di Anna Maria Merlo
Al primo dibattito tv della Belle Alliance (Partito socialista e alleati minori), in vista delle primarie del 22 e 29 gennaio per scegliere il candidato socialista, non c’era l’ologramma di Jean-Luc Mélenchon. Il candidato della France Insoumise (con l’appoggio un po’ freddo del Pcf), già sicuro di essere al primo turno delle presidenziali, ha annunciato un «meeting olografico» per la sua «prima mondiale», il 5 febbraio a Parigi, mentre sarà in carne e ossa a Lione. Ma i fantasmi di Mélenchon e di Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia deciso a presentarsi al primo turno senza passare per le primarie, erano ben evidenti ai sette contendenti.
Perché una questione esistenziale si pone: l’area di sinistra in senso largo, che può contare su un 35% di voti, come potrà portare un candidato al ballottaggio se al primo turno si contendono in quattro questa fetta limitata di elettori? Mélénchon, Macron, il verde Janick Jadot e un socialista. La questione di un ritiro della candidatura Ps è sul tavolo, se i sondaggi non daranno qualche segnale positivo.
Perché una questione esistenziale si pone: l’area di sinistra in senso largo, che può contare su un 35% di voti, come potrà portare un candidato al ballottaggio se al primo turno si contendono in quattro questa fetta limitata di elettori? Mélénchon, Macron, il verde Janick Jadot e un socialista. La questione di un ritiro della candidatura Ps è sul tavolo, se i sondaggi non daranno qualche segnale positivo.
Giovedì sera, il primo dibattito tv è stato seguito da 3,8 milioni di persone, cifra da mettere a confronto con i 5,6 milioni che hanno seguito quelli della destra (e i 5 milioni di ascoltatori per le primarie Ps nel 2011).
I contendenti per la candidatura sono sette, ma la battaglia è a quattro: Manuel Valls (ex primo ministro), Arnaud Montebourg (ex ministro dell’Economia), Benoît Hamon (ex dell’Economia sociale ed ex ministro-lampo dell’Educazione nazionale) e Vincent Peillon (anche lui ex dell’Educazione nazionale). Gli altri contendenti sono il Verde François de Rugy, il centrista Jean-Luc Bennahmias e la radicale di sinistra Sylvia Pinel, che salva la faccia al Ps evitando l’assenza di una presenza femminile (anche alle primarie della destra c’era una sola candidata).
I quattro sfidanti principali sono tutti ex ministri della presidenza Hollande e quindi hanno tutti, in varia misura, il problema di prendere qualche distanza da François Hollande, in un momento di grande delusione dei cittadini. I sondaggi, per quello che valgono, danno Valls favorito, Peillon molto indietro e una lotta per il ballottaggio tra Montebourg, che fino a poco tempo fa puntava addirittura ad essere in testa, e Benoît Hamon, che giovedì sera ha imposto a tutti il principale argomento di dibattito: il reddito di cittadinanza.
Il Ps, già diviso al suo interno su molti temi, apre così un nuovo fronte a tre mesi dalle elezioni presidenziali.
Hamon insiste sulla necessità di delineare i contorni di una «sinistra del futuro» e a «lungo termine», contro quella delle «vecchie ricette del passato», in un momento in cui la crescita non riparte e il lavoro manca. Hamon intende «contribuire a definire un nuovo rapporto con il lavoro e il tempo libero». L’idea è difesa in questa campagna elettorale anche dal verde Jadot. Hamon propone, a termine, un reddito versato a tutti i cittadini di 750 euro al mese. Nessuno degli altri contendenti lo segue su questa strada.
Valls ammette però la necessità di un «reddito minimo decente», fermo restando il principio della centralità del lavoro. L’ex primo ministro propone l’estensione di questo reddito anche ai cittadini di 18-25 anni (in Francia esiste l’Rsa, il reddito di solidarietà attiva, per chi è senza reddito e ha più di 25 anni, 535 euro al mese per una persona singola, 802 per una coppia, 1.123 se ha figli, mentre tra i 18 e i 25 c’è un Rsa-giovani, ma di difficile accesso).
La principale critica al reddito di cittadinanza proposto da Hamon è il costo: 300 miliardi per le finanze pubbliche, pari al 15% del pil, che dovrebbero venire finanziati con un aumento delle tasse del 30-50%, cosa giudicata impossibile in un paese dove il governo deve far fronte a una rivolta delle classi medie su questo fronte. Ma Hamon ribatte: «Anche quando è stata istituita la Sécurité sociale sono state sollevate le stesse critiche sui costi».
Montebourg non è d’accordo: «Mettere il reddito universale vorrebbe dire aumentare le tasse del 50%». Peillon rifiuta l’idea in nome del valore-lavoro: «Il lavoro non è un fattore secondario». Anche Valls insiste sul valore-lavoro, «non sono a favore di una società dell’assistenza o del farniente». Mélenchon e Macron sono entrambi contrari al reddito di cittadinanza. «Significa ammettere che entriamo in un finanziamento durevole della disoccupazione di lungo periodo» (Macron), per Mélenchon le cifre avanzate da Hamon e altri (intorno ai 750 euro al mese) restano sotto la soglia di povertà, «non permettono di vivere e minacciano l’esistenza degli attuali assegni sociali».
Mélechon pensa soprattutto alla Negative Income Tax, l’idea di reddito universale avanzata dall’economista liberista Milton Friedman in Capitalismo e libertà, libro del ’62.
Nel mondo, sono state fatte delle sperimentazioni sul reddito di cittadinanza: negli Usa, tra il ’68 e il ’72, sono stati realizzati 4 programmi (New Jersey, Pennsylvania, Carolina del Nord e a Seattle), dove è risultato che il reddito di cittadinanza non ha portato al farniente, come profetizza Valls (la partecipazione al lavoro è diminuita solo del 5%, e solo due gruppi, i giovani e le donne, hanno lavorato meno – una diminuzione del 25% – i primi per continuare a studiare, le seconde per occuparsi della famiglia, scelta che alimenta un’altra critica, il timore che favorisca il ritorno a casa delle donne).
In Europa, ci sono due esperienze in corso: dal 1° gennaio, in alcune città olandesi, tra cui Utrecht, dove a un campione di alcune centinaia di persone vengono versati 900 euro; in Finlandia, sempre dal 1° gennaio è partito un esperimento con 2mila persone disoccupate, che per due anni riceveranno un reddito garantito di 560 euro al mese. La Svizzera, nel giugno scorso, ha respinto l’idea di un reddito universale (2.270 euro al mese), in un referendum con il 76% di contrari.
Nel dibattito delle primarie Ps i conti con il passato non hanno potuto evitare la Loi Travail. Hamon e Montebourg hanno promesso l’abrogazione (pur mantenendo alcuni aspetti, come il conto personale di attività, il calcolo dei lavori usuranti e il diritto alla «deconnessione» dai vari device elettronici al di fuori dell’orario di lavoro). I candidati hanno trovato l’unità solo nella critica alle rivelazioni di Hollande sugli assassinii mirati nelle zone in guerra di personalità dell’Isis giudicate pericolose per la Francia. Il Top secret e la ragion di stato non si toccano.
Fonte: il manifesto
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