di Gavino Maciocco
Se alla fine degli anni 90 Big Pharma, dopo la scoperta dei farmaci antiretrovirali, aveva visto aprirsi praterie di mercato su cui lucrare profitti vertiginosi, e poco importava se rimanevano fuori milioni e milioni di malati di HIV/AIDS residenti nelle aree più povere del pianeta, oggi la storia si ripete con l’epatite C, ma con una variante: ad essere esclusi dai benefici del progresso scientifico sono i pazienti che abitano nelle zone più ricche del mondo e condividono con tutti gli altri gli effetti della globalizzazione finanziaria senza regole e senza rispetto. …E allora, non chiedere per chi suoni la campana. Essa suona per te.
Sudafrica, 1997.
Sudafrica, 1997.
L’epidemia di Aids sta devastando il paese: circa 3 milioni di persone infettate da HIV e centomila morti l’anno. Sono entrati da poco in circolazione i farmaci antiretrovirali, molto costosi e protetti dal brevetto. Subito utilizzati nei paesi più ricchi hanno dimostrato un’elevata efficacia, ma a causa del costo sono assolutamente inaccessibili nei paesi a medio e basso livello di sviluppo. Per questo motivo Nelson Mandela, presidente del Sudafrica, promulga una legge – Medical Act – che consente la produzione locale o l’importazione di farmaci in deroga alle norme sui brevetti (e quindi a un costo decisamente inferiore). I presidenti delle 39 più grandi industrie farmaceutiche – Big Pharma – mobilitano un esercito di avvocati e avviano un’azione legale che blocca l’applicazione della legge, sostenendo che questa concederebbe al Ministero della Sanità sudafricano poteri arbitrari e in violazione di tutti gli accordi internazionali sul commercio. A fianco di Mandela e del Sudafrica si schierò l’opinione pubblica mondiale. “Portare Mandela sul banco degli imputati, che errore”, scrisse il Washington Post. Molte organizzazioni umanitarie lanciarono campagne di boicottaggio dei prodotti delle case farmaceutiche.
“Big Pharma uscirà comunque perdente da questo processo”, scrisse il Financial Times. Le pressioni internazionali, e il relativo crollo d’immagine, indussero Big Pharma a ritirarsi dal processo e sancirono una storica vittoria contro gli interessi commerciali nel campo della salute. Una vittoria resa al momento inutile dalla politica criminale del successore di Nelson Mandela, Thabo Mbeki, che abbracciò la teoria negazionista riguardo alle origini dell’AIDS, sostenuta dal biologo Peter Duesberg. Tale teoria, infondata e scientificamente screditata, negava ogni connessione causale tra HIV e AIDS, negava cioè che quel virus fosse la causa della malattia. La naturale conseguenza fu quella di considerare inutile e addirittura dannosa la cura dell’AIDS con farmaci antiretrovirali con effetti devastanti non solo per il Sudafrica, ma per l’intero continente: nel 2001 in Africa sub-Sahariana meno di 40.000 persone ricevevano il trattamento antiretrovirale, quando nella regione 25 milioni di soggetti erano infettati da HIV o ammalati di AIDS e l’epidemia provocava 2,2 milioni di morti all’anno.
Nelson Mandela continuò la sua battaglia e convinse le Nazioni Unite a dedicare una sessione speciale dell’Assemblea generale al tema della lotta contro l’HIV/AIDS che si concluse con una risoluzione che impegnava la comunità internazionale a sostenere i paesi più colpiti dall’epidemia, per rendere più diffusi e accessibili gli interventi di prevenzione e di cura.
Da allora la situazione è migliorata – si è ridotta la mortalità parallelamente al crescere della copertura della terapia antiretrovirale – ma è ben lontana dall’essere risolta. Nel mondo 37 milioni di persone sono affette da HIV/AIDS, di queste oltre il 50% non riesce ancora ad accedere al trattamento e non si ferma il numero delle persone che continuano a infettarsi (più di 2 milioni nel 2015, con solo una modesta riduzione rispetto agli anni precedenti).
