di Attilio Pasetto
L’1 gennaio 2017 è morto Sir Anthony Barnes Atkinson, un grande economista britannico che ha dedicato tutta una vita agli studi sulla disuguaglianza e la povertà. E’ stato il maestro del più giovane e più noto Thomas Piketty e avrebbe meritato il Premio Nobel per il rigore delle sue analisi e l’impegno a portare avanti soluzioni costruttive ai problemi del nostro sistema economico-sociale. Era anche un convinto sostenitore dell’Europa, pur non lesinando critiche alle politiche intraprese dalla Comunità e da molti Stati membri. Il suo libro pubblicato a fine 2015, Disuguaglianza. Che cosa si può fare? (Raffaello Cortina Editore) rappresenta il coronamento dei suoi numerosi studi, iniziati nel 1970, e il suo lascito intellettuale.
In questo libro Atkinson inserisce il problema della disuguaglianza all’interno di un sistema coerente di principi di giustizia. Un aspetto quest’ultimo quasi sempre trascurato dagli economisti, con l’unica importante eccezione di Amartya Sen, che trattano la disuguaglianza di reddito senza considerare il sistema di valori che ci sta dietro. E’ molto diverso infatti affrontare il tema della disuguaglianza avendo alle spalle un’idea di giustizia fondata sull’utilitarismo o un’idea di giustizia fondata sui principi liberaldemocratici di John Rawls oppure sul concetto di libertà sostanziale di Sen oppure ancora sul comunitarismo, che identifica la giustizia con il bene comune. Atkinson, di simpatie socialdemocratiche, si sente abbastanza vicino in questo alla posizione di Sen, considerando fondamentali sia la gamma delle opportunità di partenza a disposizione degli individui sia gli esiti finali ottenuti in termini di uguaglianza.
Il tema di fondo della sua analisi, che si fonda sempre su una base di dati ampia e qualitativamente molto valida, è che non si può affrontare il problema della disuguaglianza semplicemente correggendo le storture del sistema attuale, intervenendo cioè a valle con qualche misura di redistribuzione. Occorre invece intervenire a monte, costruendo un sistema che non produca disuguaglianze, o ne produca il meno possibile. “L’elevato livello di disuguaglianza di oggi può essere ridotto efficacemente solo affrontando la disuguaglianza nel mercato.” Bisogna quindi partire dalle forze economiche che determinano i redditi da lavoro e da capitale, capire come si formano le disuguaglianze nei diversi mercati e orientare le forze economiche per costruire una società più giusta. In questo tipo di analisi è sbagliato partire con impostazioni a priori, pensando che fenomeni come la globalizzazione o il progresso tecnologico basato sulla robotizzazione siano ineluttabili e non si possa fare niente per correggerne gli aspetti negativi.
Atkinson quindi formula quindici proposte volte a ridurre la disuguaglianza crescente nel mondo. La prima proposta riguarda proprio l’innovazione, sia dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica sia da quello sociale: “La direzione del cambiamento tecnologico deve essere una preoccupazione esplicita della politica; va incoraggiata l’innovazione che aumenta l’occupazione, mettendo in rilievo la dimensione umana della fornitura di servizi.”
Segue una proposta di policy ad ampio raggio, diretta a riequilibrare il potere del mercato e a far sì che le politiche governative nei vari settori non trascurino, tra le finalità, anche quella dell’uguaglianza: “La politica pubblica deve mirare a un equilibrio appropriato di poteri fra gli stakeholder, e a questo fine deve (a) introdurre una dimensione distributiva esplicita nelle regole della concorrenza, (b) garantire un quadro giuridico di riferimento che consenta ai sindacati di rappresentare i lavoratori a pari diritti e (c) formare, ove già non esista, un Consiglio sociale ed economico, che coinvolga le parti sociali e altri organismi non governativi” (in pratica, il nostro Cnel).
