di Marc Botenga
Come diamine dovremmo festeggiare il 25° anniversario del Trattato di Maastricht? Se guardiano oggi l’Unione Europea o l’eurozona… che cosa c’è precisamente da festeggiare? Perfino il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha parlato, durante il suo discorso allo Stato dell’Unione, di una “crisi esistenziale.” Non sono spesso d’accordo con lui, ma in questa circostanza ha decisamente ragione. Quindi c’è una crisi. Non potrebbe essere altrimenti, dato che alcuni di noi lo dicevano già 25 anni fa. Infatti, malgrado tutte le promesse di un’Europa sociale, la discussioni qui a Maastricht, 25 anni fa, non aveva nulla a che fare con la collaborazione europea intesa a migliorare le cose per me e per voi.
I potenti gruppi di pressione come la Tavola Rotonda degli Industriali, aveva preparato, elaborato e provato il Trattato.
I potenti gruppi di pressione come la Tavola Rotonda degli Industriali, aveva preparato, elaborato e provato il Trattato.
Questa Unione Europea è un progetto fatto da e per potenti multinazionali. Questo, quindi, spiega, il motivo per cui l’Unione oggi appare assurda. Perché la Grecia non può rinunciare all’austerità, quando i paesi del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo) possono aiutare le aziende a evitare le tasse? Perché la Vallonia (regione del Belgio) non può bloccare un trattato commerciale e tuttavia la Commissione può intentare un’azione legale contro i salari minimi di Germania e Francia? Perché, mentre la Germania sta gestendo un enorme surplus commerciale, l’economia italiana sta barcollando?
La competizione e la caccia ai profitti all’interno di un libero mercato sono la base dell’intera Unione Europea. Sono scolpite in tutti i testi fondamentali dell’Unione. Proliferano, soffocando ogni cosa.
Non si dà quindi il caso che il Trattato di Maastricht o l’euro siano le cause esclusive di tutti questi disagi. Tuttavia, fin dall’inizio, Maastricht ha causato stupore. Come si potevano portare economi così diverse sotto lo stesso ombrello? Nell’Europa settentrionale i salari erano quattro volte più alti che nel sud. Per questa domanda, l’establishment aveva una risposta: “le norme di Maastricht.” La chiamavano convergenza. Crescete reciprocamente. Abbassate il debito dello stato e limitate i deficit di bilancio. Ma la convergenza non si verificata. Il divario divenne più grande, tra i paesi, ma anche all’interno dei paesi.
Non poteva accadere altrimenti in un mercato interno così libero, dove dominano la competizione e le multinazionali e agiscono a modo loro con le persone e con la natura, con le regioni e i paesi. E neanche la valuta unica ha aiutato. Nel mercato interno, i paesi più deboli hanno perfino perduto uno dei pochi mezzi per mantenere la loro competitività, adeguando i loro tassi di cambio.
Dopo Maastricht le cose sono andate di male in peggio. Abbiamo il Patto di stabilità e di crescita che ha reso praticamente impossibili gli investimenti pubblici. E poi abbiamo la cosiddetta Governance economica, designata a determinare l’intera politica economica in maniera autoritaria
Oggi possiamo vederne i risultati. Le cose dal punto di vista economico, non si stanno risolvendo. Non si stanno risolvendo dal punto di vista sociale. Non per voi, non per me. Mentre i milionari nascondono le loro riserve di denaro a Panama, 54 milioni di europei sono colpiti dalla povertà energetica. C’è il triplo della popolazione dei Paesi Bassi che devono letteralmente scegliere tra scaldarsi e mangiare.
Anche in termini di democrazia, le cose non stanno andando bene. L’Unione Europea sta diventando sempre più autoritaria. La Grecia è completamente a terra. I referendum vengono ignorati. Ho sentito dire che anche il governo olandese ha delle strane idee su che cosa fare con il risultato del referendum in Ucraina. Nel Parlamento Europeo nuove regole procedurali metteranno a tacere voci alternative. A ogni elezione europea ci sono meno persone che votano. In Slovacchia l’ultima volta l’affluenza è stata soltanto del 13%.
