di Alessandra Ciattini
In numerose fonti di informazioni latinoamericane e cubane (anche ufficiali) si discute molto sulle conseguenze della visita a Cuba del presidente Barack Obama, insignito per il solo fatto di essere quasi nero e statunitense del premio Nobel per la pace; conseguenze che ovviamente non si faranno sentire solo nell'isola caraibica, ma che si riverberanno su tutta la società latinoamericana, scossa da una serie di tensioni e conflitti, il cui obiettivo è la destabilizzazione dei governi progressisti ivi operanti. In questo senso Cuba resta un simbolo ancora vitale, la cui stessa esistenza rimanda a possibili alternative per gli Stati Uniti indigeribili. Naturalmente in questo breve intervento rifuggirò da tutte quelle interpretazioni che, solo allo scopo di generare sensazionalismo, fanno di questo evento qualcosa di epocale, da cui dovrebbe scaturire una nuova fase nella storia del mondo (come, d'altra parte, ho fatto in un altro intervento pubblicato sempre su LCF).
Comincio con il soffermarmi su quanto si ricava dal canale televisivo interstatale Telesur, cacciato recentemente dall'Argentina, in cui è andato al potere un personaggio legato alla passata dittatura e al capitale transnazionale.
Nel noticiero e nei vari programmi di Telesur emergono sostanzialmente due aspetti della questione: da un lato, si sottolineano i possibili vantaggi che deriverebbero alla più grande delle Antille dall'apertura delle relazioni commerciali e finanziarie con gli Stati Uniti, la quale provocherebbe il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e, di conseguenza, il consolidamento del socialismo cubano, che dovrà essere prospero e sostenibile. È questa la linea ufficiale, identificata in particolare con la figura di Raúl Castro, il quale ha sempre parlato della necessità di “actualizar el socialismo cubano” e di procedere alla normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, con i quali rimangono tuttavia – sottolinea - importanti divergenze. E, d'altra parte, l'attuale leader cubano ha anche più volte ribadito che tale normalizzazione potrà realizzarsi solo nel pieno rispetto dell'autonomia e della sovranità della nazione cubana, ossia con il ripudio della politica di ingerenza anche violenta, che – nonostante le parole amichevoli di Obama a Cuba – continua a manifestarsi in varie forme; pensiamo, per esempio, al prolungamento delle sanzioni contro il Venezuela considerato una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e un paese non rispettoso dei diritti umani (1).
Nel noticiero e nei vari programmi di Telesur emergono sostanzialmente due aspetti della questione: da un lato, si sottolineano i possibili vantaggi che deriverebbero alla più grande delle Antille dall'apertura delle relazioni commerciali e finanziarie con gli Stati Uniti, la quale provocherebbe il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e, di conseguenza, il consolidamento del socialismo cubano, che dovrà essere prospero e sostenibile. È questa la linea ufficiale, identificata in particolare con la figura di Raúl Castro, il quale ha sempre parlato della necessità di “actualizar el socialismo cubano” e di procedere alla normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, con i quali rimangono tuttavia – sottolinea - importanti divergenze. E, d'altra parte, l'attuale leader cubano ha anche più volte ribadito che tale normalizzazione potrà realizzarsi solo nel pieno rispetto dell'autonomia e della sovranità della nazione cubana, ossia con il ripudio della politica di ingerenza anche violenta, che – nonostante le parole amichevoli di Obama a Cuba – continua a manifestarsi in varie forme; pensiamo, per esempio, al prolungamento delle sanzioni contro il Venezuela considerato una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e un paese non rispettoso dei diritti umani (1).
