La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 26 ottobre 2016

L'Eurozona come macchina per l'impoverimento dei popoli

di Matthew Lynn
Le corse agli sportelli sono all’ordine del giorno. I mercati obbligazionari vanno nel panico, e i governi del Sud-Europa necessitano di bail-out [salvataggi economici, NdT] ogni pochi anni. La disoccupazione è schizzata alle stelle e la crescita rimane asfittica, non importa quante centinaia di miliardi di denaro la Banca Centrale Europea stampi ed inietti nell’economia. Ormai siamo tutti annoiatamente consapevoli di come l’eurozona sia stata un disastro finanziario. Ma ora inizia a diventare evidente che essa è anche un disastro sociale.
Quello che spesso viene omesso dalle discussioni sui tassi di crescita, sui bail-out e sull’armonizzazione bancaria è che l’eurozona sta diventando una macchina di impoverimento.
Mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione. I tassi di povertà sono aumentati vertiginosamente in tutta Europa, sia che li si misuri in termini relativi che in termini assoluti, e gli aumenti peggiori si sono verificati all’interno dell’area che adotta la moneta unica.
Non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro, o un promemoria più potente che gli standard di vita cominceranno a migliorare solo se la moneta unica verrà sottoposta a riforme radicali, o smantellata.
L’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea, ha pubblicato da poco le ultime analisi sul numero di persone “a rischio di povertà o esclusione sociale”, confrontando i dati del 2008 con quelli del 2015. Tra i 28 membri dell’Unione, cinque Paesi hanno sperimentato una significativa crescita di questo valore, paragonato con l’anno del crollo finanziario. In Grecia il 35,7% della popolazione rientra in questa categoria, rispetto al 28,1% del 2008. Un incremento di 7,6 punti percentuali. A Cipro l’incremento è stato di 5,6 punti percentuali: ora il 28,7% della popolazione è classificato come “povero”. In Spagna tale valore è aumentato di 4,6 punti percentuali, in Italia di 3,2 punti, e persino il Lussemburgo, difficilmente considerabile un Paese a rischio di deprivazione materiale, ha visto il tasso di povertà salire al 18,5% dal 2008, in aumento di tre punti.
Ma la situazione non è così tetra dappertutto. In Polonia, il tasso di povertà è sceso dal 30,5% al 23%. In Romania, Bulgaria e Lettonia, ci sono state considerevoli riduzioni della povertà rispetto ai valori del 2008 – in Romania, ad esempio, la percentuale e scesa di sette punti, raggiungendo il 37%.
Cosa c’è di diverso tra i Paesi nei quali la povertà è aumentata in modo drammatico, rispetto a quelli nei quali è diminuita? Avete indovinato. Gli aumenti più significativi del tasso di povertà si sono tutti verificati in Paesi all’interno della moneta unica. Ma le diminuzioni sono state tutte nei Paesi al di fuori di essa.
E c’è di peggio. Sono definiti “a rischio di povertà” gli individui che vivono con meno del 60% del reddito nazionale medio. Ma quello stesso reddito medio è crollato negli ultimi sette anni, dato che la maggior parte dei Paesi all’interno dell’eurozona devono ancora riprendersi dalla crisi del 2008. In Grecia il reddito medio è sceso da 10.800 a 7.500 euro all’anno. In Spagna il calo non è stato altrettanto drammatico, ma il reddito medio è comunque sceso da 13.996 a 13.352 euro all’anno. Nella realtà, le persone stanno diventando più povere sia in termini relativi che in termini assoluti.
Ci sono altri tipi di misurazione che rendono lampante il fenomeno. In tutta l’UE, l’8% delle persone sono definite in stato di “grave deprivazione materiale”, il che significa che non hanno accesso a ciò che la maggior parte delle società civilizzate considerano beni di prima necessità – se si mette la spunta a quattro caselle su nove, caselle che includono “non essere in grado di pagare il riscaldamento per la propria abitazione” o “non poter mangiare un pasto a base di carne, pesce o proteine simili almeno a giorni alterni”, o “non avere soldi per un telefono”, allora si ricade in questa categoria.
