La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 ottobre 2016

La democrazia assente: Renzi/D’Alema, Clinton/Trump

di Paolo Ercolani
Democrazia è una parola abusata. Detrattori e fautori della stessa, troppo spesso mossi da enfasi retorica, tendono a trasfigurarla dipingendola o come un improbabile e indistinto potere del popolo, oppure come un’infausta utopia in grado di bloccare i colpi di genio di un’oligarchia aristocratica. Molto più semplicemente, in questa epoca sciagurata che mortifica la riflessione e annulla il pensiero, a beneficio di parametri economici e tecnicismi procedurali, si è diffusa l’idea oltremodo riduttiva che la democrazia sia la possibilità per tutti di votare, eleggendo al governo del paese Tizio piuttosto che Caio, oppure confermando o annullando una legge del parlamento su un argomento di particolare interesse generale (referendum popolare).
Ma questa, come dicevo, è una visione assai riduttiva e quindi pericolosa di cosa debba essere un contesto democratico.
Democrazia: che cos’è?
Sì, perché democrazia non è soltanto il momento finale di un processo: conferma o annullamento di una legge già promulgata dal parlamento, consenso o dissenso rispetto a questo o quell’altro partito politico.
Democrazia è anche, e oggi possiamo dire soprattutto, la possibilità che a contendersi il consenso popolare siano visioni e progetti effettivamente difformi e perfino contrastanti.
Democrazia, insomma, al di là delle varie specificità tecniche e procedurali (sistema elettorale, modello di governo, etc.), comunque importanti, significa chiamare gli elettori a decidere fra teorie e progetti che potranno guidare il paese in una direzione piuttosto che in un’altra, ovviamente fermi restando i principi cardine e comunemente accettati delle regole democratiche.
Il contesto democratico, in buona sostanza, è quello in cui possono emergere visioni diverse, progetti effettivamente contrastanti, da sottoporre al vaglio della tornata elettorale e realmente in grado di modificare una parte importante della politica nazionale in un senso piuttosto che in un altro.
Se riusciamo a comprendere questo senso ampio e realmente efficace di quella che, altrimenti, sarebbe soltanto una parola vuota, allora possiamo agevolmente renderci conto di quanto viviamo in un’epoca che, ancor più di quelle che l’hanno preceduta, non conosce la democrazia.
Lo scontro delle marionette
I due casi paradigmatici di questa realtà sono dati dalla contrapposizione fra Hillary Clinton e Donald Trump, nel caso delle elezioni americane, e quella fra Matteo Renzi e Massimo D’Alema, nella vicenda del referendum sulla riforma costituzionale.
La domanda è la medesima in entrambi i casi: mettendo da parte gli eccessi e le spettacolarizzazioni di superficie, in cosa effettivamente può cambiare la direzione reale del paese nel caso (improbabile) della vittoria di Trump, o nel caso (ben più possibile) di vittoria del No al referendum del 4 dicembre?
A un’analisi complessiva e distaccata, infatti, la prima impressione che sorge spontanea riguarda l’apparente (e inquietante) funzionalità dei comprimari (Trump e D’Alema) rispetto ai protagonisti.
Un populista affetto da razzismo, sessismo e violenza verbale (oltre che assenza di contenuti) come Trump, ma anche un dinosauro della «prima repubblica» come D’Alema (protagonista di tutti gli inciuci e tutte le sconfitte possibili e immaginabili subiti dal variegato mondo della Sinistra), sembrano davvero messi lì per legittimare e financo avvantaggiare i vincitori già scritti e per oscurare quella che peraltro è un’assenza pneumatica di qualsivoglia alternativa.
Ciò premesso (e non è cosa da poco), emerge subito dopo un’altra evidenza: né Trump, né D’Alema possono seriamente convincere alcuna persona fornita di saggezza che la loro vittoria, o la vittoria della loro opzione, possa realisticamente modificare nulla rispetto al trend chiaro e definito intrapreso dalla politica nazionale e internazionale.
Il copione già scritto
Sì, perché nella democrazia effettiva è la politica a dettare l’agenda, incaricandosi di limitare e governare l’economia in vista di una quanto più diffusa giustizia sociale.
Oggigiorno, in questa sorta di democrazia trasfigurata e depotenziata, è l’economia finanziaria (con le sue potentissime istituzioni capitanate da figure assolutamente non elette) a dettare qualunque agenda, a imporre leggi, presunte riforme e persino modifiche della Costituzione, mentre è evidente che la classe politica svolge il ruolo o di esecutrice e passacarte con maggiore o minore grado ipocrisia, oppure di grezza e furibonda opposizione assolutamente incapace di governare, figuriamoci di pensare un percorso alternativo per il paese e per la politica internazionale.
Dopodiché, il teatrino mediatico e il meccanismo spettacolare (oltre che il gioco delle parti finto quanto sterile) sono chiamati a convincerci che sono in corso chissà quali contrapposizioni, chissà quali scontri politici in grado di produrre la democrazia oppure la barbarie, le riforme oppure il ritorno al secolo scorso.
Ma basta davvero poco per accorgersi che in realtà siamo di fronte a un grande bluff.
Proprio mentre, in realtà, siamo immersi in una brodaglia immobile e magmatica in cui tutto quello che c’era da scrivere è stato già scritto.
In quei piani alti e nascosti che nulla hanno a che fare con l’effettiva democrazia.

Fonte: Il manifesto 

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