L'altro aspetto è di tutt'altro segno: vari analisti politici, intervistati da Telesur, parlano in maniera esplicita di “cavallo di Troia”, nel senso che l'apertura di Obama costituirebbe semplicemente una nuova strategia, rispetto a quella cinquantennale del bloqueo, che però si pone lo stesso identico obiettivo: inserire Cuba a pieno titolo nel mercato capitalistico, mostrando ai paesi recalcitranti (in primis quelli latinoamericani) che al di fuori di esso non ci sono alternative ragionevolmente perseguibili. Oltre a ciò, ovviamente, annettere politicamente e militarmente l'isola caraibica, cruciale snodo strategico dal quale si può controllare tutta l'America latina; obiettivo antico perseguito sin dai tempi della colonia, quando si propose alla Spagna di vendere agli emergenti vicini uno dei suoi gioielli più preziosi. D'altra parte, nella relazione al VII Congresso del Partito comunista cubano, tenutosi tra il 16 e il 19 aprile, lo stesso Raul paventa tali pericoli.
L'enfasi su questo secondo corno della questione si richiama al celebre e lodato discorso del 17 dicembre 2014, nel quale Obama dice esplicitamente: <> (sottolineatura mia).http://cadenaser.com/ser/2014/12/17/internacional/1418836465_547836.html.
Condivide questa interpretazione Àngel Guerra, il quale, ribadendo che il processo di normalizzazione avviato rappresenta una vittoria del popolo cubano, che ha sempre rifiutato di sottomettersi al suo potente vicino, scrive che gli obiettivi statunitensi rispetto a Cuba non sono cambiati (http://www.telesurtv.net/bloggers/La-visita-de-Obama-y-Raul-el-estadista-20160323-0005.html).
Ovviamente tali criticità risaltano anche nella stampa cubana (il Granma), nella quale quotidianamente sono citati passi significativi di discorsi fatti in passato da Fidel Castro, in cui per esempio si sottolinea che l'unità e la dottrina (marxista-leninista) costituiscono i pilastri della Rivoluzione cubana (30 marzo 2016). E ciò allo scopo di rimarcare che - credo -, nonostante la cordialità degli incontri tra i capi di Stato dei due paesi, non c'è alcun segno di cedimento da parte di Cuba.
Nello stesso numero del Granma appare un breve articolo, ma molto interessante in questo senso, in cui sono riportate le riflessioni di Bruno RodrÍguez, ministro degli esteri della Repubblica di Cuba, a proposito dell'ipotizzata fine – ma finora non realizzata – del bloqueo. RodrÍguez ribadisce con vigore che l'abolizione di esso deve essere il risultato di un atto unilaterale degli Stati Uniti. Infatti, egli afferma: <>. Naturalmente tale affermazione categorica non può che suggerire che gli Stati Uniti, forti del loro predominio internazionale e facendo leva sulle possibilità di investimento, di trasferimento di beni e di tecnologie, stanno facendo forti pressioni sul governo cubano, perché avanzi nella ristrutturazione economica avviata in varie tappe a partire dagli anni '90 con l'apertura al capitale straniero. Se non fosse così, non ci sarebbe stato bisogno di tale netta dichiarazione, dal momento che ciò che si dichiara rimanda implicitamente a quanto non detto.
