La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 24 ottobre 2016

Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità ad oggi

di Enrico Cerrini
Oggi, l’analisi del fenomeno della disoccupazione si riduce spesso alla semplice presa visione di un dato percentuale fornito dall’Istituto Nazionale di Statistica. Questo dato rappresenta quanti residenti nel nostro paese, in percentuale della forza lavoro totale, utilizzano i canali ufficiali per accedere al mondo del lavoro. Se ci appiattissimo su questo concetto, la storia della disoccupazione italiana sarebbe integralmente restituita da un freddo grafico che evidenzia il tasso di disoccupazione rilevato negli ultimi 150 anni.
Tuttavia, lo stesso dato, al variare del tempo, per essere inteso correttamente deve essere letto sulla base delle conoscenze, delle leggi, delle idee e delle teorie che influenzano il contesto sociale in cui quel dato è stato rilevato.
Grazie ad un’abile operazione che analizza e incrocia fonti profondamente diverse tra loro come i dati ISTAT, la letteratura accademica e i documenti politico-sindacali, il libro di Manfredi Alberti contestualizza il dato della disoccupazione, chiarendo tutto quello di cui il lettore ha bisogno per interpretarlo adeguatamente.
Non a caso, il libro è diviso in piccole sezioni che riassumono il dibattito politico, economico e statistico delle tre epoche a cui corrispondono i capitoli principali intitolati: “La scoperta della disoccupazione nell’Italia liberale”, “Tra due guerre” e “La disoccupazione in una repubblica fondata sul lavoro”. Il lettore prende quindi coscienza di come le idee di economisti, politici, sociologi, statistici e demografi si siano scontrate, siano emerse, cadute per poi tornare ancora in auge. Oltre all’assenza di soluzioni predeterminate per sconfiggere la disoccupazione, l’autore segnala come oggi la teoria dominante appaia in crisi, incapace di dare risposte sufficienti ad affrontare un tasso di disoccupazione intollerabile.
Alcuni dei dibattiti che il saggio di Alberti rievoca nella sua sezione storica non appaiono più attuali alla sensibilità odierna. Fino all’età repubblicana, ad esempio, gran parte della classe politica vedeva nelle guerre coloniali un fattore di contenimento della disoccupazione, grazie alla possibilità di liberare nuove terre da assegnare ai contadini.1Oggi, questa linea di pensiero appare inaccettabile prima ancora che inutile. Per quanto riguarda la questione demografica sembra invece che il dibattito sia approdato ad una soluzione unica, secondo la quale l’aumento della natalità è visto come fattore che stimola la crescita degli investimenti e contrasta la disoccupazione. Appare invece desueta la teoria ventilata dalla scuola Malthusiana che riteneva che un eccessivo sviluppo demografico potesse limitare le risorse disponibili e aumentare la massa dei disoccupati2.
Al contrario, per quanto riguarda le teorie più prettamente economiche la discussione prosegue tuttora, malgrado gli ultimi trent’anni abbiano visto il prevalersi della dottrina neoliberista. Questa teoria si riallaccia al modello neoclassico, in auge tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il quale suggerisce che l’intervento dello Stato non faccia altro che deprimere gli investimenti privati. Dal punto di vista del mercato del lavoro, la domanda e l’offerta si equilibrerebbero naturalmente se i salari fossero lasciati liberi di fluttuare e la legislazione in materia venisse ridotta ai minimi termini. Le teorie keynesiane puntano invece il dito contro le inefficienze del mercato, sostenendo, di conseguenza, come per creare occupazione sia necessario far crescere la domanda di lavoro aumentando gli investimenti pubblici e stimolando quelli privati. Secondo questa prospettiva non è essenziale diminuire le regole, ma piuttosto creare posti di lavoro.
Lo scontro tra le teorie socio-economiche va situato nel contesto sociale e politico, aiutando a contestualizzare il dato della disoccupazione e a comprendere il fenomeno, che assume caratteristiche diverse in ogni epoca studiata. Il primo capitolo del libro analizza gli anni dall’Unità alla Grande Guerra, quando l’Italia si presentava come un paese profondamente rurale, nel quale l’andamento della disoccupazione dipendeva spesso da quello delle stagioni. L’autore ricorda un’intervista del 1893 in cui un contadino ammetteva di lavorare la terra in un dato periodo per poi cucinare l’erba selvatica raccolta nei campi nel resto dell’anno3. Sicuramente risultava molto complicato etichettare questo lavoratore come disoccupato o meno. Durante quest’epoca storica, in cui la teoria neoclassica era dominante, la legislazione a tutela dei lavoratori iniziava a creare i primi strumenti di assistenza in caso di disoccupazione e di evitare che il bracciantato si tramutasse in schiavitù.
