di Ascanio Bernardeschi
Si dice che in economia le previsioni siano difficili. Ma su una cosa siamo stati facili profeti: il Quantitative Easing (Qe), alleggerimento quantitativo, della Banca Centrale Europea (Bce) non ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Draghi aveva annunciato con grande enfasi di usare mezzi “non convenzionali” per inondare l'area euro di liquidità e di fare tutto il necessario (“whatever it takes”) al fine di avvicinare il tasso di inflazione al 2 per cento, rilanciare la crescita del Pil e accrescere la competitività del sistema.
Qualcuno è giunto perfino a paragonare questo “ossigeno alle finanze asfittiche dell'eurozona” al “nuovo inizio, anzi [alla] genesi”, rappresentato dall'anno santo straordinario della misericordia. A noi invece era parso che, in un periodo in cui la domanda ristagna e conseguentemente le imprese, già pesantemente indebitate, non chiedono prestiti per investire nell'economia reale, dare denaro facile alle banche, senza finanziare direttamente la spesa pubblica e senza prevedere l'intervento pubblico in campo economico e nella distribuzione della ricchezza, avrebbe solo alimentato la speculazione finanziaria.
Keynes, aveva denominato questo prevedibile meccanismo “trappola della liquidità” ancora prima di lui Marx aveva definito “capitale fittizio” la pletora di ricchezza cartacea che si accompagna e sovrasta il capitale in forma concreta di denaro, forza-lavoro e mezzi di produzione. Economia di carta che si muove in maniera ancor più frenetica in presenza di una sovrapproduzione.
Keynes, aveva denominato questo prevedibile meccanismo “trappola della liquidità” ancora prima di lui Marx aveva definito “capitale fittizio” la pletora di ricchezza cartacea che si accompagna e sovrasta il capitale in forma concreta di denaro, forza-lavoro e mezzi di produzione. Economia di carta che si muove in maniera ancor più frenetica in presenza di una sovrapproduzione.
Oggi siamo in grado di misurare i risultati di questo intervento. Un bersaglio del Bazooka – così venne definito dai mass media – era favorire i mercati finanziari e indebolire l'euro. E non si può negare che i risultati siano stati tangibili: i tassi, lo spread e la quotazione dell'euro sono puntualmente diminuiti. Ma l'altro bersaglio, il principale, era la ricaduta di questo bombardamento nell'economia reale, lo stimolo al suo rilancio. Bersaglio che è stato mancato quasi completamente: il tasso di inflazione resta inchiodato alla 0,1, il Pil ristagna ancora poco sopra alla crescita media dell'1 per cento, l'Europa va peggio degli altri partner occidentali, le differenze tra le economie deboli e le forti dell'area euro si accentuano, la svalutazione dell'euro più che accrescere la competitività, ha provocato analoghe reazioni delle economie concorrenti (si veda la svalutazione del yuan cinese), il denaro facile alle banche è andato a finire in larga parte nella speculazione.
E adesso Draghi ci riprova. A fronte del netto peggioramento del quadro macroeconomico dell'eurozona, annuncia l'aumento del 33 per cento delle somme destinate all'acquisto di titoli (da 60 miliardi mensili a 80), includendovi anche i titoli di imprese private “solvibili” [1], prima esclusi, ed estendendo dal 33 al 50 per cento il tetto di ogni emissione obbligazionaria che la Bce potrà acquistare. Parallelamente vine ridotto il tasso di rifinanziamento delle banche dallo 0,05 allo ZERO/VIRGOLA/ZERO e vengono inaspriti i tassi di interesse negativi sui fondi che le banche depositano presso la Bce. In sostanza Francoforte pagherà le banche perché concedano credito alle imprese e ai consumatori e le penalizzerà per i fondi che restano inutilizzati.
Si è quindi potenziata, fino quasi ai suoi estremi limiti, la capacità di fuoco sui mercati finanziari. Usando una metafora analoga a quella a suo tempo divulgata, si è passati dal bazooka all'artiglieria pesante, e non manca chi ha addirittura parlato, esagerando solo un po', di bomba atomica.
Il ricorso a un'arma più potente è la dimostrazione evidente dell'esito insoddisfacente del rimedio fin qui utilizzato. Ma è anche un espediente estremo, disperato, visto che si tratta ancora di interventi di carattere puramente monetario, fin qui rivelatisi inefficaci e che, con quest'ultimo, gli spazi per simili misure sono praticamente esauriti.
Quale impresa contrae prestiti se non ha prospettive di vendere i propri prodotti? Quale famiglia si indebita se vive di un reddito precario, o di un salario sempre più ridotto e patisce le prospettive della propria vecchiaia, con le pensioni ormai divenute un miraggio? Continueranno i risparmiatori a finanziare le imprese se i rendimenti sono nulli e i depositi sono solo un costo, o preferiranno mettere i soldi sotto il più sicuro mattone?
