di Serena Giannico
Petrolio, è sempre stata storia amara per Renzi. Tallonato e contestato dagli ambientalisti, e non solo, per questioni di… greggio, ha cercato in ogni occasione di dribblarli, di boicottarli, di schivarli. E ora si ritrova in un mare nero, impantanato. Con la titolare del ministero dello Sviluppo economico, Federica Guidi, costretta a dimettersi per aver aiutato il suo uomo, Gianluca Gemelli, ad entrare nel progetto Tempa Rossa, il centro Oli voluto dalla Total in Basilicata.
Per il fidanzato dell’ex ministra un affare da circa due milioni e mezzo di euro. Una «spintarella» alle pratiche, all’iter in atto – prima tramite lo Sblocca Italia e poi con un emendamento all’ultima legge di stabilità – et voilà, tutti felici e contenti. Fino all’inchiesta dei carabinieri del Noe e della magistratura di Potenza che, l’altro ieri, hanno proceduto a sequestri e ad arresti.
Con le intercettazioni telefoniche che hanno portato alla luce intrallazzi di famiglia e di Stato e che hanno fatto finire sotto inchiesta il compagno della Guidi e incastrato la ministra, obbligata, di corsa, a lasciare il proprio incarico. Ombre anche sulla sua collega Boschi…. «…Maria Elena è d’accordo…», rivelano le intercettazioni. Le indagini e gli accertamenti su Tempa Rossa, impianto contestato dalla popolazione, hanno svelato l’ennesima commistione fra interessi politici ed economici.
«Siamo di fronte a una organizzazione criminale di stampo mafioso, organizzata su base imprenditoriale», ha detto il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, per descrivere l’inchiesta che ha prodotto 5 arresti e 23 indagati, tra cui Gemelli.
Relazioni pericolose, con tanto di figuraccia per il governo a due settimane dal referendum anti trivelle del 17 aprile. Quel referendum, proposto da dieci Regioni e che il premier e i suoi ha cercato in ogni maniera di evitare. Contro cui il Pd ha predicato poi l’astensione. Ora lo spettro della consultazione popolare è più pressante.
«L’esecutivo del governo Renzi – attaccano i No Triv – per mesi ha fatto di tutto (a livello lecito e sottobanco, mettendo in campo un mix di strumenti normativi e di ricatti basati su logiche di scambio) per evitare ad ogni costo che si potesse giungere a questo importante appuntamento. Con determinazione, in maniera a volte subdola e sfacciatamente vergognosa, ha finora perseguito la finalità di ostacolare l’idea stessa che milioni di italiani potessero dire la loro in materia di perforazioni per la prospezione, ricerca, coltivazione di idrocarburi».
Una nazione che si preoccupa di tutelare prioritariamente gli interessi dei privati a scapito di quelli pubblici. La salute dei cittadini, l’ambiente e il territorio svenduti alle multinazionali del greggio: questa l’accusa. Per cosa? Per pochi denari o per sentimento… «Da sempre – afferma il coordinamento abruzzese No Ombrina, da anni schierata contro le perforazioni nel mare Adriatico – denunciamo il conflitto di interessi della ministra Guidi, titolare di un’azienda legata al settore energetico. Quindi quanto svelato dall’inchiesta lucana non è una sorpresa. Se confermata, è la solita sporca storia vista e rivista: il profitto, il guadagno, i soldi che passano come un bulldozer sopra tutto e tutti, incuranti di leggi, regole e di vite».
Federica Guidi figlia di Guidalberto Guidi, un falco di Confindustria, amico e commensale ad Arcore di Berlusconi, ha rappresentato fin dal suo insediamento il più grande conflitto d’interessi del Paese: ministro alle Attività produttive con delega alle Comunicazioni, tv comprese, e fino al giorno prima nella Ducati Energia, guidata dal padre, assegnataria di commesse milionarie da Enel, Poste, Ferrovie, enti locali.
«Un governo – viene aggiunto – che, con questa vicenda, perde parecchia credibilità. E, a questo punto, i cittadini debbono dare un segnale forte, andando alle urne. Il referendum non influirà sulle attività estrattive, ma può rappresentare un segnale forte: un invito al cambiamento a livello energetico e non solo. Stop ai fossili, sì alle rinnovabili».
E oggi preghiera e digiuno in piazza San Pietro contro le trivelle e per l’acqua pubblica. Sono ottanta le diocesi, con relativi vescovi, che si sono date appuntamento, a mezzogiorno, sotto la finestra del Papa, per attirare l’attenzione sul referendum. «Un Sì per dire No alle trivelle».
Fonte: il manifesto
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