Figura 1. Persone nel mondo che vivono con HIV-AIDS
Figura 2. Incremento della copertura con trattamento antiretrovirale e le sue conseguenze nella trasmissione materno-fetale
Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità. Maggio 2016
Nel 2016 per la prima volta l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato una Strategia globale contro le epatiti virali, definendo tale iniziativa ad alta priorità e ponendo l’obiettivo di eliminare questa minaccia di sanità pubblica entro il 2030. The Lancet ha dedicato a tale argomento un editoriale[1], in cui si evidenziano i due motivi che sono alla base di questa svolta:
Il primo riguarda il preoccupante aumento della mortalità – soprattutto per epatite B e C – registrato nel periodo 1990-2013 (+ 65%), in controtendenza rispetto alle altre malattie infettive maggiori come HIV/AIDS, tubercolosi e malaria (Figura 3)[2]
Il secondo riguarda la disponibilità di strumenti altamente efficaci nel contrasto delle malattie, il vaccino per l’epatite B e i nuovi farmaci antivirali per l’epatite C.
Figura 3. Numero stimato di morti (in milioni) a causa di Epatiti virali, HIV, Malaria e TBC.
L’editoriale evidenzia come per raggiungere l’obiettivo è necessario garantire l’accesso universale ai vaccini e ai farmaci antivirali e a questo proposito l’OMS raccomanda di utilizzare la flessibilità nell’applicazione del trattato sui brevetti per proteggere la sanità pubblica, un implicito invito a utilizzare la licenza obbligatoria nel caso dei nuovi farmaci contro l’epatite C (The use of the Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights regarding flexibilities to protect public health[3]).
“Gli alti prezzi delle nuove medicine sono una barriera insormontabile all’accesso in gran parte dei paesi, si legge ancora in un altro documento dell’OMS allegato in Risorse. La sfida è quella di garantire che tali farmaci siano abbordabili e che i pazienti che ne hanno necessità vi abbiano accesso senza il rischio di andare in rovina”.
Per sottolineare l’importanza dell’iniziativa l’OMS ha indetto una giornata dedicata alla lotta all’epatiti virali – World Hepatitis Day 2016: Know hepatitis – Act now – che si terrà il prossimo 28 luglio.
Italia, Gennaio 2015.
Il 7 gennaio 2015 è la data in cui è divenuto disponibile in Italia il Sofosbuvir, nuovo farmaco molto efficace contro il virus dell’epatite C, prodotto e brevettato dalla Gilead col nome di Sovaldi (vedi post Epatite C Il diritto alla cura). Il costo del farmaco è elevatissimo e la sua erogazione tramite il Servizio sanitario nazionale viene garantita solo a una minoranza dei pazienti, quelli più gravi. Per i pazienti che non rientrano nelle categorie stabilite dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) niente cure (salvo presentarsi in farmacia con un assegno da 74 mila euro e acquistare privatamente le agognate medicine).
“Appoggio la petizione – ci scrive una paziente – perché sono portatrice di epatite c, e per ora non ho diritto alla terapia perché sono ANCORA VIVA, cioè non gravissima, in quanto prima danno la precedenza alle persone in serio pericolo di vita. Ho fatto la visita l’anno scorso, una la farò lunedì prossimo, ma probabilmente se ne parlerà del 2017, forse. In India il SUFOSBUVIR costa 1000 euro per 3 mesi di cura, e credetemi l’ho visto personalmente, e non si tratta di un generico.
Perché qui il costo è così proibitivo? Perché io devo soffrire di debolezza cronica, dolori, problemi digestivi ecc? Quando potrei guarire in 6 mesi di terapia e tornare a vivere?”.
Il costo è cosi proibitivo perché così ha deciso la ditta produttrice. Poco conta che non esista alcun nesso tra investimenti in ricerca e sviluppo e prezzo del farmaco, come ha potuto dimostrare la commissione del Senato americano, il cui presidente Ron Wyden ha affermato – impotente – che la Gilead “stabilisce il prezzo con l’unico scopo di massimizzare i profitti, a prescindere dalle conseguenze sugli esseri umani”.