Non è certo responsabilità di Draghi, o non principalmente sua, se le cose hanno preso questa brutta piega. Di fronte a una sovrapproduzione così vasta, all'implosione del sistema Europa, a un apparato industriale dei paesi europei più deboli così fragile, certamente non molto di più può fare la Bce. Potrebbero invece farlo gli stati e l'Unione Europea: politiche fiscali espansive e soprattutto più solidali, rivalutazione del lavoro, intervento pubblico nell'economia per indirizzarla verso obiettivi di utilità generale ed ecocompatibili. Ma tutto questo è precluso, proibito dagli stessi trattati europei [2], improntati al liberismo e alla compressione dei diritti sociali, mentre l'unica fonte di investimenti pubblici, il patetico piano Juncker, pare un fantasma.
Il pareggio di bilancio incuneato perfino nella nostra carta costituzionale – che non a caso sta subendo un'opera di smantellamento sistematica –, le crescenti privatizzazioni che, come nel caso dell'acqua, si fanno beffa perfino della volontà chiaramente espressa nei referendum dai cittadini, i tagli ai servizi pubblici essenziali, la demolizioni dei diritti dei lavoratori, stanno a dimostrare che il capitalismo globalizzato aborre l'intervento pubblico a difesa del benessere comune e vede nello stato solo il garante dei propri interessi.
In questa fase le politiche riformiste e il compromesso keynesiano non hanno più spazi, sia per un motivo generale, la caduta del saggio del profitto che deve essere contrastata con la svalutazione del salario diretto, indiretto e differito, sia per un motivo specifico legato alla fase stessa, che vede puntare il capitale verso un'accelerazione della sua centralizzazione. Serve allora che i risparmi vengano dirottati verso i mercati finanziari internazionali. Per questo il debito pubblico fa tanta paura. I soldi dei risparmiatori non devono essere “sprecati” per finanziare l'intervento pubblico ma indirizzati alla capitalizzazione. I trattati europei sono lo strumento ideale per giustificare queste politiche.
Ormai anche fonti non sospette [3] cominciano a pensare che sia opportuna almeno una sospensione delle regole europee. Meglio tardi che mai.
Ma, a dispetto dell'evidenza, si continua a ripercorrere disperatamente la strada monetarista. Si pompano miliardi di euro nelle banche mentre agli Stati membri si impongono politiche sempre più restrittive e il rispetto rigoroso dei vincoli di finanza pubblica.
Draghi per la verità ha chiesto che alla sua manovra si affianchi un ruolo attivo dei governi. Ma gli interventi che invoca – le riforme strutturali – sono i vari jobs act e i tagli al welfare, insomma una maggiore coerenza liberista e in ogni caso “all'interno delle regole europee”. Ma è coerenza combattere la deflazione con misure monetarie mentre le politiche fiscali la alimentano?
Anche questa volta non è arduo prevedere che l'artiglieria pesante o la bomba atomica produrranno risultati insoddisfacenti. Non riusciamo a prevedere invece quello che succederà dopo questo ennesimo fallimento, in un'Europa che assiste al montare dei movimenti di destra e xenofobi e che non è in grado di governare il fenomeno migratorio provocato principalmente dalle sue aggressioni imperialiste. Non lo sappiamo, ma sappiamo con certezza che molto dipenderà anche dalla nostra capacità di individuare obiettivi politici chiari e sviluppare lotte idonee a perseguirli.
Note:
[1] I titoli privati acquistabili sono quelli col rating fino a BBB. Evidentemente la Bce continua a fidarsi, nonostante i disastrosi precedenti, delle attuali agenzie di rating.
[2] Si segnala in proposito l'articolo di Sergio Bruno su Sbilanciamoci.info in cui si ragiona sul tabù del debito pubblico e si rileva che, in assenza della possibilità di emettere moneta per finanziarlo, prorpio la prsenza di tale debito – bizzarramente – ha consentito di adottare il Qe. Si forniscono anche dati ed elementi fattuali sulle emissioni monetarie che, a differenza delle aspettative del modello monetarista, non hanno inciso significativamente sull'inflazione, facendo ipotizzare il dirottamento della nuova moneta verso la speculazione. L'articolo tuttavia non pare discostarsi dall'impostazione keynesiana e quindi non prende atto dei limiti oggettivi che tali politiche oggi incontrano, né tantomeno cerca di fornirne una spiegazione.
[3] Per esempio Andrea Boitani, professore di Economia monetaria all'Università Cattolica di Milano, il 10 marzo sull'Espresso.
Fonte: La Città futura
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