di Ivan Cavicchi
Il sindacato è una libera associazione su base volontaria, fondata sull’accordo degli associati per la tutela dei loro legittimi interessi. Un ente pubblico (genericamente inteso) è invece una istituzione con una propria personalità giuridica delegata dallo Stato a svolgere una certa funzione pubblica per il perseguimento di un certo interesse pubblico. Cosa succede quando il sindacato controlla dirige e occupa un ente pubblico? Succede un corto circuito: l’interesse privato prende il posto di quello pubblico privando lo Stato quindi la società di una funzione importante per i soggetti verso i quali tale funzione è esercitata, che perdono automaticamente una tutela.
E’ quanto succede nel caso soprattutto degli ordini medici ma anche in molti casi dei collegi infermieristici. Soprattutto nei primi è il sindacato che designa direttamente presidenti e consiglieri ad ogni livello dell’istituzione con il risultato che presidenti e consiglieri di un ente pubblico (ordini e collegi) rispondono in tutto e per tutto al sindacato che li nomina. Nel caso in cui questa rispondenza pansindacale non fosse assicurata presidenti e consiglieri saranno destituiti dai loro incarichi o comunque resi innominabili. Questo avviene sia a livello nazionale che locale.
Per comprendere il corto circuito mi limiterò a descrivere due situazioni. Una in alto e una in basso. Quella in alto ha a che fare addirittura con l’art 32 cioè con il razionale alla base dell’ordinistica pubblica. Se un medico fa il proprio dovere il diritto del malato di essere curato bene è garantito. Quindi deontologia quale garanzia per i diritti dei cittadini. Ma se il dovere professionale è per tante ragioni (dirette e indirette) violato anche per interessi sindacali allora è possibile che il dovere professionale entri in conflitto con il diritto del malato. Ebbene oggi alla base della “questione professionale” cioè del declino inarrestabile delle principali professioni di cura, vi è esattamente questo conflitto tra doveri e diritti, con diverse forme, determinato certo da cause esterne alla professione (definanziamento, restrizione della autonomia professionale, burocratizzazione, conflitti tra professioni ,cambiamenti sociali e culturali ecc) ma soprattutto da cause interne tutte riconducibili in un modo o nell’altro alle incapacità degli enti ordinistici a far fronte alla crisi delle professioni che rappresentano.
Quella in basso è una situazione comune che in genere vede i sindacati medici (in particolare la Fimmg) fare certi accordi con le regioni che spesso contraddicono le funzioni deontologiche degli ordini. In alcune regioni ad esempio si stanno facendo accordi con i sindacati per affidare ai medici di base in cambio di compensi, molte funzioni burocratiche che nel loro complesso non sono esattamente degli atti medici e che impoveriscono ancor di più una professione già sovraccaricata di burocrazia. In questi casi i dirigenti degli ordini se vogliono mantenere il posto dovranno astenersi dal difendere l’integrità della professione che rappresentano.
Alla Camera è in atto una audizione sul disegno di legge per il riordino degli ordini scritto da due ex presidenti di ordini e di collegi oggi senatori del Pd (il senatore Bianco e la senatrice Silvestro).
La proposta con l’appoggio formale sia della Fnomceo che dell’Ipasvi(medici e infermieri) è una sorta di “legge truffa” con la quale anziché garantire autonomia degli ordini dai sindacati, trasparenza nella gestione delle risorse, incompatibilità degli incarichi e una deontologia moderna al servizio delle professioni e dei cittadini, i nostri ex presidenti senatori, provano a fare il colpo di mano cioè sempre a sistema ordinistico invariante provano a trasformare gli ordini da enti ausiliari a enti sussidiari cioè enti che amministrano per conto dello Stato delle funzioni pubbliche.
Una legge semplicemente da respingere.
Fonte: Il manifesto
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