Se alla fine degli anni 90 Big Pharma, dopo la scoperta dei farmaci antiretrovirali, aveva visto aprirsi praterie di mercato su cui lucrare profitti vertiginosi, e poco importava se rimanevano fuori milioni e milioni di malati di HIV/AIDS residenti nelle aree più povere del pianeta, oggi la storia si ripete con l’epatite C, ma con una variante: che ad essere esclusi dai benefici del progresso scientifico sono i pazienti che abitano nelle zone più ricche del mondo, e che condividono con tutti gli altri gli effetti del liberismo sfrenato, della globalizzazione finanziaria senza regole e senza rispetto.
Manca oggi nel panorama mondiale una figura come Nelson Mandela che sappia opporsi alla supremazia del potere finanziario e speculativo a danno del funzionamento dei sistemi sanitari, della salute e della vita stessa delle persone. Ed è impressionante constatare come i governi nazionali o sovranazionali (vedi UE) si siano piegati senza la minima resistenza ai dictat di Big Pharma.
Anche le decisioni di AIFA sul razionamento delle cure (il numero dei trattamenti concessi e la tipologia dei pazienti) sono avvenute sotto forma di dictat. Nessuna discussione pubblica: a livello parlamentare, con i professionisti e le società scientifiche, con i sindacati, con la stampa. Niente. Nemmeno un passaggio attraverso il Comitato Nazionale di Bioetica, necessario viste le straordinarie implicazioni bioetiche della questione: il rifiuto programmato delle cure alla grande maggioranza dei pazienti. Andando a leggere i documenti relativi all’attività del Comitato negli ultimi due anni si trova di tutto: molte informazioni su maternità surrogata e eutanasia, anche uno spazio dedicato alla “Tutela degli animali impiegati dall’uomo in attività ludiche”. Neanche un cenno però al problema del costo dei farmaci e alla conseguente loro inaccessibilità.
L’afasia è il tratto dominante di questa tragica storia. Anche il mondo medico è rimasto in larga parte senza parole. Antonio Panti, presidente dell’Ordine dei medici di Firenze e uno dei primi firmatari della nostra petizione, sostiene che i medici si dividono in due categorie: quelli che ritengono che sia loro dovere occuparsi del prezzo dei farmaci e delle sue conseguenze assistenziali e quelli che no. Panti appartiene alla prima categoria di medici, ma la seconda categoria è nettamente maggioritaria, prova ne è il silenzio tombale sull’argomento della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici.
La petizione a favore della licenza obbligatoria che abbiamo lanciato con il post pubblicato lo scorso 20 luglio aveva lo scopo non secondario di rompere la cortina di silenzio e ci siamo riusciti, vista la risonanza che il post ha avuto e le tante adesioni che sono giunte (che pubblichiamo in calce all’articolo). L’idea era quella di raccogliere inizialmente le adesioni di organizzazioni, associazioni, ong, etc: cosa che è avvenuta e che invitiamo a fare per coloro che ancora lo desiderano. A settembre proseguiremo nella campagna e pubblicheremo le ulteriori adesioni.
Ci sono giunte anche adesioni individuali, abbiamo ricevuto il consenso e la condivisione di molte persone tramite i social network. Ci hanno colpito i messaggi di pazienti, come quello che abbiamo sopra pubblicato. Ma solo un’adesione (la Fondazione Paracelso, Associazione dei pazienti emofilici) da parte delle associazioni che dovrebbero rappresentarli e tutelarli. E ciò dovrebbe far molto riflettere, a proposito di afasia.
Risorsa
Who, Global Health Sector Strategy On Viral Hepatitis 2016–2021 Towards Ending Viral Hepatitis. WHO, June 2016 [PDF: 4,8 Mb]
Bibliografia
Towards elimination of viral hepatitis by 2030. The Lancet 2016; 388 (10042): 308
Stanaway JD et al. The global burden of viral hepatitis from 1990 to 2013: findings from the Global Burden of Disease Study 2013. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(16)30579-7
WHO. Draft global health sector strategies Viral hepatitis, 2016–2021
Fonte: saluteinternazionale.info
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