La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 24 ottobre 2016

Siria: Usa, Isis, Russia, e Assad uniti nella controrivoluzione

di Ashley Smith
Il regime di Bashar al-Assad e le forze aeree russe stanno martellando la città di Aleppo con una guerra lampo fatta di bombardamenti e attacchi missilistici allo scopo di aprire la strada ai soldati siriani, le truppe iraniane e le milizie sciite dall’Iran e dall’Iraq per la riconquista della città. Le Nazioni Unite temono una catastrofe umanitaria imminente per i circa 250.000 abitanti di Aleppo. L’assedio è il culmine della fuoribonda campagna di Assad contro la Rivoluzione Siriana, iniziata nel 2011 al tempo delle Primavere Arabe in Nord Africa e in Medio Oriente.
La sua guerra controrivoluzionaria, ha provocato la morte di 400.000 persone e il trasferimento dicirca 11 milioni di siriani sui 22 milioni prima della guerra. Oltre 5 milioni di esuli forzati sono fuggiti dal Paese, la grande maggioranza dei quali in Paesi mediorientali, e un milione verso l’Unione Europea.
Tuttavia, in tutto questo orrore, una parte della sinistra statunitense ha provato ad assolvere Assad, la Russia e l’Iran dai loro crimini evidenti in Siria e ha invece accusato gli USA dell’intera crisi. Gli USA sono certamente colpevoli di atrocità imperiali in tutta la regione, come nello Yemen dove sostengono la brutale guerra dell’Arabia Saudita. Ma in Siria la responsabilità del disastro umanitario è chiaramente di Assad e dei suoi sponsor regionali ed imperialisti.
Ciononostante, i sostenitori di lunga data di Assad difendono le azioni barbare del dittatore. Recentemente, un gruppo stalinista come i Workers World e i loro accompagnatori hanno fondato una coalizione posticcia contro la guerra il cui nome è Giù le Mani dalla Siria. Le sue dichiarazioni sono a favore della guerra e a favore dell’imperialismo – sostengono infatti la guerra della Russia in Siria con il pretesto dell’invito di Assad alla Russia di unirsi al massacro. Tragicamente, alcuni militanti di sinistra dai robusti principi come Raina Khalek, da moltissimo tempo sostenitrice della lotta per la liberazione della Palestina, si è unita alla campagna di rimozione delle responsabilità di Assad e della Russia verso gli Stati Uniti. In un articolo recente, che denunciava l’impatto orribile delle sanzioni americane sui civili siriani, Khalek ha omesso la causa principale della catastrofe umanitaria, la guerra controrivoluzionaria di Assad.

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DI recente, il giornalista Max Blumenthal ha ingrossato le fila già in crescita di questo coro. Blumenthal gode di una meritata reputazione di sostenitore della causa palestinese, grazie al suo lavoro di reporter e al suo libro, Golia: Vita e Odio nella Grande Israele.
Nel 2012 non solo difendeva la Rivoluzione Siriana contro il regime di Assad, ma si dimise anche dal sito in lingua inglese di Al Akhbar a causa del sostegno della testata ad Assad. In una lettera aperta intitolata “Il diritto alla resistenza è universale”, scriveva:
Assad sarà ricordato come tiranno autoritario il cui regime avrà rappresentato poco più che gli interessi di un ricco ceto affaristico neoliberista e di un apparato di sicurezza fascisteggiante. Coloro che hanno posto il loro peso intellettuale a sostegno della sua brutale campagna hanno gettato un’ombra sulla sincerità del loro impegno a favore delle lotte popolari e della resistenza antiimperialista. Negando al popolo siriano il diritto alla rivoluzione mentre sostengono la lotta palestinese, mostrano di essere non meno ipocriti dei sionisti che cinicamente celebrano la rivolta siriana mentre sono attivamente impegnati a schiacciare ogni sembianza di resistenza palestinese. Penso che il diritto alla resistenza contro la tirannia sia indivisibile e universale. Non può essere negato a nessuno
Blumenthal, però, sostiene ora l’esatto opposto. In un articolo in due parti per Alternet, parte prima e parte seconda, afferma che l’imperialismo USA ha manipolato la Rivoluzione Siriana sin dall’inizio indirizzandola a un cambio di regime simile a quello dell’Iraq. Inoltre afferma pure che gli Stati Uniti hanno usato i movimenti di solidarietà internazionale e l’organizzazione umanitaria dei cosiddetti Caschi Bianchi come veicolo privilegiato di una campagna mediatica per la giustificazione della deposizione di Assad.

