di Michele Prospero
Il senso politico dell’ultima direzione del Pd è stato lo stesso di tutte le altre riunioni che si sono svolte da quando Renzi tira le fila del non-partito: un appuntamento inutile, con un applausometro grottesco, e carico di finzioni destinate a cadere. Per chi alle sedute continua ad andarci, l’intervento critico al dibattito, che segue le disordinate comunicazioni del segretario, è la semplice occasione per rimarcare l’esistenza di un dissenso che sfida un tangibile clima ostile al ragionamento e però nessun impatto reale avrà nella linea politica.
E d’altra parte per Renzi il passaggio al Nazareno è un semplice rituale per rinfrescare l’esercizio di una campagna elettorale permanente in cui l’interlocutore reale è sempre l’opinione pubblica esterna e non è mai la minoranza che si vede strapazzata in maniera sfacciata. Le manovre della sinistra vengono di solito utilizzate con cinismo per giustificare un brusco regolamento di conti interno (rimozione di Letta) o come incauto coinvolgimento al compromesso migliorativo su nodi programmatici che il leader riesce a sfruttare come legittimazione indiretta della sua condotta spericolata.
Per quanto il Nazareno abbia ancora una volta ospitato la solita recita di un segretario che vende aperture fittizie, regalando agli oppositori interni un fantasioso comitato di studi sulla legge elettorale, e la consueta replica di una minoranza che dissimula le intenzioni reali e si presta ad abboccamenti insinceri sulle presunte novità messe in campo dal leader, stavolta il gioco dei reciproci infingimenti non è destinato a prolungarsi oltre. Alla rottura di D’Alema, che già pensa al dopo, al disincanto di Bersani, che denuncia il regime del capo, si era aggiunto un drammatico articolo di Alfredo Reichlin che non è stato colto per quello che è, e cioè come un vero detonatore.
Ricordando di aver preso le armi, quando era ancora un ragazzo del Tasso, per conquistare il potere di eleggere il Parlamento, l’esponente più autorevole della tradizione comunista ha dichiarato che non è in alcun modo disposto a votare Sì per eliminare la sovranità del popolo nell’espressione di un ramo della rappresentanza. Reichlin ha inoltre chiamato per nome l’appuntamento di dicembre imposto con il dispotismo di una minoranza: un plebiscito. E questa parola terribile, che è impressa nel codice genetico della cultura costituzionale della sinistra come un male radicale, turba la stessa coscienza di Napolitano quando chiede a Renzi di rimediare ad una eccessiva personalizzazione dello scontro.
L’accoppiata tra un partito sfigurato, e ridotto ad una appendice personale del leader che ha reciso con sistematicità le radici ideali e sociali della sinistra, e una manomissione dell’impianto costituzionale, nelle forme di un plebiscito manipolatorio, rende non più rinviabile la resa dei conti. Lo strappo giunge persino tardivo e l’esitazione sin qui mostrata dalla sinistra nel raccogliere il guanto della sfida rende problematica la rimotivazione delle forze ancora disponibili per una nuova dislocazione nello scenario che emergerà a dicembre.
Con le lacerazioni confermate in direzione “l’amalgama” del Pd è esploso forse definitivamente. Il referendum ha provocato il brusco risveglio di quanti credevano in una sintesi riformista progettata con gli eredi di Dossetti e invece si sono ritrovati a leccare le ferite sotto il tallone di figure pseudo carismatiche che rievocano gli spettri di cattive tentazioni semplificatrici affiorate nella storia repubblicana. Ci sono ancora le forze per un progetto nuovo o non resta che rassegnarsi alle purghe renziane? Il terremoto del 4 dicembre indicherà se sarà possibile ripartire a sinistra, tra le macerie.
Articolo pubblicato su Left il 15 ottobre
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
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