La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 21 gennaio 2017

Malcolm X dall'Islam all'anticapitalismo

di Tommaso Baris 
Manning Marable, scomparso prematuramente nel 2011, è stato uno dei maggiori storici di colore del movimento nero negli Stati Uniti. Nato nel 1950 si era formato nel corso degli anni Settanta, avendo tra gli altri come testo di riferimento, come lui stesso ha raccontato, proprio l’Autobiografia di Malcom X uscita dopo la morte dell’attivista nero. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca nel 1976, ha insegnato in varie università statunitensi, fondando nel 1993 l’Institute for Research in African-American Studies presso la Columbia University, dopo essere stato direttore del dipartimento di Black Studies dell’Università del Colorado[1].
In questo quadro di forte attenzione alla storia degli afro-americani negli Usa è maturato il suo interesse nei confronti di Malcom X, i cui testi aveva spesso adottato nei suoi numerosi corsi universitari. Proprio la lunga frequentazione con gli scritti e con la già citata Autobiografia l’ha portato ad una lunga (e collettiva) ricerca su quello che è stato il principale testo di riferimento per la ricostruzione del più importante e noto – insieme a Martin Luther King – leader nero degli anni Sessanta. Ne è derivata una poderosa e densa nuova biografia (Malcom X. A life of reinvention) che ricostruisce la vita di Malcom Little, diventato Malcolm X dopo la conversione all’Islam nella variante dei Musulmani Neri. Uscito nel 2011 negli Stati Uniti, senza che l’autore potesse vederlo nelle librerie per l’aggravarsi sino alla morte della malattia ai polmoni con cui combatteva da lungo tempo, il libro ha vinto il premio Pulitzer per la storia ed è stato prontamente tradotto in Italia da A. Ciappa e M. Matulli per i tipi di Donzelli, con il titolo Malcolm X. Tutte le verità oltre la leggenda e la prefazione di Alessandro Portelli.
Di un volume così importante nel nostro paese si è discusso relativamente poco, soprattutto se si tiene conto dell’aspro dibattito accesosi invece negli Stati Uniti, in particolare all’interno del mondo culturale e politico afro-americano. Marable ha svolto un grande lavoro di ricerca. Ha messo insieme infatti una gran quantità di fonti, da quelle archivistiche legate all’attività di controllo svolte dallo Fbi sui Musulmani Neri e sullo stesso Malcom, alle testimonianze raccolte intervistando suoi vecchi collaboratori ma anche avversari di Malcom, come Louis Farrakhan a lungo considerato moralmente (se non altro) responsabile dell’assassinio avvenuto per mano di figure vicine alla Nation Of Islam in quanto principale beneficiario all’interno di quell’organizzazione della rottura di Malcom con Elijah Muhammad, capo indiscusso della setta.
In questo modo Marable ha ricostruito i principali passaggi della vita del leader nero, finendo per realizzare una approfondita analisi critica anche della stessa narrazione che Malcolm X aveva realizzato del proprio percorso, codificandola poi nella sua Autobiografia scritta con Alex Haley, ma senza poterla rivedere nella sua parte finale a causa del suo assassinio. Il risultato finale è un grande spaccato della comunità nera americana dagli inizi del Novecento sino agli anni Sessanta, in cui la vicenda personale di Malcom e il suo cammino politico è costantemente collocato all’interno della più larga situazione economica e sociale afro-americana. In questo senso il volume offre un notevole spaccato di storia americana, partendo dal punto di osservazione peculiare costituito dai neri statunitensi, non dimenticando di ricostruire le diverse articolazioni interne e i contrasti dentro tale gruppo.
