di Conn Hallinan
Quando il presidente dell’Unione Europea, Jean-Claude Juncker, si è rivolto al Parlamento Europeo a Strasburgo lo scorso settembre, ha affermato che l’organizzazione stava affrontando una “crisi esistenziale” e “governi nazionali molto indeboliti dalle forze del populismo e paralizzati dal rischio di sconfitta alle elezioni successive”. In effetti è stato un anno brutto per l’enorme blocco commerciale: · La “Brexit”, cioè il voto del Regno Unito per ritirarsi. · Il referendum di Roma per modificare la Costituzione del paese è stato stracciato e numerose banche italiane sono in gravi difficoltà. · Le politiche d’austerità della UE hanno mantenuto anemica o sommersa la maggior parte delle economie dei suoi membri. Persino i paesi che hanno mostrato una crescita, come Irlanda e Spagna, devono ancora tornare ai livelli in cui si trovavano prima del crollo economico del 2008.
Tra il 2007 e il 2016 il potere d’acquisto è sceso dell’8 per cento in Spagna e dell’11 per cento in Italia.
Tra il 2007 e il 2016 il potere d’acquisto è sceso dell’8 per cento in Spagna e dell’11 per cento in Italia.
E’ anche vero che numerosi governi nazionali – in particolare quelli di Germania e Francia – si stanno guardando nervosamente alle spalle ai partiti alla loro destra.
Ma la crisi della UE non nasce dal “populismo”, un termine che molte volte oscura più di quanto non riveli, facendo un unico mazzo di partiti neofascisti, come il Fronte Nazionale francese e la tedesca Alternativa per la Germania, e di partiti di sinistra, come lo spagnolo Podemos. Il populismo, nell’uso del termine da parte di Juncker, ha un sentore vagamente atavico: villici con torce e forconi che assaltano le cittadelle della civilizzazione.
Ma i barbari alle porte della UE non emergono semplicemente dalle scure foreste dell’Europa come i Goti e i Vandali del passato. Sono stati cresciuti dal modo profondamente errato con cui l’Europa è stata creata, tanto per cominciare; errori che non si sono rivelati fino a quando una crisi economica non ha occupato il centro della scena.
Che la crisi sia esistenziale, ci sono pochi dubbi. In effetti è molto probabile che la UE non esisterà nella sua forma attuale tra un decennio, e forse anche molto prima. Ma le soluzioni di Juncker comprendono un modesto programma di spesa mirato alle imprese, legami militari più stretti tra i 28 – presto 27 – membri dell’organizzazione e la creazione di un “Corpo Europeo di Solidarietà” composto da giovani volontari per aiutare in caso di disastri, come i terremoti. Ma non c’è nulla per affrontare l’orrendo tasso di disoccupazione tra i giovani europei. In breve una risistemazione delle sedie sul ponte del Titanic mentre il ghiaccio si staglia a tribordo.
Ma quello che si deve fare non è evidente, né lo è come mettere mano a riformare o smantellare un’organizzazione che attualmente produce un terzo della ricchezza del mondo. La complessità del compito ha invischiato la sinistra europea in un acceso dibattito, l’esito del quale dovrà spingersi molto in là nello stabilire se la UE – oggi una casa divisa tra paesi ricchi e paesi devastati dal debito – può sopravvivere.
Non è che la sinistra europea sia forte, ma è l’unico protagonista con una strategia possibile per spezzare il circolo del debito e della bassa crescita. La politica del razzismo, dell’odio nei confronti degli immigrati e del nazionalismo reazionario sposata dal Fronte Nazionale, da Alternativa per la Germania, dall’Alba Dorata greca, dal Partito del Popolo danese e dal Partito della Libertà austriaco non genererà crescita economica, non più di quanto Donald Trump riporterà posti di lavoro per i metalmeccanici e i minatori statunitensi e renderà “di nuovo grande l’America”.
In realtà se il Partito dell’Alternativa per la Germania, contrario agli immigrati, avrà successo il paese si troverà in grossi guai. Le morti tedesche attualmente superano le nascite per 200.000 unità l’anno, un dato che sta accelerando. Secondo l’Istituto per la Popolazione e lo Sviluppo, per avere un numero sufficiente di popolazione in età da lavoro che possa sostenere un sistema pensionistico stabile, il paese avrà bisogno di un afflusso di 500.000 immigrati l’anno per i prossimi 35 anni.
