La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 26 ottobre 2016

Il precipizio culturale del Pd

di Alessandro De Angelis 
La notizia non è il banale gioco d'Aula che è andato in scena in una giornata senza pretese e senza pathos. Col Pd che rinvia in commissione la proposta di legge di Roberta Lombardi sul taglio degli stipendi. E i 5Stelle che, un minuto dopo, sentono di aver segnato un punto: "Avete visto? Non volete tagliare?". Tutto ovvio. La notizia - se qualcuno ha a cuore di aprire una riflessione a sinistra, abitudine sempre più demodé - è che oggi alla Camera così come ieri e l'altroieri nei comizi del premier, in piazza o in tv, è andato in scena il precipizio culturale del Pd. Il precipizio è la scelta, consapevole, del populismo come terreno della contesa, in particolare coi 5Stelle. Un populismo che si alimenta di antipolitica, di cultura anti-istituzionale, di propaganda spiccia anticasta.
I muri dell'Italia sono tappezzati di manifesti con su scritto: "Vota sì per tagliare i politici". L'intervento del capogruppo Rosato è anch'esso un manifesto di propaganda: "A Beppe Grillo dico: dopo essere venuto qui, vada anche in un altro colle, e chieda conto dei costi, delle auto blu, delle consulenze". E ancora: " A voi non interessava una legge che mettesse ordine e tagliasse i costi ma tagliasse semplicemente gli stipendi. Per dire che un parlamentare dovesse prendere la metà della Muraro". Un intervento peraltro urlato e accompagnato da una mimica scomposta, col gruppo attorno in versione da stadio che supporta il suo capo ultrà.
Eccolo, il precipizio culturale. Per raccattare voti, il Pd renziano ha scelto di giocare a fare, diciamo così, "i grillini coi grillini" provando a contendere loro il primato anti-Casta: "Tu vuoi tagliare gli stipendi? Io taglio il Senato, dunque taglio più di te", "tu vuoi tagliare i rimborsi", "io taglio il doppio". E così via. Avanti così se Grillo proponesse di mettere i politici in mutande, per superarlo forse Rosato si presenterebbe nudo in Aula. Come notava Francesco Bei in un lucido pezzo sulla Stampa: "Di tutta la riforma costituzionale su cui saremo chiamati a votare il 4 dicembre, nonostante tonnellate di articoli e migliaia di ore di confronti tv, alla fine l'unica cosa che scalda il confronto è proprio quella dei costi della politica".
Sia chiaro: niente di male a razionalizzare, a tagliare gli sprechi, a ridurre i costi. Ma il punto è un altro: come mai a De Gasperi o a Berlinguer nessuno ha mai chiesto quanto guadagni? Forse perché, una politica autorevole e legittimata, sentita come una missione, non si misura in euro. E tutto questo dibattito di oggi è dovuto al fatto che, in giro, non si vedono tanti De Gasperi o Berlinguer né si percepisce tanta autorevolezza.
Bene. Ma allora, forse, nel momento in cui un partito presenta una rifondazione dello Stato - tale è una riforma della Costituzione - dovrebbe spiegare come si rilegittima la politica agli occhi dei cittadini, con la democrazia e non con i risparmi. Perché è ora di dire in modo chiaro che la democrazia è un costo, ed è giusto che sia così. E perché la democrazia, i suoi diritti, non si misurano in punti di Pil, altrimenti sai che bel risparmio a non votare più e far decidere tutto a una, due o tre persone.
Invece la campagna di Renzi è sui tagli: "tagliamo il Senato", "tagliamo la politica". Ci manca solo che il partito di governo metta i manifesti con scritto "quanto fa schifo la politica, sto cambiando la Costituzione proprio per questo". Una gara a chi è più populista, a chi è più contro la Casta, a chi urla di più che produce un impoverimento del discorso pubblico e della democrazia in Italia. Il presidente del Consiglio farebbe forse bene a ricordare - invece che a coltivare l'oblio del passato, altra faccia della rottamazione - che la sinistra, per tutta l'Italia repubblicana, ha lottato per l'emancipazione delle masse, emancipazione fatta di lotte, conquista dei diritti e di cultura, con l'obiettivo di trasformare "le plebi in popolo". Per trasformarle, da plebi in popolo, per dirne una non banale, nel dopoguerra le addestrò alla democrazia quando era più facile far prendere i fucili. In altre fasi cruciali della storia ha parlato alla testa non alla pancia, pensando all'interesse generale.
Ecco, il giovane premier, sta facendo l'opposto: invece di parlare a un'opinione pubblica consapevole gioca ad aizzare le plebi, stimolando conati di demagogia e non razionale consapevolezza, nella narcisistica convinzione che i suoi slogan siano più efficaci di quelli di Grillo. E così scherza col fuoco, alimentando l'idea che la politica in sé è una cosa sporca, e con essa la mediazione, la rappresentanza, la democrazia. Tagliamo i politici", ripete il premier. "Tagliamo i politici del Pd", dicono i Cinque stelle. "Tagliamo la politica" dicono tutti.
In fondo, questa campagna referendaria dice che i due principali partiti rischiano di assomigliarsi molto più di quanto sembra. Leaderismo, populismo, rifiuto della mediazione, dei corpi intermedi, potere del capo esibito su un blog o in una direzione in diretta streaming, conformismo dei gruppi dirigenti, fastidio verso l'informazione. Prima del 4 dicembre già si vedono i contorni di una nuova fase della democrazia italiana, la democrazia populista. E sarebbe davvero interessante, a proposito, rivolgere qualche domanda a Giorgio Napolitano e a come ha indirizzato la transizione italiana. Ma questo è un altro capitolo della storia.

Fonte: Huffington Post 

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