di Fulvio Scaglione
Aggirarsi per i quartieri distrutti di Aleppo Est, come ha fatto per diversi giorni il sottoscritto, può essere un’utile lezione. Umana, naturalmente. E professionale. Le testimonianze di coloro che hanno vissuto per quattro anni nei quartieri occupati da ribelli e jihadisti di Al Nusra, unite all’osservazione di quello che è stato il campo di battaglia e che è tuttora il bersaglio di missili e sparatorie, raccontano una storia molto chiara, che resterà una delle grandi vergogne di questo secolo.
L’esercito regolare di Bashar al-Assad e le truppe russe considerano una grande vittoria la riconquista di quella parte di Aleppo, dov’erano bloccate circa 250 mila persone, contro il milione di abitanti rimasti nella parte Ovest. E in effetti si tratta di un notevole successo. Ma come mai, allora, Palmira è stata riconquistata dall’Isis? E perché l’altra grande città siriana di Deir Ezzor è assediata da quattro anni dall’Isis senza che si riesca a farla uscire dalla morsa e, anzi, rischiando proprio in questi giorni di vederla cadere nelle mani dei tagliagole?
Le testimonianze raccolte ad Aleppo dicono che ribelli e jihadisti sono riusciti a tenere abbastanza agevolmente le posizioni fino a quando, all’inizio dell’inverno, la Turchia ha chiuso il confine, che dista solo una novantina di chilometri da Aleppo. Decisione che Erdogan ha preso dopo essersi riappacificato con Vladimir Putin. Se vogliamo indicare una data di massima per la svolta, possiamo azzardare il 10 ottobre, giorno in cui il leader russo si recò a Istanbul per incontrare il Presidente turco.
La vittoria di Aleppo, quindi, è stata assai più politica che militare. Con la chiusura del confine, ribelli e jihadisti hanno smesso di ricevere munizioni e truppe fresche (i rifornimenti di altro genere non mancavano, anzi, erano ammassati in grandi quantità nei quartieri Est) e hanno dovuto pian piano prepararsi alla sconfitta.
Anche la ritirata dei miliziani, però, ha avuto un risvolto politico nascosto dall’aspetto militare. Esercito siriano e russi avrebbero potuto cacciare il nemico dai quartieri Est solo in due modi: combattendo casa per casa e affrontando lo spettro di perdite massicce; oppure abbattendo i rifugi dei miliziani per trascinarli il più possibile in campo aperto. Come sappiamo, è stata scelta la seconda strategia. Ma anche nella ritirata dei ribelli (e anche qui, ci sono testimonianze sul fatto che è stata tutt’altro che una rotta) c’è stata una strategia. Quando esercito e russi hanno abbattuto la prima cintura dei rifugi dei miliziani, ovvero, la vasta area dei khan, i mercati coperti dove i miliziani erano al sicuro rispetto ai tiri avversari, la sorte della battaglia era già decisa, essendo nel frattempo stato chiuso il rubinetto (ovvero il confine turco) dei loro rinforzi. Ma i miliziani hanno deciso di continuare a combattere facendosi scudo dei palazzi, dei grandi condomini popolari e di ogni possibile edificio, in sostanza facendosi scudo della popolazione. Quando sono arrivati alla fine della città, cioè alla fine degli edifici, hanno contrattato la tregua e la possibilità di andare in autobus verso Idlib.
Perché resistere così? Perché non fuggire subito per correre a combattere altrove? Perché lo scopo di tutto, anche della lunga occupazione di Aleppo, non era vincere, e nemmeno insediare lo Stato islamico nella capitale industriale della Siria. Le testimonianze, in proposito, sono chiare: altro che Stato islamico, ad Aleppo Est era in vigore un regime violento all’incrocio tra la Tortuga e la mafia. Lo scopo era infliggere alla Siria il maggior danno possibile.
Alla Siria, ripetiamolo. Il regime di Bashar al-Assad è certamente detestato da una parte dei siriani e odiato dalle petro-monarchie che hanno finanziato l’Isis e gli altri terrorismi. Ma il vero obiettivo era massacrare un Paese autonomo, autosufficiente, non allineato e governato da sciiti. Bisogna ammettere che l’Isis e Al Nusra, da questo punto di vista, hanno vinto. Anche Bashar al-Assad, in un certo senso, ha vinto: nel prossimo futuro continuerà a esistere una “Siria di Assad”. Chi ha perso di sicuro sono i cosiddetti “ribelli moderati” e i siriani che sinceramente credevano di marciare verso la democrazia. Pochi, e atrocemente sfruttati da forze che della democrazia altamente se ne fregano. Pensiamoci prima, la prossima volta.
Fonte: MicroMega online
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