Molti altri paesi europei stanno sulla stessa barca.
Ci sono molte correnti nella sinistra europea, che spaziano da quelle che sollecitano un’uscita totale, o “Lexit”, a quelle a favore di riforme che democratizzino l’organizzazione.
Esiste certamente un deficit di democrazia nella UE. Il Parlamento Europeo ha scarso potere, con la maggior parte delle decisioni chiave assunte dalla “troika” non eletta: il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea. Le rigide politiche della troika sul debito determinano la perdita di capacità dei membri di gestire le proprie economie o di contrastare il mantra che il debito richiede austerità, anche se tale formula si è chiaramente dimostrata un fallimento.
Come indicano gli economisti Markus Brunnermeier, Harold James e Jean-Pierre Landau nel loro libro “L’euro e la battaglia delle idee”, la crescita è impossibile quando consumatori, imprese e governi smettono tutti di spendere. Il solo risultato di tale formula è miseria e altro debito. Persino il FMI ha cominciato a mettere in discussione l’austerità.
Ma un po’ più di democrazia risolverebbe davvero questo problema?
Il Premio Nobel Joseph Stiglitz, da lungo tempo critico dell’austerità, sostiene che anche se la UE ha realmente bisogno di essere democratizzata, un grosso problema è la moneta comune. L’euro è usato da 19 dei 28 membri della UE che costituiscono l’eurozona.
Stiglitz sostiene che l’euro ha bloccato tutti nel modello economico tedesco di bassi salari accoppiati a una forte economia di esportazione. Ma un modello unico non è adatto a tutti e quando la crisi economica ha colpito nel 2008 ciò è divenuto dolorosamente evidente. I membri della UE che usavano la moneta comune non sono stati in grado di svalutare la loro moneta, una strategia economica standard per fare i conti con il debito.
Inoltre non c’è alcun modo per trasferire la ricchezza in seno alla UE, diversamente dagli Stati Uniti. Economie forti come quello dello stato della California o di New York hanno a lungo pagato il conto di stati come la Louisiana e il Mississippi. Come segnala Stiglitz “l’assenza di una politica fiscale condivisa” nella UE ha reso “impossibile trasferire ricchezza (attraverso il gettito fiscale) dai paesi più ricchi a quelli più poveri, determinando una crescente disuguaglianza tra il centro e la periferia dell’Europa”.
Stiglitz propone una serie di riforme, tra cui di stimolo economico, che creino un euro “flessibile” e rimuovano la rigida prescrizione che nessun paese possa avere un deficit superiore al 3 per cento del PIL.
L’ex ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis, tuttavia, sostiene che l’Unione “non sta soffrendo di un deficit di democrazia che possa essere corretto con ‘un po’ di democrazia in più’ e qualche riforma qua e là”. La UE, egli afferma, “è stata costruita intenzionalmente come una zona di interdizione alla democrazia” per escludere le persone dal processo decisionale e dare il potere alle imprese e alla finanza.
La macchina è così malmessa che andrebbe smantellata? Questa è l’opinione dello scrittore e giornalista anglo-pachistano Tariq Ali e del lettore di politica del King’s College Stathis Kouvelakis, che hanno entrambi appoggiato la Brexit e stanno sollecitando una campagna perché si tengano referendum simili in altri paesi membri della UE.
Ma poichè tale posizione è già occupata dalla destra xenofoba come fa la sinistra a sostenere la Lexit senza mischiarsi con i neonazisti razzisti? Varoufakis, un membro di spicco della formazione di sinistra DiEM25, chiede se “una tale campagna è coerente con i fondamentali principi di sinistra” dell’internazionalismo.
Egli sostiene anche che una Lexit distruggerebbe la politica ambientale comune della UE e il libero movimento dei suoi membri, cose entrambe che trovano forte sostegno tra i giovani.
Ripristinare i confini e le barriere è davvero ciò per cui si schiera la sinistra e la rinazionalizzazione dell’industria dei combustibili fossili non consegnerebbe semplicemente le politiche ambientali ai giganti multinazionali dell’energia? “Sotto la bandiera della Lexit, secondo me”, dice Varoufakis, “la sinistra si sta dirigendo a sconfitte mentali su entrambi i fronti”.
