La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 24 ottobre 2016

Il trilemma di Rodrik e le sfide dell’integrazione europea


di Lorenzo Mesini
Gli ultimi sviluppi della politica europea, dalla crisi dei migranti al Brexit, da Ventotene a Bratislava, hanno sollevato diversi dubbi sulla compatibilità di tre importanti elementi: democrazia, stato nazionale e globalizzazione economica. Dani Rodrik, economista di Harvard, ha elaborato il «Trilemma» che porta il suo nome, sostenendo come nello scenario attuale non sia possibile coniugare in maniera stabile tutti e tre i fattori1. L’odierna crisi dell’Europa risulta leggibile attraverso l’impossibilità (o forse potremmo meglio dire: l’incapacità) di armonizzare i sistemi democratici dei tradizionali stati nazionali all’interno di un’economia globalizzata2.
L’arresto del processo di integrazione, unito alla difficoltà a fornire efficaci risposte comunitarie alle sfide relative alla sicurezza e al benessere dei cittadini europei, sembra costituire un chiaro esempio della validità del «Trilemma» di Rodrik3. Inoltre, la continua ascesa di partiti “populisti”, contrari all’attuale assetto europeo, sembra fornire la prova del nove dell’impossibilità di far coesistere pacificamente stati nazionali democratici e globalizzazione economica. Quello che insomma viene messo in discussione dalla crisi attuale è la possibilità di un equilibrio virtuoso tra Stato, democrazia e mercato, ossia l’equilibrio tra i principali elementi garanti del nostro benessere e delle nostre libertà.
La rinazionalizzazione della politica e dell’economia europea non costituisce tuttavia un esito inevitabile, né tantomeno auspicabile per l’Europa stessa. A mio avviso, l’approfondimento dell’integrazione politica tra gli stati europei rappresenta la soluzione più lungimirante alla crisi attuale, per quanto difficilissima da realizzare nel contesto dato. Soluzione che non è affatto scontata, visto lo stato attuale in cui versa la politica e l’economia europea. Una delle cose di cui occorre essere consapevoli è il fatto che non ci sono soluzioni semplici, specialmente ai problemi che affliggono l’Europa di oggi. Ogni strada per uscire dalla situazione di stallo attuale comporta dei rischi e possiede le sue ombre. Di questo occorre essere consapevoli, specialmente se ci si pone in un’ottica europeista. Chiunque oggi intenda porsi in tale ottica non può non declinarla in modo critico dello stato di cose presente. Critica europeista che dovrebbe accettare la sfida di porsi in maniera costruttiva nei confronti dei problemi che affliggono l’attuale assetto europeo: la gestione dell’euro, l’assenza di una politica finanziaria e fiscale comune, una politica comunitaria assente o non all’altezza delle sfide presenti, il predominio del metodo intergovernativo, l’assenza di autentici partiti europei etc. Davanti alla prospettiva di uno scenario segnato dal protezionismo e da miopi politiche provinciali (coltivate sia a destra che a sinistra nel miraggio di restaurare una piena sovranità nazionale), il completamento dell’interrotta integrazione politica costituisce a mio avviso la strada da seguire. Non solo per risolvere il problema di una crescita economica che langue ormai da troppi anni, ma anche per fare dell’Europa un attore capace di operare efficacemente in un mondo globalizzato in rapido cambiamento. Alle sfide della globalizzazione occorre rispondere con strumenti adeguati alla portata della complessità che essa comporta. Nessun singolo stato europeo, neppure la Germania, sarà in grado di confrontarsi alla pari con i futuri attori della scena internazionale, ossia con coloro che stabiliranno le regole per la globalizzazione nei prossimi decenni. Purtroppo le varie opinioni pubbliche nazionali sono ancora restie ad accettare questo fatto, semplice ma incontrovertibile. Proprio per essere all’altezza dei suoi valori e della propria storia, per continuare a difenderli e ad affermarli in un mondo non più incentrato su di essa, l’Europa deve porsi come un attore politico ed economico capace di governare la globalizzazione, scrivendone le regole insieme ad alleati (come gli Stati Uniti), con attori del calibro di Cina e India e occuparsi quindi dei temi decisivi per la sua sicurezza e per il suo benessere. Questo è possibile a mio avviso solo attraverso un approfondimento del processo di integrazione.
In questa prospettiva non mancano idee valide, come quella di un’integrazione europea «a cerchi concentrici»4. Da un lato si immagina che un nucleo di paesi (gli Stati fondatori e coloro che hanno aderito all’Euro) proceda nell’integrazione condividendo a livello comunitario politiche fiscali e sociali, al fine di dotare la moneta unica di quei necessari strumenti per una sua piena e ottimale gestione. Dall’altro, i restanti paesi condividerebbero con il nucleo solo il mercato unico e la libera circolazione di merci e persone. Questa proposta prevederebbe l’istituzione di un’autorità fiscale comunitaria (un ministro europeo delle finanze) che, oltre a promuovere un’effettiva convergenza e omogeneità fiscale tra i vari paesi, potrebbe mettere in campo strumenti a sostegno della crescita, dell’occupazione e dell’innovazione tecnologica, insieme alle risorse per una difesa comune.
L’idea di un modello di integrazione «a cerchi concentrici» rappresenta uno dei migliori modelli (se non l’unico) verso cui orientare il processo di integrazione europea, ferma ormai da troppi anni e attraversata da fratture culturali ed economiche. Non possono quindi non sorgere dubbi e perplessità, quanto meno sulla sua realizzazione a partire dalla situazione politica attuale. Tra i tanti ne vorrei segnalare solo tre, da sottoporre a discussione. Ovviamente se ne possono sollevare altri altrettanto importanti, come l’attuale “questione tedesca”. Questa, per via del suo carattere cruciale e multiforme, sarebbe stata ingiustamente sacrificata nei limiti di questo pezzo e richiede un contributo autonomo5. Mi limiterò quindi da un lato a un’osservazione di natura tattica, che riguarda le modalità e il percorso per rendere possibile l’integrazione «a cerchi concentrici», e dall’altro a sollevare due dubbi relativi al carattere liberale e democratico dell’integrazione stessa.
1) La stabilità dell’Euro. Senza mettere al sicuro la moneta unica, dotandola degli strumenti (sia finanziari che di governance) atti a prevenire e/o fornire risposte adeguate alla future crisi, la stessa possibilità di proseguire l’integrazione politica viene meno6. Sul breve termine la messa in sicurezza dell’Euro è una condizione indispensabile per difendere lo spazio politico ed economico dell’integrazione.
2) Il carattere democratico dell’integrazione politica e fiscale. Davanti a chi sarà responsabile del suo operato un futuro ministro delle finanze europeo? Davanti al Parlamento? Nei confronti dei governi nazionali seduti nel Consiglio Europeo? Oppure dovrà limitarsi a svolgere una funzione di carattere “tecnico”, verso cui ogni forma di “controllo” politico risulterebbe inopportuna? Credo che l’Unione Europea non possa rinunciare a una forma pienamente liberale e democratica per il funzionamento e la legittimazione delle proprie istituzioni politiche. Il ministro delle finanze europeo (come d’altronde la stessa Commissione) dovrebbe essere responsabile davanti a un Parlamento eletto dai cittadini europei attraverso elezioni in cui competono veri e propri partiti europei, e non gli attuali raggruppamenti di partiti nazionali. Il concetto diaccountability non può restare sconosciuto alle istituzioni comunitarie. Solo in questo modo si fornirebbe alle nuove istituzioni la legittimazione necessaria ad esercitare il proprio potere e ad assumere decisioni vincolanti per tutti gli stati in nome dei cittadini europei, e non dei rispettivi elettorati nazionali, come invece fanno gli attuali capi di governo. Il problema della formazione di un’effettiva opinione pubblica europea non potrà essere a quel punto evitato.
3) La mediazione tra cittadini e le istituzioni europee. Il rischio di costruire istituzioni politiche ancora più distanti dagli elettori è reale, come reale è il rischio che la futura integrazione si caratterizzi come un insieme di fredde strutture burocratiche calate dall’alto sulle società europee. Un sistema di partiti europei è necessario per mettere efficacemente in contatto i cittadini con le istituzioni europee, per renderli partecipi in maniera mediata delle decisioni politiche e per evitare un ampio fossato li separi dalle istituzioni, fossato altrimenti colmato solo dal potere (non democratico) dei media. La presenza di partiti europei è a mio avviso indispensabile non solo perché i cittadini possano prendere parte a definire il futuro processo di integrazione ma anche per la semplice ragione che non è possibile un’autentica democrazia senza la presenza di veri e propri partiti.