La terza e la quarta proposta riguardano l’occupazione e le retribuzioni:
· » Il governo deve adottare un obiettivo esplicito per prevenire e ridurre la disoccupazione e deve sostenere tale obiettivo offrendo un impiego pubblico garantito a salario minimo a quanti lo cercano.
· » Deve esistere una politica salariale nazionale, fondata su due elementi: un salario minimo legale fissato a livello di salario vitale e un codice di buone pratiche per le retribuzioni al di sopra del minimo, concordato nell’ambito di una “conversazione nazionale” che coinvolga il Consiglio sociale ed economico (ossia, nell’esperienza italiana, la concertazione con il coinvolgimento del Cnel).
La quinta, la sesta e la settima proposta mirano a favorire la condivisione del fattore capitale attraverso la partecipazione di tutti i cittadini ai mercati finanziari e il ruolo dello Stato imprenditore:» Il governo deve offrire, attraverso buoni di risparmio nazionali, un tasso d’interesse reale positivo garantito sui risparmi, prevedendo un tetto massimo per persona.
· » Deve esistere una dotazione di capitale (eredità minima) assegnata a tutti all’ingresso nell’età adulta.
· » Deve venire creata una Autorità di investimento pubblica, che gestisca un fondo patrimoniale sovrano al fine di accrescere il patrimonio netto dello Stato con investimenti in aziende e proprietà immobiliari.
Seguono alcune proposte – dall’ottava alla dodicesima - che si inseriscono nel classico solco della politica fiscale redistributiva a favore delle classi sociali più sfavorite:
· » Dobbiamo tornare a una struttura di aliquote più progressiva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali crescenti fino a un’aliquota massima del 65% e con l’allargamento della base imponibile.
· » Il governo deve introdurre nell’imposta sui redditi delle persone fisiche “uno sconto sui redditi da lavoro”, limitato alle retribuzioni più basse.
· » Eredità e donazioni inter vivos devono essere soggette a un’imposta progressiva sugli introiti da capitale nell’arco della vita.
· » Deve esistere un’imposta proporzionale, o progressiva, sugli immobili, basata su una valutazione catastale aggiornata.
· » Deve essere pagato un assegno familiare per tutti i figli, in misura sostanziale, che vada soggetto a imposta come reddito.
La tredicesima e la quattordicesima misura hanno come obiettivo l’inclusione sociale attraverso o l’adozione di un reddito di partecipazione oppure il rinnovamento del welfare: “Deve essere introdotto a livello nazionale un reddito di partecipazione, a complemento della protezione sociale esistente, con la prospettiva di un reddito di base per i figli a livello di Unione Europea. In alternativa “deve darsi un rinnovamento della previdenza sociale, con un innalzamento del livello dei benefici e un’estensione della sua copertura.” L’ultima proposta riguarda il sostegno ai Paesi in via di sviluppo: “I Paesi ricchi devono innalzare il loro obiettivo per l’assistenza ufficiale allo sviluppo, portandolo all’1% del PIL.”
Atkinson nelle conclusioni del libro sottolinea la complementarità e l’audacia delle sue proposte, che naturalmente meritano di essere discusse attraverso un ampio dibattito pubblico. Leggendo queste misure con gli occhiali della recente storia italiana, si vede come alcune di esse sono state seguite per un certo periodo di tempo anche da noi e sono state poi abbandonate. Oggi quasi nessuno parla più di rilanciare la concertazione, il ruolo del Cnel, che si voleva sopprimere, e l’intervento diretto dello Stato nell’economia. Non è detto però che Atkinson non abbia ragione.
Altre proposte, come quelle in tema di progresso tecnologico, di reddito di partecipazione, di condivisione del capitale, di politica della concorrenza, sono decisamente innovative. Messe assieme a quelle più classiche, riguardanti gli interventi sulla redistribuzione dei redditi, formano un corpo unitario ed equilibrato, in grado di affrontare con fiducia, in un’ottica autenticamente riformistica le sfide lanciate dall’attuale capitalismo rampante.
Fonte: Eguaglianza e Libertà
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