Il fascismo ereditò un tessuto produttivo plasmato dalla Grande Guerra, durante la quale lo sviluppo industriale si velocizzò per sostenere lo sforzo bellico. La crescita del settore industriale favorì la crescita di una classe operaia pronta a rivendicare i propri diritti. Per contenere le turbolenze e i conflitti sociali generatisi, la borghesia liberale favorì in parte l’ascesa del fascismo, che si attestò inizialmente su posizioni neoclassiche. Ma le teorie keynesiane, emerse dalla Grande Depressione del ’29, finirono per influenzare le scelte del regime.4 L’intervento statale in economia si tradusse in grandi opere pubbliche, come i piani di bonifica, e la nascita dell’IRI. I provvedimenti del regime avevano anche l’obiettivo di evitare agitazioni della classe operaia, dato che l’elevata disoccupazione minacciava la stabilità del regime in un contesto in cui si riaffacciava il Partito Comunista clandestino.5
Dopo la fine della Secondo Guerra Mondiale, i Padri Costituenti scelsero di fondare la Repubblica sul lavoro indicando implicitamente il pieno impiego come una priorità. In linea con le teorie keynesiane, la spesa pubblica ebbe un ruolo determinante nel contrastare la disoccupazione e, negli anni ’60, il governo di centrosinistra raggiunse una situazione molto vicina al pieno impiego. In seguito, furono rafforzate le tutele dei lavoratori grazie all’ampliamento del sistema di welfare, che incise sia per quanto riguarda il sostegno al reddito in caso di disoccupazione che per le tutele operaie e sindacali nei luoghi di lavoro. Mentre il welfare si espandeva, terminava il predominio del settore industriale, cresceva il peso del settore dei servizi e si verificarono fenomeni che contraddicevano le teorie keynesiane, come la stagflazione, ovvero la crescita dei salari accompagnata ad un’elevata disoccupazione6. In reazione a questo fenomeno, fiorirono le teorie neoliberiste che prevedevano la deregolamentazione del mercato del lavoro e predicavano il contenimento della spesa pubblica7. Le stesse teorie appaiono ancora oggi dominanti, sebbene la crisi del 2008 abbia fatto emergere una timida e parziale revisione.
Al momento attuale, malgrado notevoli riforme, il tasso di disoccupazione italiano rimane ancora elevato. Al fine di ridurre questo dato, l’autore del saggio fa intendere al lettore come sia necessario ripensare le modalità con cui si combatte questo fenomeno. In particolare, non appare efficace concentrarsi sulla sola deregolamentazione del mercato del lavoro, ma è necessario far crescere gli investimenti pubblici e privati, in modo da dare nuovo impulso alla domanda di lavoro. Quest’ultimo appare come il metodo che ha ottenuto risultati migliori nel corso del tempo. Inoltre, devono essere affrontati i grandi problemi strutturali che hanno da sempre caratterizzato il mercato del lavoro italiano. Malgrado i numerosi sforzi, l’Italia deve ancora cercare adeguata soluzione alla scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, alla sottooccupazione dei lavori intellettuali, al divario economico-sociale tra nord e sud e al grande peso dell’economia sommersa.

1 I. Bonomi, La politica di emigrazione. Colonizzazione interna e colonizzazione estera, in <>, a. XIV, n. 6, 16 marzo 1904, pp. 81-84

2 A. Loria, La vecchia e la nuova fase della teoria della popolazione, in <>, 1, luglio 1897, pp. 4-16

3 A. Rossi, L’agitazione in Sicilia. A proposito delle ultime condanne, Max Kantorowicz Editore, Milano, 1894, p. 68

4 A. Macchioro, Il keynesismo in Italia, in Id. Keynes, Marx, l’Italia, a cura di L. Michelini, Carocci, Roma, 2007, pp. 182-187

5 P. Secchia, La lotta della gioventù proletaria contro il fascismo (1930), Teti, Milano, 1975

6 P. Garonna, Disoccupazione e pieno impiego. Il dibattito sul concetto di occupazione e disoccupazione, Marsilio, Venezia, 1981

7 M. Friedman, The role of monetary policy, in <>, LVIII, 1, marzo 1968, pp. 1-17

Fonte: Pandora Rivista 

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