La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 24 ottobre 2016

Il fondamentalismo sessuato del neoliberismo

di Simona De Simoni
Il volume curato da Federico Zappino – Il genere tra neoliberalismo e neofondamentalismo(ombre corte, 2016) – presenta una discussione situata e plurale della «questione del genere». L’attualità del problema è manifesta: per fare un solo esempio, nei giorni in cui la raccolta di saggi esce in libreria, Papa Bergoglio paragona la presunta «teoria del gender» a un’arma atomica di distruzione di massa. Un’esternazione certamente iperbolica che, tuttavia, ben riassume le preoccupazioni di una vague neofondamentalista alla ribalta sulla scena politica in tutta l’area nordatlantica.
Su questo fenomeno, il posizionamento degli autori e delle autrici è dichiarato e costituisce l’assunto centrale e condiviso delle analisi avanzate nei singoli contributi: il neofondamentalismo non esprime una mentalità retrograda e regressiva, ma, al contrario, costituisce un regime discorsivo complementare a quello neoliberale. Mentre, infatti, la logica del neoliberalismo prevede/concede – almeno ad alcune coordinate geografico-politiche – la moltiplicazione delle espressioni individualizzate del sé a patto che tutte le pratiche soggettive siano socialmente normalizzate ed economicamente produttive (tanto in termini di sfruttamento, quanto di consumo), il neofondamentalismo prescrive la riproduzione dell’ordine sociale e simbolico all’interno del quale si iscrivono le stesse istanze normative.
Analizzando l’interazione tra neoliberalismo e neofondamentalismo, gli autori e le autrici tracciano i contorni di una emergente epistemologia reattiva/reazionaria della sessualità finalizzata, in ultima analisi, alla riproduzione sociale dei rapporti di potere. Una prospettiva analitica a partire dalla quale, come suggerisce Cristian Lo Iacono nel suo contributo al volume, il problema del genere assume caratteri epocali in quanto si inserisce nel solco della crisi materiale di un regime di cittadinanza incentrato sulla figura del lavoratore salariato e fondato sull’equilibrio tra produzione e riproduzione, a suo tempo garantito dall’istituto della famiglia eterosessuale e mononucleare. Secondo gli autori e le autrici, dentro questa crisi del paradigma eteronormativo della cittadinanza si scatena una vera e propria «guerra al gender» che implica la ridefinizione dei criteri di inclusione ed esclusione nello spazio della cittadinanza. Mentre da un lato, lo sfaldarsi del «compromesso storico» tra ordinamento sessuale, ordinamento politico e organizzazione economica della società (per riprendere una suggestione formulata da Beatrice Busi in questo volume) apre la strada al riconoscimento e all’affermazione di nuove soggettività e alla moltiplicazione delle pratiche e delle possibilità sessuali (come auspicato da prospettive diverse nei saggi di Brunella Casalini, Olivia Fiorilli e Stefania Voli, Angela Balzano); dall’altro prelude all’instaurazione di nuove forme di disciplinamento e governance delle soggettività.
Dentro il regime neoliberale – lo evidenziano in un contributo a sei mani Elisa Bellé, Caterina Peroni e Elisa Rapetti – si affermano contemporaneamente «processi di secolarizzazione neoliberali» e «risacche conservative (o restaurative) neofondamentaliste» che articolano le proprie retoriche pubbliche a partire da una comune epistemologia della sessualità incentrata sul ricorso alla natura: da un lato, per sancire l’inviolabilità del binarismo sessuale e dell’eterosessualità; dall’altro per affermare la legittimità di orientamenti sessuali plurali (purché rigorosamente individualizzati) di soggetti senza corpo e senza storia. In entrambi i casi si impone una concezione naturalizzata della cittadinanza sessuale a cui fa da contraltare un paradossale re-incantamento del privato. La separazione politicamente strutturante di pubblico e privato viene, risignificata (o ri-territorializzata) alla luce delle trasformazioni materiali della società neoliberale.
