La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 7 luglio 2016

Socialismo, quei 5 falsi miti da sfatare

di Samuel Boscarello
Negli ultimi trent’anni sono ritornati in auge dei vecchi pregiudizi che la sinistra sperava di avere definitivamente superato. Se l’idea del comunista trinariciuto che mangia i bambini è ormai bonario folklore, oggi proliferano nuovi falsi miti ancora più fastidiosi. Per questo motivo è utile un piccolo vademecum che chiarisca ai piccoli epigoni di McCarthy alcuni punti fondamentali sul socialismo. Non vi piace il capitalismo? Siete violenti e dittatoriali. Come ogni ideologia politica, anche il socialismo è caratterizzato da molte sfumature. Lo si può essere alla Trotsky o alla Nenni, allo stesso modo in cui si può essere cattolici come Torquemada o Francesco d’Assisi. Il socialismo non è un monolite di violenza.
Anzi, sono decine i pensatori che sostengono la costruzione della società socialista tramite una continua azione riformatrice via via sempre più radicale, sempre nel pieno rispetto della pace e della democrazia. Come i fratelli Carlo e Nello Rosselli, uccisi dallo squadrismo a causa della loro militanza antifascista. In Occidente poi i principi socialisti si sono quasi sempre sposati alla tradizione liberale e umanistica. È grazie a questo incontro se abbiamo avuto Olof Palme, Willy Brandt, Sandro Pertini e molti altri. Persino gli spaventosi comunisti Berlinguer, Carrillo e Marchais erano fautori di un socialismo democratico europeo. Voler cambiare la società non significa distruggere l’esistente, ma trasformarlo.
E allora l’Unione Sovietica? Partiamo da un particolare che tutti incomprensibilmente trascurano: Marx muore nel 1883, Engels nel 1895. Lenin guida la Rivoluzione d’ottobre nel 1917. Questo vuol dire semplicemente che noi non sappiamo come i due autori del Manifesto del Partito Comunista avrebbero giudicato quell’avvenimento. La tragica colpa dei sovietici è stata quella di aver cercato di edificare una nuova realtà con la coercizione e la gerarchia, contraddicendo i valori di libertà ed eguaglianza insiti nel socialismo. Non è un caso che intellettuali e politici della sinistra già decenni fa criticassero i bolscevichi, tra cui Filippo Turati. Ma non solo. Marx ed Engels scrivevano che dopo la rivoluzione sarebbero stati necessari “interventi dispotici nel diritto di proprietà”, tra cui l’abolizione del lavoro minorile, l’istruzione pubblica e gratuita, la nazionalizzazione del settore dei trasporti e così via. Altro che Urss! Questi sono oggi dei capisaldi delle democrazie occidentali che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione. Oppure sì?
Siete contro la proprietà privata? Allora aprite casa vostra a chiunque. Una vecchia favola risalente ai tempi del “terrore rosso”. Si faceva credere ai lavoratori che il socialismo avrebbe strappato a ciascuno l’abitazione, il cibo, persino la moglie per mettere tutto in comune. È vero, Marx ed Engels teorizzavano la fine della famiglia, ma in quanto vedevano in essa un’istituzione che opprimeva la donna (era pur sempre l’Ottocento), non certo per promuovere chissà quale ratto delle Sabine dei nostri tempi. In ogni caso il socialismo aspira all’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, ossia degli strumenti attraverso i quali è possibile lavorare. Nel sistema capitalistico la fonte che legittima il profitto padronale è infatti lo status di proprietario dell’azienda in cui lavorano i propri dipendenti. Un socialista non intenderebbe mai spogliare chi lavora degli effetti personali che lo rendono indipendente e libero, nonché degli affetti che lo realizzano in quanto persona.
Il capitalismo è l’unico sistema economico realizzabile. Questa affermazione è legata al culto del capitalismo come evoluzione necessaria della società moderna. Ebbene, la storia recente contraddice che esista un’evoluzione lineare dei sistemi economici. Alcuni esempi? Il lavoro in proprio, la micro-impresa, l’economia comunitaria. Si credeva che queste forme di organizzazione sarebbero andate scomparendo, sostituite dalle grandi aziende dell’età industriale. Oggi invece stanno riacquistando importanza, contraddicendo tutte le fideistiche previsioni del caso. Lo stesso fideismo che crede il capitalismo eterno o insostituibile. Naturalmente l’alternativa non può essere un relitto della storia come la pianificazione di stampo sovietico, inefficiente e autoritaria. È invece certamente ammissibile l’esistenza del mercato, purché sia adeguatamente regolato. La vera rivoluzione consiste nell’applicazione del principio democratico all’interno dell’impresa: la cooperativa.
L’impresa democratica non può funzionare in tutti i settori economici. Ecco qui due errori enormi, uno teorico e uno pratico. Il primo è che i requisiti affinché il metodo democratico funzioni sono perlopiù culturali e non legati ad una particolare attività economica: spirito civico, tolleranza, disponibilità al compromesso. È sbagliato pensare che nell’impresa democratica tutti si occupino di fare qualsiasi cosa. Ciascuno svolge il lavoro in cui è specializzato, ma seguendo un orientamento generale che è stabilito di comune accordo, esattamente come nello Stato vi sono politici, tecnici e operatori vari (dai giudici alle forze dell’ordine) che si occupano di integrare e dare corpo alla volontà popolare espressa dal Parlamento. L’obiezione pratica è che nei fatti esistono imprese democratiche operanti praticamente in ogni settore: quelli tradizionali come agricoltura, manifattura e commercio ma anche servizi finanziari, assicurazioni, hi-tech, ricerca scientifica. E sono solo alcuni esempi.
Il socialismo non è un’illusione per sognatori. Ciò che due secoli fa sembrava utopia (pensiamo al welfare state) è stato compiuto. Ciò che oggi ci appare irrealizzabile sarà la quotidianità dei nostri nipoti. Il socialismo non è nemico della democrazia: è la sua più alta e piena concretizzazione.

Fonte: Qualcosa di Sinistra 

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