Negli Usa le polemiche si sono incentrate soprattutto su alcuni convincimenti di Marable (espressi alla luce dell’accurata documentazione raccolta) riguardanti la vita privata del leader nero, dalle tante avventure amorose nel periodo malavitoso del “Rosso di Detroit” alla ipotizzata relazione omosessuale con un benestante direttore di albergo bianco a Boston, sino ai motivi della scelta di sposare, più avanti, quando era già diventato un pastore della Nation of Islam, Betty Shabazz, scelta dettata secondo lo storico dalla necessità di ordinare e disciplinare la sua vita di pastore religioso[2]. Questa particolareggiata ricostruzione delle incertezze emotive e sentimentali di Macolm è parsa a molti non solo una offesa alla sua memoria ma anche un tentativo di intaccare un riferimento culturale e politico forte ed autorevole nel mondo afro-americano, che tale era anche in virtù insieme del vigore, della forza, e della carica per certi versi seduttiva che esprimeva. Non a caso Sandro Portelli ha ricordato nella sua introduzione il famoso discorso funebre celebrato dall’attore e attivista di colore Ossie Davis, molto vicino a Malcom nell’ultimo suo periodo di vita, in cui la definizione di “our black shining prince”, si legava strettamente a quella di “our manhood”, cioè di essere stato Malcolm “il nostro luminoso principe nero” ma anche insieme al contempo “la nostra umanità”, ma – volendo – anche “la nostra virilità”. In questo senso la mascolinità e la virilità di Malcom X, la sua forza seduttiva, erano parte integrante del disegno di rottura della storia della schiavitù e della subalternità del nero all’uomo bianco, come peraltro in qualche modo ricordava lo stesso protagonista nell’autobiografia dicendosi convinto che la pesantezza della sua condanna fosse in gran parte dovuta alla relazione con una donna bianca, presentata alla corte come vittima inconsapevole della sua attività criminale.
Il dibattito ha inoltre assunto un chiaro significato politico, sviluppandosi in un momento in cui la rottura simbolica rappresentata dal primo presidente nero degli Stati Uniti ha coinciso con una nuova ondata di violenza da parte della polizia contro le persone di colore, confermando la persistenza della linea del colore all’interno della storia americana proprio quando, secondo alcuni, quest’ultima sembrava essere stata definitivamente superata con l’elezione di Barak Obama. Che il colore e la sua linea resti invece il grande tema della storia americana ci pare il senso profondo del lavoro storiografico di Marable su Malcom. Giustamente a lungo identificato con la rabbia dei neri delle grandi città industriali del Nord-Est americano, il percorso di Malcom, ci ricorda lo studioso afro-americano, rappresenta invece la questione nera nella sua interezza. Nella sua formazione è fondamentale la figura del padre, predicatore battista proveniente dal Sud, spostatosi poi al Nord e infine in Canada dove conosce la madre di Malcom dopo un precedente matrimonio fallito. La comune adesione al ‘garveysmo’ solidifica la relazione della coppia che inculcherà ai figli un tratto destinato a rimanere fondamentale nella vita di Malcom: l’orgoglio per la propria storia e per la propria identità di neri. Il tentativo di realizzare una propria autosufficienza economica e l’impossibilità di realizzare tale aspirazione nel sistema segregazionista americano sono altri due tasselli cruciali dell’esperienza del futuro leader nero. La strana morte del padre, forse per mano di attivisti del Klan, e la successive difficoltà anche di salute della madre, finiranno per disgregare quel tentativo condurlo a Boston dalla sorellastra. Qui Malcom avrà la sua iniziazione alla strada e a quello che, retrospettivamente, giudicherà come il periodo della caduta, cioè del malaffare, dei furti, degli imbrogli, dello spaccio di marjuana, della relazioni con più donne, anche bianche come già ricordato, dei legami con il mondo della prostituzione, ma soprattutto della cancellazione della sua identità di nero. Anche se – ed è un merito di Marable l’averlo messo in luce – l’enfasi che nell’Autobiografia viene posta su questo periodo appare decisamente eccessiva rispetto alla reale portata del livello criminale del protagonista, rivelando la natura strumentale di quella autorappresentazione. Il Malcom convertitosi in carcere al messaggio della Nation of Islam ha infatti la necessità, una volta divenuto pastore, cioè una delle due figure guida della tradizione afro-americana, di far risaltare ancor di più il suo messaggio di rigenerazione della conversione e per questo non rinuncia ad interpretare a tutto tondo la figura che permettesse ai giovani neri a cui rivolgeva la sua predicazione di identificarlo anche con l’imbroglione e il truffatore di strada, altra figura cruciale dell’anima nera. Questo passato criminale doveva servire allora a dare forza e smalto al pastore dei musulmani neri, al suo ruolo di portatore di verità e di luce. Proprio la centralità della dimensione religiosa in questo passaggio fondamentale appare un punto cruciale emerso dalla ricerca. Il Malcom convertitosi in carcere parte, in linea del resto con l’impostazione data da Elijah Muhammad alla Nazione dell’Islam, da una dimensione strettamente religiosa. Nella eterodossa e per molti versi bizzarra versione dell’Islam predicata dai musulmani neri, la rigenerazione e il cambiamento erano prima di tutto fattori interni e spirituali. La conversione e il messaggio di orgoglio per la propria identità non erano dunque pensati in funzione di un cambiamento politico né di un mutamento dell’ordine sociale. I bianchi incarnavano il male e il diavolo non metaforicamente ma concretamente e quindi la separatezza e l’esclusione erano i fattori principali per costruire una comunità nera sostanzialmente autoghettizzata e quindi lontana dalla politica come strumento di cambiamento della realtà americana.