Bruno RodrÍguez analizza nel dettaglio la portata delle misure prese da Obama e la loro reale incidenza. Per esempio, la decisione di autorizzare l'uso del dollaro nelle transazioni finanziare con Cuba è rimasto un <>, giacché le banche cubane non possono ancora oggi aprire conti negli Stati Uniti. Inoltre, egli osserva che l'apertura decisa nel campo delle telecomunicazioni e l'appoggio finanziario dato al settore non statale (il cosiddetto cuentapropismo), creato a Cuba con una serie di misure volte ridimensionare l'intervento dello Stato nell'economia, ha la sola finalità di favorire la creazione di un'opposizione al governo cubano, - aggiungo - sulla quale far leva (come in Venezuela) per sovvertire il sistema politico-sociale cubano (lo stesso Raúl nel suo discorso indica questa possibilità). RodrÍguez aggiunge un'ulteriore elemento: non sarà possibile l'esistenza di relazioni normali tra gli Stati Uniti e Cuba, fino a che questi ultimi continueranno a occupare abusivamente il territorio cubano di Guantánamo e a finanziare programmi televisivi e radiofonici, diffondendo informazioni, il cui scopo è minare l'ordine costituzionale del paese caraibico. Bisogna aggiungere che la visita di Obama a Cuba, svoltasi tra sorrisi e gesti simpatici, è stata abilmente preparata in tutti i suoi dettagli, i quali ci comunicano assai bene, anche se talvolta implicitamente, la strategia adottata. Per esempio, vale la pena sottolineare – come fa Guerra – il non aver chiesto perdono in nessuna occasione per la politica aggressiva e ostile portata avanti dagli Stati Uniti contro Cuba (2), alcuni aspetti della quale sono ben illustrati da un altro articolo del Granma (31 marzo 2016). In questo articolo si menzionano vari attentati e sabotaggi organizzati dagli Stati Uniti nel marzo del 1961, ossia poco tempo prima della tentata invasione con lo sbarco dei controrivoluzionari nella Playa Larga e nella Playa Girón. È opportuno ricordare qualche episodio, che ci mostra come il terrorismo non sia un'esclusiva modalità di azione del “pericolo islamico”, come le numerose violazioni dello spazio aereo cubano effettuate da aeroplani provenienti dalla base di Guantánamo, l'esplosione di bombe in varie zone dell'Avana, l'uccisione di militanti e contadini da parte di controrivoluzionari; questi ultimi operavano in maniera significativa soprattutto nella regione montagnosa dell'Escambray e furono sconfitti proprio nel marzo del 1961 (3).
Nella conferenza stampa di Obama e Raúl Castro, il tema mistificante della violazione dei diritti umani a Cuba e della presenza di prigionieri politici non è stato sollevato da Obama, ma dal giornalista della CNN, di origini cubane, strettamente legato alla Casa Bianca, Jim Acosta, con una mossa ovviamente organizzata. Raúl ha risposto irritato e sarebbe stato opportuno ricordare che nelle carceri statunitensi (4), ormai gestite privatamente, sono rinchiusi migliaia di latino e afroamericani, al cui malessere sociale si dà solamente una risposta repressiva; inoltre, in quelle stesse carceri sono stati rinchiusi centinaia di portoricani – uomini e donne – che hanno lottato per l'indipendenza del loro paese e per la chiusura della base statunitense di Vieques; tra questi ultimi non può esser dimenticato Oscar López Rivera, il quale sarà liberato nel 2025 a 82 anni di età, dopo aver passato in prigione ben 44 anni.
Concludo queste rapide osservazioni, richiamandomi al contrasto in precedenza descritto e ponendomi un quesito formulato anche in una delle trasmissioni tenute dal noto e stimato Walter Martínez (Dossier in Telesur): saranno i dirigenti rivoluzionari in grado di far sì che l'effettiva normalizzazione delle relazioni politiche, economiche, culturali avvenga effettivamente su una piano di parità e nel rispetto, impedendo così che l'ingresso del potente vicino nell'isola caraibica faccia sgretolare le strutture portanti del socialismo cubano?
Note
(1) Il ministro degli esteri del Venezuela, in risposta alla decisione di Obama, ha dichiarato che il decreto esecutivo contro il Venezuela, promulgato nel marzo 2015, costituisce una violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Sulla stessa linea il presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha affermato che tale documento è una dichiarazione di guerra, grave come il bloqueo contro Cuba (https://actualidad.rt.com/actualidad/201311-ortega-criticar-decreto-obama-venezuela).
(2) Facendoci dunque pensare che, differenza del papa, Obama nemmeno si pente.
(3) Ricordo anche il bombardamento fatto il 15 aprile del 1961 da alcuni aerei americani con le insegne cubane di alcuni aeroporti militari dell'isola.
(4) Non dimentichiamo ovviamente i prigionieri chiusi nella base di Guantánamo.
Fonte: La Città futura
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