1# Cfr. D. Rodrik, La globalizzazione intelligente, Laterza, Roma-Bari, 2015.

2# Su Aspenia Online si è svolto al riguardo un interessante dibattito a partire da un articolo di Marta Dassù: https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/il-trilemma-europeo.

3# Lo stesso Rodrik, in un’intervista rilasciata di recente a Radio Radicale, ha evidenziato il deficit di democrazia che affligge l’Unione Europea. L’audio dell’intervista può essere reperito a questo link: http://www.radioradicale.it/scheda/485999/oikonomia.

4# Questa proposta è stata discussa nel settembre 2015 in un interessante paper dell’Istituto Delors di Berlino: http://www.institutdelors.eu/media/ministrefinanceeuropeenjdi-ben.pdf?pdf=ok. Su Aspenia Online Andrea Montanino ha svolto alcune riflessioni interessanti su questo tema: https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/un’integrazione-europea-selettiva-governare-la-globalizzazione.

5# Sull’attuale rapporto tra Germania ed Europa si rimanda a C. Galli, La Germania unita divide l’Europa, in “Limes”, 3, 2016, pp. 175-188(https://ragionipolitiche.wordpress.com/2016/06/06/la-germania-unita-divide-leuropa/).

6# In un recente paper dell’Istituto Delors, Enrico Letta e Heinrik Henderlein hanno approfondito questo tema: http://www.delorsinstitut.de/2015/wp-content/uploads/2016/09/EN_Report_final.pdf.

Fonte: Pandora Rivista 

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