Sorprendentemente, numerosi Paesi all’interno dell’eurozona stanno cominciando ad essere in testa alle classifiche per questo tipo di misurazioni. La Grecia sta inevitabilmente scalando la classifica, con il 22% della sua popolazione che ad oggi è in stato di “grave deprivazione materiale”, rispetto a al solo 11% del 2008. In Italia, un Paese che vent’anni fa era prospero come qualsiasi altro al Mondo, uno scioccante 11% della popolazione si trova oggi in stato di “deprivazione materiale”, paragonato col 7,5% di sette anni fa. In Spagna il tasso di deprivazione è raddoppiato, e a Cipro è aumentato di più del 50%.
Eppure, se si analizzano i Paesi al di fuori della moneta unica, si scopre che al loro interno quel tasso è sostanzialmente stabile (come nel Regno Unito, ad esempio) o sta diminuendo a velocità di tutto rispetto – nella Polonia attualmente in rapida crescita economica, ad esempio, il tasso di persone in stato di “deprivazione materiale” si è dimezzato negli ultimi sette anni e, al 7,5% odierno, è molto più basso di quello registrato in Italia.
Questo è importante. L’UE si è fissata l’obiettivo di ridurre in maniera significativa i principali indicatori di povertà entro il 2020. Sta fallendo miseramente. Anzi, ancora peggio: sta diventando lampante che una delle sue principali politiche, cioè la creazione dell’euro, assieme ai vari “programmi di salvataggio”, fiacchi e malriusciti che l’hanno tenuto insieme a malapena, è ampiamente responsabile di questo fallimento.
È difficile pensare che esista un’altra spiegazione plausibile per la netta differenza tra il tasso di povertà dei Paesi all’esterno dell’eurozona e quello dei Paesi al suo interno. Perché la Grecia o la Spagna dovrebbero essere in uno stato così drasticamente peggiore di un qualsiasi Paese dell’Est Europa? E perché l’Italia dovrebbe passarsela peggio del Regno Unito, quando i due Paesi si trovavano a livelli di ricchezza sostanzialmente simili durante gli anni novanta? (Gli italiani per un certo periodo addirittura ci superarono come PIL pro capite). Anche in un’economia tradizionalmente di estremo successo come l’Olanda, che non è stata colpita da alcun tipo di crisi finanziaria, si sono registrati grossi incrementi sia della povertà relativa che di quella assoluta.
Infatti non è difficile capire che cosa sia successo. In primo luogo, un sistema valutario disfunzionale ha strangolato la crescita economica, facendo crescere la disoccupazione a livelli precedentemente impensabili. In seguito, dopo che alcuni Paesi sono andati in bancarotta e hanno avuto bisogno di aiuti finanziari, l’UE, assieme alla BCE e al FMI, ha imposto pacchetti di austerità che hanno drasticamente tagliato welfare e pensioni. Con queste premesse, non c’è da sorprendersi che la povertà sia aumentata.
Nei mercati finanziari ci si concentra all’infinito sullo stato dei sistemi bancari all’interno dell’eurozona, sulla crescita dei deficit di bilancio o sui rischi della deflazione e dei disastrosi effetti che essa potrebbe causare sui prezzi delle attività finanziarie. Ma, in ultima analisi, la crisi finanziaria non è così importante. Ad essa si può rimediare con i bail-out, o stampando più denaro. E anche se non fosse possibile, ciò significherebbe semplicemente che alcune banche o fondi d’investimento si troveranno in cattive acque.
Ma il fatto che i livelli di povertà stiano crescendo ad un ritmo così veloce in quelle che un tempo erano Nazioni floride è scioccante. E non c’è alcuna avvisaglia che questa crescita stia rallentando – in alcuni Paesi come la Grecia o l’Italia, la crescita della povertà sta addirittura accelerando. Quelli che una volta erano Paesi estremamente poveri (come la Bulgaria) o Paesi a reddito medio (come la Polonia), stanno rapidamente sorpassando quella che una volta era considerata l’Europa sviluppata.
Non potersi permettere un telefono o un pasto a base di carne per tre giorni alla settimana non è affatto divertente. Ma, grazie all’euro, è questo il destino di milioni di europei – ed esso non cambierà finché la moneta unica non verrà smantellata.

Articolo pubblicato su Telegraph
Traduzione a cura di Grim
Fonte: vocidallestero.it 

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