Dentro questa prospettiva si possono interpretare alcuni altrimenti incomprensibili approcci come il Ku Klux Klan o il partito nazista americano da parte della Nazione e che videro in qualche modo partecipe lo stesso Malcom. Tuttavia non va dimenticato che propria da tale particolare visione, del resto già presente nella tradizione del ‘garveysmo’, Malcom trasse e sviluppò l’idea dell’irrinunciabilità della riaffermazione identitaria e della rivendicazione non della uguaglianza ma della propria incancellabile differenza come elemento di critica radicale della società americana costruita e modellata sulla supremazia dei bianchi. La sviluppò ovviamente in termini originali facendone lo strumento per un intervento attivo che cominciò con la contrapposizione alle violenze illegali della polizia contro i suoi fedeli, e che lo portò sempre più a sentire il bisogno di agire e partecipare attivamente e quindi alla fine politicamente al processo di mobilitazione dal basso che la comunità afro-americana, con metodi ed anche visioni diverse, stava comunque mettendo in atto nel paese.
Fu questa progressiva consapevolezza in merito alla rottura che gli afro-americani stavano praticando nei confronti del sistema segregazionista americano, contestandolo in forme sempre più di massa, che lo portò progressivamente a scontrarsi con i presupposti stessi su cui la Nazione aveva costruito il proprio radicamento tra i neri ma anche e soprattutto un piccolo impero economico, sostenuto anche da un ferreo e brutale controllo sui suoi adepti. Se la scandalosa condotta sessuale di Elijah, responsabile di approfittare delle giovani segretarie di cui si circondava, colpì Malcom e lo spinse a rompere con la Nazione, indubbiamente la frattura si alimentò per via delle criticità “politiche” in cui l’ormai famoso pastore dei musulmani neri si sentiva stretto. Mentre infatti si sviluppava la stagione delle lotte per i diritti civili sotto la guida di diversi leader neri, tra cui spiccava Luther King, ma solo come punta estrema di un movimento assai più vasto ed articolato, Malcom capì che la visione della Nation of Islam finiva per essere sostanzialmente del tutto incapace di affermare concretamente la teorica rivendicazione di superiorità ed orgoglio della popolazione di colore, tenendola di fatto, in nome della centralità della dimensione religiosa, socialmente e politicamente subordinata.
Marable ricostruisce accuratamente questo passaggio cruciale notando come proprio l’incrocio con la mobilitazione dal basso dei neri per il superamento della segregazione razziale al Sud ma anche per il mutamento degli equilibri sociali legati alla linea del colore al Nord mise Malcom di fronte alla necessità di reinterrogarsi sull’azione ma anche sul “credo” della Nation of Islam. La rottura con la Nazione lo spinse alla creazione della Muslim Mosque Inc., ma a partire da questa fase l’accento fu posto non più sulla comunanza religiosa bensì sulla necessità di unire la comunità nera, intesa peraltro in termini trans-nazionali. Nel noto “Discorso ai quadri”, pronunciato a Detroit insieme ad altri attivisti radicali nel novembre del 1963, quando ancora non era stato espulso dalla Nazione ma era semplicemente sospeso, Malcolm X dice:
Quello che ci occorre, a me e a voi, è imparare a dimenticare ciò che ci divide. Quando siamo insieme non è perché siamo battisti o metodisti. (…) Siamo in quest’inferno perché siamo neri. Voi vivete nell’inferno, tutti noi viviamo nell’inferno, perché siamo neri. Perciò noi siamo gente di colore, cosiddetti negri, cittadini di seconda classe. Voi non siete altro che degli ex schiavi e non vi piace che qualcuno ve lo dica. Non siete arrivati qui sulla Mayflower.Siete arrivati qui su navi negriere in catene come i cavalli, le mucche o i polli e siete stati trascinati qui da quegli stessi che erano arrivati sulla Mayflower, dai cosiddetti Padri Pellegrini o Fondatori. Furono loro che vi portarono qui. Abbiamo un nemico comune e questo è tutto quanto abbiamo in comune: lo stesso oppressore, lo stesso sfruttatore, lo stesso discriminatore[3].