Tra la società e l’establishment si profila un enorme frattura, un autentico burrone. Questa cosa è stata notata di recente dal Financial Times. Quando la Vallonia si rifiutò di firmare L’Accordo economico e commerciale globale (CETA – Comprehensive Economic and Trade Agreement) con il Canada, il giornale degli uomini di affari commentò che i funzionari dell’Unione Europea non pensavano mai che avrebbero dovuto tener conto di Frederic Gillot, un ex metalmeccanico che ora rappresenta il PTB-PVDA belga nel Parlamento Vallone.
Ora, però, devono fare proprio questo. La gente ne ha avuto abbastanza di questo comportamento egocentrico dell’élite. Contro quell’establishment vediamo ora il sorgere di due correnti. Una di queste basa le sue decisioni sulla paura. Vogliono che noi dirigiamo la nostra rabbia verso il basso, che sputiamo sui disoccupati, i rifugiati, le persone che hanno problemi anche più duri da affrontare. E’ un trucco. Sputando su chi sta sotto, proteggono l’élite che sta sopra. Facendo così, evitano il problema del potere. Perfino un miliardario come Trump può presentarsi come contrario all’establishment.
C’è, però, anche un’altra corrente, la nostra. Una corrente sotto la superficie. Non è guidata dalla paura, ma dalla speranza. Se è la speranza che volete, dovete guardare in alto, in quel luogo dove ci sono tanti soldi. Il luogo dove scrivono le loro leggi fiscali. Il luogo dove c’è il denaro sufficiente a comprare i politici. La speranza viene dal basso. Sì, c’è Donald Trump, ma c’è anche Bernie Sanders. C’è il preoccupante UKIP e Nigel Farage, ma c’è anche Jeremy Corbyn. In Belgio c’è il N-VA (Alleanza Neo-Fiamminga) che è molto di destra, ma c’è anche il mio partito, il PTB-PVDA. E qui dovrei probabilmente, dire: c’è Gert Wildres, ma fortunatamente c’è anche il Partito Socialista.
Come possiamo andare avanti? Questa era la domanda di oggi. Mi piacerebbe rispondere anche a questa. L’alternativa a questa politica di destra, è un tipo diverso di politica, una politica che va dal basso verso l’alto, cambiando insieme la nostra società dal basso. Insieme con tutte quelle forze socialmente attive nella pancia della nostra società. Basiamo le nostre scelte sulla speranza. Questo è il messaggio centrale portato da tutti i movimenti sociali che fanno sentire la loro voce dovunque, e anche più forte.
La resistenza offre speranza. La resistenza è varia: vecchi e giovani cercano e sperano. Dicono: la resistenza è ‘populismo’. Davvero? Perché la resistenza sfida radicalmente l’élite? E’ vero che una volta anche la parola: combattente per la libertà era una brutta parola? L’opposizione all’ingiustizia rafforza le persone, aumenta la nostra consapevolezza, ci insegna a difenderci da soli.
E questo è importante, perché se l’Europa deve sopravvivere, questa Unione deve essere capovolta. Non possiamo semplicemente ‘vestire’ in modo diverso questa costruzione di competizione. Non possiamo proprio dare a tutta questa disuguaglianza un rapido cambio di aspetto, una nuova mano di vernice, altrimenti anche le tensioni nazionaliste che appartengono al ventesimo secolo, mostreranno il loro brutta muso in questo secolo.
Inoltre, per essere del tutto onesto, preferirei vivere in un Belgio governato da nazionalisti o da liberali di destra che in un’Europa governata dalle stesse persone sgradevoli.
