di Francesca Coin
“Sfruttati o bocciati”: è con questa espressione che gli studenti hanno denunciato l’obbligo di svolgere lavoro non pagato nelle scuole superiori come parte dell’alternanza scuola lavoro, in uno slogan che metteva in discussione una delle caratteristiche principali del lavoro gratuito: il suo essere anzitutto free work – lavoro a un tempo libero e non pagato. Quella di lavoro gratuito è una categoria desueta nella storia del lavoro il cui carattere di eccezionalità è stato legato spesso a un elemento di transitorietà – la stessa transitorietà che scandiva il passaggio dalla schiavitù al lavoro salariato sul finire dell’epoca moderna1. L’epoca in cui viviamo si fonda ampiamente sul lavoro non pagato, a un tempo conseguenza e causa di una crisi da bassi salari sulla quale il lavoro gratuito produce una ulteriore pressione al ribasso. Nel contesto dell’attuale crisi, l’analisi del lavoro gratuito assume dimensioni e caratteristiche inedite rispetto a quelle tradizionali.
Da un lato, il lavoro non pagato è condizione di accesso a una posizione remunerata – Disney World in Orlando per esempio usa la promessa di un lavoro futuro per impiegare circa 8.000 stagisti l’anno, il 12,5 per cento circa del totale dei suoi dipendenti, in quello che è giustamente stato chiamato Mousecatraz, una forma studentesca di schiavismo contemporaneo2. Dall’altra è simbolo di una competizione al ribasso nel quale l’unica difesa contro la disoccupazione pare essere la disposizione a lavorare di più. A differenza di un tempo, quando il lavoro gratuito era per lo più limitato all’estrazione di plus-valore durante il processo produttivo, l’estrazione di lavoro non pagato avviene oggi anche a monte e a valle dello stesso. A monte, in quanto la capacità di ottenere una posizione remunerata nel mercato è funzione della disposizione a erogare lavoro non retribuito, in un contesto che trasforma l’auto-sfruttamento in una tacca di merito ai fini dell’impiego. A valle, in quanto il lavoro non pagato segue lo scambio, come conseguenza di un mercato che sposta sull’utenza segmenti sempre più ampi del processo produttivo. L’esigenza prima di questo testo è di stilare una tassonomia del lavoro gratuito – svelare, cioé, dove si nasconde, nell’epoca attuale. Le recenti riforme del lavoro, dalla Loi travail al Jobs act, erano finalizzate in buona parte ad aumentarne l’estensione e l’intensità: elevando a norma la precarietà, gli straordinari non retribuiti, la ricattabilità del lavoro. Dietro tali riforme, tuttavia, si intravede una trasformazione che promette di rivoluzionare radicalmente il mondo del lavoro, complici la rivoluzione 4.0, la robotica e il digitale, in quella che sembra una tendenza a trasformare la vita in una risorsa on demand da usare a discrezione del mercato. In Occidente, già si intravedono forme di sussistenza post-salariali – modalità di accesso alla riproduzione indipendenti dal processo produttivo, spesso fondate sul risparmio o sulla messa a valore di ogni risorsa personale. È una situazione sempre più diffusa nei paesi del Mediterraneo, dove il lavoro non pagato è cresciuto insieme allo smantellamento della spesa pubblica e delle protezioni del lavoro. È, a sua volta, una tendenza conclamata nei paesi del Sud del mondo, dove il lavoro non pagato assume spesso la forma di lavoro forzato, penso, per esempio, alle carceri o alle maquilas, dove il lavoro è erogato spesso in forma coatta, con orari e a condizioni di lavoro massacranti, talvolta ai limiti della sussistenza. In questo contesto, il problema della gratuità non è solamente la situazione a cui tale condizione conduce – una situazione deflattiva fondata sulla competizione salariale al ribasso. Il problema è anche la situazione che la produce, a indicare un mondo privato in cui l’accesso al salario diventa sempre più funzione della docilità. Alla luce di questo è evidente che bisogna ricominciare a discutere del significato del lavoro gratuito – la sostanza dello sfruttamento nella sua forma pura.
Da un lato, il lavoro non pagato è condizione di accesso a una posizione remunerata – Disney World in Orlando per esempio usa la promessa di un lavoro futuro per impiegare circa 8.000 stagisti l’anno, il 12,5 per cento circa del totale dei suoi dipendenti, in quello che è giustamente stato chiamato Mousecatraz, una forma studentesca di schiavismo contemporaneo2. Dall’altra è simbolo di una competizione al ribasso nel quale l’unica difesa contro la disoccupazione pare essere la disposizione a lavorare di più. A differenza di un tempo, quando il lavoro gratuito era per lo più limitato all’estrazione di plus-valore durante il processo produttivo, l’estrazione di lavoro non pagato avviene oggi anche a monte e a valle dello stesso. A monte, in quanto la capacità di ottenere una posizione remunerata nel mercato è funzione della disposizione a erogare lavoro non retribuito, in un contesto che trasforma l’auto-sfruttamento in una tacca di merito ai fini dell’impiego. A valle, in quanto il lavoro non pagato segue lo scambio, come conseguenza di un mercato che sposta sull’utenza segmenti sempre più ampi del processo produttivo. L’esigenza prima di questo testo è di stilare una tassonomia del lavoro gratuito – svelare, cioé, dove si nasconde, nell’epoca attuale. Le recenti riforme del lavoro, dalla Loi travail al Jobs act, erano finalizzate in buona parte ad aumentarne l’estensione e l’intensità: elevando a norma la precarietà, gli straordinari non retribuiti, la ricattabilità del lavoro. Dietro tali riforme, tuttavia, si intravede una trasformazione che promette di rivoluzionare radicalmente il mondo del lavoro, complici la rivoluzione 4.0, la robotica e il digitale, in quella che sembra una tendenza a trasformare la vita in una risorsa on demand da usare a discrezione del mercato. In Occidente, già si intravedono forme di sussistenza post-salariali – modalità di accesso alla riproduzione indipendenti dal processo produttivo, spesso fondate sul risparmio o sulla messa a valore di ogni risorsa personale. È una situazione sempre più diffusa nei paesi del Mediterraneo, dove il lavoro non pagato è cresciuto insieme allo smantellamento della spesa pubblica e delle protezioni del lavoro. È, a sua volta, una tendenza conclamata nei paesi del Sud del mondo, dove il lavoro non pagato assume spesso la forma di lavoro forzato, penso, per esempio, alle carceri o alle maquilas, dove il lavoro è erogato spesso in forma coatta, con orari e a condizioni di lavoro massacranti, talvolta ai limiti della sussistenza. In questo contesto, il problema della gratuità non è solamente la situazione a cui tale condizione conduce – una situazione deflattiva fondata sulla competizione salariale al ribasso. Il problema è anche la situazione che la produce, a indicare un mondo privato in cui l’accesso al salario diventa sempre più funzione della docilità. Alla luce di questo è evidente che bisogna ricominciare a discutere del significato del lavoro gratuito – la sostanza dello sfruttamento nella sua forma pura.
È necessario, inoltre, esporne le cause e le finalità. Perché la gratuità del lavoro è una scelta eccentrica, in un mondo in cui tutto è privato.
Fonte: commonware.org
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