L’elemento religioso, come si vede, è scomparso, mentre il tema dell’orgoglio nero si declina chiaramente verso una prospettiva di nazionalismo rivoluzionario, in linea con le lotte di liberazione dei movimenti anticoloniali “colorati” del resto del mondo. Ricordando Bandung dice che “compresero che in ogni parte del mondo in cui la gente di colore è oppressa, è l’uomo bianco che la opprime; là dove è sfruttata, è l’uomo bianco che la sfrutta. Trovarono su questa base la consapevolezza di avere un nemico comune. Quando voi e io qui a Detroit, nel Michigan, in America, io e voi ci guardiamo intorno, ci accorgiamo di avere un nemico comune sia in Georgia che nel Michigan, in California come a New York. È lo stesso uomo con gli occhi azzurri, i capelli biondi e la pelle bianca, lo stesso uomo. (…) L’uomo bianco sa cos’è una rivoluzione. Sa benissimo che la rivoluzione nera è per natura una rivoluzione di portata mondiale. Essa sta spazzando l’Asia e l’Africa e cominciare ad alzare il capo in America Latina. (…) Come pensate reagirà quando anche voi imparerete cos’è una vera rivoluzione?”[4].
Ricerca di nuove strade verso l’impegno politico e riflessione di natura religiosa si incrociarono e si influenzarono. La scoperta dell’Islam ortodosso sunnita grazie al viaggio alla Mecca gli apre infatti le porte per un ripensamento radicale anche a livello politico: la fede islamica veniva ora scoperta nella sua dimensione universalistica, non legata al colore della pelle, il che apriva nuove possibilità anche in campo politico. La nuova visione si collegava alla ribadita e sviluppata centralità della dimensione transnazionale dell’identità afro-americana, rafforzata dai viaggi in Africa e dai contatti con i governi dei movimenti anticoloniali che avevano preso il potere.
La consapevolezza maturata da parte di Malcom dell’impossibilità di superare la questione dei neri americani semplicemente riconoscendo loro la piena titolarità dei diritti costituzionali rimase infatti l’asse centrale delle sue scelte politiche, che cercò di portare avanti costruendo una nuova organizzazione laica, l’Organizzazione per l’Unità Africana, con l’ambizioso obiettivo di portare davanti all’Onu la questione della condizione dei neri americani. La politica apparentemente ondivaga, tra rifiuto netto e aperture alla collaborazione con gli altri leader del movimento dei diritti civili, si colloca in questo crinale che spingeva Malcom a rivendicare la differenza reale e storicamente determinata della storia dei neri (e non l’uguaglianza formale) come elemento di riflessione e di critica di un sistema politico le cui contraddizioni sociali gli apparivano sempre più evidenti, legando la questione della razza a quella della disuguaglianza economica. In un discorso interno per i membri dell’OUA, tenuto nel dicembre del 1964, ricordava:
L’America è la nazione più ricca del mondo e qui c’è la miseria, ci sono case inabitabili e bassifondi, le strutture scolastiche sono scadentissime. Eppure questo è il paese più ricco del mondo. Ora se delle nazioni povere sono in grado di risolvere i loro problemi al punto di non avere più disoccupazione, allora invece di andare giù in città a picchettare davanti al comune, dovreste cercare di rendervi conto come fanno quei popoli a risolvere i loro problemi è proprio per questo che l’uomo bianco non vuole che voi ed io spingiamo il nostro sguardo al di là dei confini di Harlem o delle coste americane. Finché non sappiamo cosa succede all’estero, ci troveremo ingrovigliati nei rapporti con l’uomo bianco, qui all’interno dell’America. Voglio dire che il sistema che adottano quei popoli per risolvere i loro problemi non è il capitalismo: i popoli dell’Africa e dell’Asia, per la maggior parte, non seguono quei metodi. Per questo voi ed io dovremmo studiare i mezzi che essi adoperano per liberarsi dalla miseria e da tutte le altre caratteristiche negative di una società in decadenza[5].

[1] Cfr https://en.wikipedia.org/wiki/Manning_Marable
[2] https://www.democracynow.org/2011/5/19/manning_marables_controversial_new_biography_refuels.
[3] Malcom X, Ultimi discorsi, Torino, Einaudi, 1968, p. 24 e p. 25.
[4] Ivi, p. 26.
​[5] Ivi, p. 144-145.

Fonte: palermo-grad.com

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