Dobbiamo cominciare con un foglio pulito, una pagina bianca. Il presidente del PTB- PVDA Peter Mertens sottolinea nel suo recente libro: non è possibile che i paesi più ricchi del mondo siano incapaci di garantire ai loro cittadini i diritti fondamentali. E’
semplicemente non normale. Non è normale che i diritti al lavoro, all’alloggio, all’istruzione, alla sanità non vengano rispettati. A questo dovrebbe servire la cooperazione europea che ha il dovere di applicare i diritti elementari. Ricominciare da capo con l’Europa, significa che la sostenibilità, la democrazia e i diritti fondamentali devono diventare il nostra unico ‘tabellone segnapunti’.
Abbiamo bisogno di un’Europa trasparente proprio adesso. Facciamo un live-streaming di tutti quei corridoi e quelle stanze private. Liberiamoci di quei politici che vanno dentro e fuori dalle porte girevoli delle stanze delle riunioni delle aziende. Abbiamo bisogno di sindacati, di organizzazioni di consumatori e dell’ambiente, di membri critici del pubblico, persone spinte da entusiasmo sociale ed ecologico. Gli sviluppi nella tecnologia digitale permettono anche di coinvolgere direttamente il pubblico nei processi democratici.
E poi? Una nuova Europa in cui vengono ridistribuiti lavoro e ricchezza. Un’Europa che mette in movimento la ricchezza; una tassa sulla ricchezza per i milionari, una tassa sulle transazioni finanziarie, e la fine dei paradisi fiscali. Mettere fine all’austerità, ai piani di pseudo-ripresa, il dumping sociale e il dumping fiscale. Un’Europa con salari più alti , un salario minimo e paga uguale per lavoro uguale per tutti. Un’Europa dove si va prima in pensione. Un continente su scala umana. Per tutti noi per vivere ancora una volta, per rilassarci, divertirci e progredire.
Una nuova Europa guarderà in maniera diversa ai servizi pubblici, agli investimenti pubblici e ai settori pubblici. Investiamo nel clima, nell’energia pulita, nel trasporto pubblico, nella sanità, nell’istruzione, nella cultura, negli alloggi. I rami strategici, fondamentali, dell’economia, come, per esempio, l’energia, devono difendersi dai mercati finanziari e dagli speculatori della borsa valori.
Se dobbiamo costruire di nuovo l’Europa, abbiamo necessità di un nuovo principio di legge europea: il principio di non-regressione che significherebbe che non si possono più introdurre misure in cui i termini sociali, ecologici o democratici, rappresentano un passo indietro. Invece di un’aspra competizione tra popoli, avremmo solidarietà, avremmo una voce nelle nostre faccende, nei nostri diritti e nella sostenibilità. Varrebbe la pena di lavorare per un’Europa così.
E, certo, sono consapevole Babbo Natale arriverà presto qui, ma questa non è una lista utopistica dei desideri. Al contrario. Per la prima volta in molto tempo, è più utopistico credere che tutto resterà come è adesso. Nessuno lo crede ancora.
Non è un’opzione. Si può percepire il cambiamento. Insieme possiamo cambiare direzione, cambiare atteggiamento. E se lo facciamo, come hanno fatto quei portuali che sono venuti da Amburgo a Rotterdam ad Antwerp per opporsi alla Commissione Europea; come ha fatto quel movimento in Germania, in Belgio e in Olanda che sta combattendo contro i diktat del libero commercio e contro i tagli alla spesa pubblica. Come forse si farà presto con un referendum sui trattati di libero commercio con il Canada e gli Stati Uniti. Allora forse ci vedremo non alla festa per
il compleanno del Trattato, ma al suo funerale.
*Entrambe le sigle indicano il Partito del lavoro- PVDA: Partij van de Arbeid van België in lingua nederlandese, e PTB : Parti du Travail de Belgique in francese (n.d.t.)
Marc Botenga del Partito radicale di sinistra del Belgio PVDA-PTB* Partito del Lavoro) è stato il relatore invitato al raduno del Partito Socialista dei Paesi Bassi, anche esso radicale, per ricordare il 25° anniversario del Trattato di Maastricht, che ha stabilito l’Unione Europea e ha istituzionalizzato il neoliberalismo in Europa.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/this-european-union-is-a-project-by-and-for-powerful-multinationals
Originale : spectrezine
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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