A tal proposito, nel suo contributo al volume, Gianfranco Rebucini si riferisce a un processo di privatizzazione e eterosessualizzazione delle soggettività gay e lesbiche che ne ha progressivamente determinato la depoliticizzazione. Secondo Rebucini – che esprime un posizionamento condiviso da altri autori e autrice – il lessico ormai egemonico dei diritti sessuali instaura un regime di «identicità», una «logica neoliberista della sessualità» incentrata sulla privatizzazione della sfera degli affetti, la diversificazione dei consumi sessuali e la moltiplicazione delle forme contrattuali (matrimoniali o pseudo-matrimoniali) di tutela e trasmissione della proprietà privata. Una concezione della sessualità interna al processo di ristrutturazione neoliberale che – come mostrano Alessia Acquistapace, Elisa A.G. Arfini, Barbara De Vivo, Antonia Anna Ferrante e Goffredo Polizzi in un intervento collettivo – risulta fondamentale alla declinazione situata delle politiche di austerity su ampia scala.
Il rapporto tra la performance di genere e i processi di soggettivazione politico-economica risulta, dunque, sempre più stretto al punto da suggerire – seguendo l’indicazione di Renato Bussarello – l’elaborazione di una «critica dell’economia politica della sessualità». Se, infatti, come afferma l’autore, il neoliberalismo dispone un vero e proprio «apparato di cattura delle soggettività gay, lesbiche, trans, dentro le maglie della produzione capitalistica di soggettività», tutte le identità sessuate e sessuali assumono un carattere lavorato e lavorante e, pertanto, sono espressione di conflittualità potenziale. Assumendo una prospettiva analoga, Cristina Morini invita a calare la questione del genere dentro una diagnosi complessiva del regime biocapitalistico di accumulazione e a pensare, in tal modo, i processi di soggettivazione in-generata come un terreno di conflitto radicale: da un lato la minaccia della sussunzione integrale, dall’altro la moltiplicazione delle liberazioni possibili.
Sulla stessa linea di fuga si collocano le ipotesi formulate da Judith Butler nell’intervista condotta da Federica Castelli. Incalzata sul rapporto tra femminismo e condizioni storiche attuali, Butler afferma la necessità di instaurare un insieme di «ri-costituzione un duplice obiettivo: da un lato, ridefinire, situandolo, l’impegno politico, dall’altro rafforzarsi collettivamente praticando forme di cura reciproca innovative e sovversive dentro il paradigma economico, sociale e culturale, della precarietà. Una vera e propria ri-costituzione dello spazio pubblico a partire dall’irruzione di una molteplicità di soggetti esclusi e marginali e della relativa proliferazione degli spazi privati. Una moltiplicazione di contro-spazi, dunque, a partire dai quali – come auspica Carlotta Cossutta – declinare in modo nuovo il motto femminista «il personale è politico».
Dal testo emerge così una prospettiva collettiva di assedio volto ad affermare nuove forme di cittadinanza materiale a partire da una ridefinizione radicale del rapporto tra sessualità, soggettività e spazialità politica. Un programma di «sovversione dell’eterossesualità», come lo definisce Zappino nel saggio conclusivo del volume, che prevede un duplice cambio di paradigma, epistemico e politico: da un lato, la costruzione di una «epistemologia queer del vivente» in grado di affermare un modello spettrale della sessualità rispetto al quale i dispositivi di normatività sessuale risultino inefficaci; dall’altro la decostruzione dell’ennesimo privilegio implicito nella concezione occidentale e moderna della cittadinanza. In questo modo, si prospetta un’opzione di radicale destabilizzazione dei generi, di sovversione delle pratiche relazionali e di esplorazione di possibili fronti ri-costituenti che – seppure non possono dischiudere qui ed ora uno spazio di estraneità – possano, almeno, definire qualche segmento di libertà.

Fonte: operaviva.info

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