Il DiEM25 propone una terza via per contrastare le politiche disastrose della UE, evitando contemporaneamente un ritorno ai confini e alle politiche ambientali di “ciascun paese per conto suo”. Quello che è necessario, secondo Varoufakis, è “un movimento pan-europeo di disobbedienza civile e contro il governo” per creare una “opposizione democratica al modo in cui le élite europee conducono le cose a livello locale, nazionale e UE”.
L’idea consiste nell’evitare il genere di trappola in cui si è trovato il partito greco di sinistra Syriza: candidarsi contro l’austerità solo per trovarsi a istituire le stesse politiche contro cui si è candidato.
Ciò che DiEM25 propone è semplicemente rifiutare di istituire le regole di austerità della UE, una strategia che funzionerà solo che la resistenza avrà dimensioni UE. Quando la Grecia ha tentato di opporsi alla troika, la Banca Centrale Europea ha minacciato di distruggere l’economia del paese e Syriza si è piegata. Ma se la resistenza sarà diffusa abbastanza, non sarà così facile fare lo stesso. In ogni caso, egli dice, “la spirale debito-deflazione che spinge masse di europei alla disperazione e li sottopone alla maledizione del fanatismo” non è accettabile.
DiEM25 propone anche un reddito universale di base, una proposta che è appoggiata dal 64 per cento dei membri della UE.
La sinistra portoghese ha avuto il maggiore successo nel cercare di ridurre le misure di austerità che hanno causato una diffusa miseria in tutto il paese. Il Partito Socialista, di centrosinistra, ha formato un’alleanza con il Blocco della Sinistra e l’Alleanza Comunisti/Verdi ha messo da parte le differenze e i salari del settore pubblico e le pensioni statali sono stati ripristinati a livelli pre-crisi. L’economia è cresciuta solo dell’1,2 per cento nel 2016 (leggermente meno che nella UE nel suo complesso) ma è stato sufficiente per far scendere la disoccupazione dal 12,6 al 10 per cento. Anche il deficit è diminuito.
Il Podemos spagnolo e Jeremy Corbyn del Partito Laburista britannico hanno salutato la coalizione portoghese di sinistra come un modello per un’alleanza anti-austerità in tutto il continente.
Il debito è l’elefante nel soggiorno. La maggior parte del debito di paesi come Spagna, Portogallo e Irlanda non è stata la conseguenza di comportamenti scialacquatori. Tutti e tre i paesi avevano bilanci positivi fino a quando è scoppiata nel 2008 la bolla del settore immobiliare pompata da speculatori e banche, e i contribuenti hanno raccolto i pezzi. I “salvataggi” della troika sono stati accompagnati da onerose misure d’austerità, e la maggior parte dei fonti è finita direttamente nelle banche che avevano scatenato all’inizio la crisi.
Ai paesi piccoli o sottosviluppati sarà impossibile rimborsare quei debiti. Quando la Germania si è trovata in una posizione simile dopo la seconda guerra mondiale, altri paesi hanno accettato di tagliare il debito a metà, di ridurre i tassi d’interesse e di allungare i pagamenti. La Conferenza di Londra sul Debito del 1952 determinò un boom industriale che trasformò la Germania nella maggiore economia dell’Europa. Non è poca l’ironia del fatto che l’attuale governo di Berlino stia insistendo nell’applicare a paesi devastati dal debito politiche economiche che avrebbero strangolato la ripresa postbellica della Germania se non fossero state modificate.
Può darsi che la UE non si possa riformare, ma sembra presto per concludere ciò. Comunque la proposta di DiEM25 di praticare una disobbedienza civile a livello dell’unione non è stata concretamente messa alla prova e certamente ha del potenziale come strumento organizzativo. E’ già stata messa in atto in numerose città “ribelli”, come Barcellona, Napoli, Berlino, Bristol, Cracovia, Varsavia e Porto, dove sindaci e consigli comunali locali si rifiutano di piegarsi e contrattaccano.
Perché ciò abbia successo in tutta la UE, tuttavia, la sinistra dovrà accantonare alcune delle dispute che la dividono e rivolgersi a nuove basi. Se non lo farà la destra ha una narrazione pericolosa in agguato.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Dispatches from the Edge
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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