, nel mentre realizza il percorso di un’educazione comune, pratica attraverso l’amicizia ( la philia) la formazione di un collettivo capace di accogliere e lasciar essere le differenze emozionali e di crescita dei propri membri. Penso che un nuovo umanesimo si possa coniugare solo a partire da un nuovo materialismo che per me significa partire dal corpo rispetto a una mente che freudianamente segue sempre il corpo e che viene sempre dopo il corpo. Perché è nel corpo emozionale di ciascuno di noi che si iscrive la nostra individualità e la sua irripetibilità rispetto a tutti gli altri: in un corpo che è deposito genetico della storia familiare, sociale, culturale che ci ha generato e che è in pari tempo il fondo del nostro futuro, in quanto il luogo emozionale-biologico che con il suo sentire dirige la nostra vita, anche quella logico-mentale e linguistico-comunicativa. Senza riconoscere nel corpo biologico ed emozionale di ognuno la fonte materialistica del senso e di ogni etica dei valori, come ben aveva inteso Spinoza, non c’è rinascita possibile né di materialismo né di comunismo."
Tentativi in questa prospettiva sono stati fatti dai movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta ai quali ha dedicato spazio nei suoi libri. Cosa ha funzionato e cosa no?
"Allora non c’è stata una sufficiente mediazione tra la cultura dell’uguaglianza e quella dell’individuazione e della differenza. La repressione della cultura tradizionale e monocorde dell’uguaglianza è stata così violenta che, a mio avviso, ha condotto all’estremizzazione la cultura spinoziana del desiderio e dell’individuazione, per cui non si è riusciti a praticare la mediazione di quei due assi, orizzontale e verticale di cui parlavo."
Come riprendere questa strada?
"Solo praticando un percorso di esperienze in gruppi diffusi che rifuggano dal praticare dentro di sé lo schema dell’amico e del nemico e riescano a praticare il lasciar essere delle differenze, unificate però da obbiettivi comuni. Altra strada non vedo perché ogni politica della rappresentanza diventa rappresentanza alienata e abbandonata al teatro della rappresentazione. Del resto credo che oggi sia necessario partire dalla constatazione di «soggettività povera», in termini di massa, una soggettività svuotata dai processi accumulativi della ricchezza astratta del capitale, ma che nello stesso tempo viene mistificata a sé medesima nel suo apparire come soggettività approfondita e ricca di relazioni e informazioni."
Come si fa a boicottare questa soggettività e iniziare un nuovo percorso di soggettivazione?
"È indispensabile ripartire dal mondo della scuola, dell’istruzione e della conoscenza. Sono stati l’oggetto della più grande devastazione compiuta dalla classe dirigente del Pci per transitare da classe di opposizione a ceto di governo. Oggi tutta la formazione scolastica è il luogo di un genocidio della nostra gioventù. Sarebbe necessario contrastare questo svuotamento dei cervelli che crea solo forza-lavoro abile e ubbidiente ai programmi e alle schede di lavoro depositate nelle macchine e nella tecnologia informatica. E dunque riorganizzare l’intera filiera dell’educazione. A cominciare da un anno sabbatico di assegnare ai docenti della scuola primaria e secondaria ogni cinque anni d’insegnamento nella classi e da trascorrere con un serio percorso di aggiornamento e di studio presso istituti di cultura e in primo luogo le università. Giacché questo implicherebbe una riorganizzazione profonda anche della docenza e della ricerca universitaria, oggi soprattutto nelle facoltà umanistiche sprofondata in un autoriferimento e in una specializzazione, assai più spesso filologica che non filosofica, e del tutto incapace perciò di proporre visioni d’insieme e sistemi complessivi di cultura e di civiltà."
Che ruolo occupa la conoscenza in questo progetto neo-comunista?
"La conoscenza è ovviamente fondamentale, purché conoscenza significhi non solo società del «conoscere», ma anche società del «riconoscere». O meglio società del «riconoscersi» come possibilità per ogni individuo di entrare con il minor grado di censura possibile in comunicazione con se stessi. Bisogna coniugare un nuovo umanesimo, una nuova filosofia politica, che accolga dentro di sé la complicazione psicoanalitica dei concetti di società e di libertà, per la quale libertà e società designano non più solo un ordine esteriore ma rimandano anche a un ordine interiore, riferito a quell’individuo formato da mille individui, quale ciascuno di noi è. Credo insomma che sia necessario, per la lotta politica e sociale, accedere a un ideale più ricco di libertà per il quale la libertà non è più solo la libertà liberale come libertà da, o la libertà comunista intesa come libertà di, ma libertà come affrancamento dalla paura di rimanere soli con se stessi. E quindi libertà anche, e direi soprattutto, come libertà di accedere senza terrorismi al proprio sentire. Insomma società della conoscenza, ma solo se integrata da una società del sentire, perché il conoscere non è il sentire. A me sembra che oggi la capacità di sentirsi ed emozionarsi, in questo mondo formato da un’immane raccolta di merci, sia divenuta la merce più rara, quando addirittura introvabile."
Fonte: Il manifesto
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