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Blumenthal non spiega da nessuna parte perché abbia cambiato atteggiamento nei confronti della rivolta siriana. Quale che ne sia la ragione, come altri a sinistra non riesce a sciogliere il bandolo della matassa di un conflitto complesso che oppone la rivoluzione a tre forze controrivoluzionarie.
In primo luogo, la rivolta democratica ha dovuto affrontare sin dalle primissime battute la violenza selvaggia del regime di Assad, puntellato dall’imperialismo russo e dai suoi alleati regionali, il governo iraniano e gli Hezbollah libanesi. Più di recente, la Russia è intervenuta apertamente con le sue forze aeree ed è diventata un attore di primo piano nella guerra.
In secondo luogo, la rivoluzione ha dovuto affrontare i fondamentalisti islamici. Come è ovvio, lo Stato Islamico in Iraq e Siria (ISIS) è stato più incline a rivolgere le armi contro i ribelli antigovernativi che contro il regime nello sforzo di consolidamento e rafforzamento delle sue posizioni in Siria.
Il regime di Assad ha contribuito alla forza di questo polo controrivoluzionario con la liberazione di centinaia di jihadisti sunniti nella speranza che questi agissero da quinta colonna nella rivoluzione attaccando le minoranze religiose ed etniche della Siria e gli stessi rivoluzionari. Grazie al sostegno di diverse forze fondamentaliste da parte Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia, Assad ha potuto rivendicare una “guerra al terrore” che però non ha preso di mira i jihadisti ma i rivoluzionari.
Gli Stati Uniti sono la terza forza controrivoluzionaria. Hanno manovrato diverse fazioni e organizzazioni siriane come pedine allo scopo di imporre ad Assad negoziati per una “transizione ordinata” ma, diversamente da quanto alcuni a sinistra affermano, gli USA non hanno mai dato corso a un appoggio militare decisivo, per esempio quando hanno bloccato l’invio di uno stock di artiglieria antiaerea che avrebbe potuto colmare il vantaggio militare del regime. Successivamente, quando l’ISIS ha guadagnato posizioni e minacciato di sconvolgere l’equilibrio di potere in Medio Oriente, gli StatI Uniti hanno perso interesse anche per una “transizione ordinata” verso una Siria post-Assad. L’amministrazione Obama ha operato sulla base di un’alleanza de facto con Assad e la Russia, manifestando la volontà di tollerare la prosecuzione del dominio di Assad a beneficio di uno sforzo congiunto contro l’ISIS e altri fondamentalisti islamici.
La rivoluzione è stata tragicamente ed orridamente schiacchiata da tutte e tre le forze della controrivoluzione.
Invece di denunciare questa situazione, troppi a sinistra hanno preso le parti di uno dei poli della controrivoluzione – la maggioranza con Assad e la Russia, altri con il fondamentalismo islamico, e altri ancora con gli Stati Uniti, principalmente nella disperata speranza che Washington fermasse il massacro.

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Nei suoi articoli, Blumenthal si sofferma unicamente nella denuncia degli Stati Uniti, rimuovendo così le responsabilità dei principali agenti della controrivoluzione: Assad e la Russia. Egli descrive gli USA come burattinai, determinati a ottenere cambi di regime con vari mezzi, sia all’interno che all’esterno della Siria. Questa descrizione non corrisponde ai fatti. All’inizio della guerra al terrore, l’amministrazione Bush sperava che l’invasione e l’occupazione dell’Iraq fossero il primo passo verso il rovesciamento del regime siriano insieme ad altri governi percepiti ostili agli interessi degli USA. Tuttavia, anche nel pieno della Dottrina Bush per il dominio americano, gli Stati Uniti collaborarono con il regime di Assad nel quadro del programma delle “estradizioni straordinarie”, inviando prigionieri della “guerra al terrore” nei gulag siriani affinché fossero torturati per ottenere informazioni. Quando l’occupazione fu affossata dalla resistenza irachena, Bush prima, Obama poi, abbandonarono la strategia del cambio di regime per un riequilibrio degli Stati esistenti al fine di mantenere qualche sembianza di ordine in Medio Oriente. Gli Stati Uniti sono arrivati sino al punto di collaborare con l’Iran per mantenere la stabilità in Iraq, stringendo un patto con questo esponente dell’ “Asse del Male” riguardo al suo arsenale nucleare.
Quando la Primavera Araba ha fatto irruzione in Tunisia e in Egitto, il primo istinto di Obama fu quello di sostenere quei regimi. Solo quando i movimenti di massa si fecero impetuosi gli Stati Uniti abbandonarono la loro alleanza decennale con un autocrate come Hosni Mubarak, ma solo allo scopo di preservare la struttura statale esistente, senza il dittatore. In Libia, gli USA tentarono di affossare la rivoluzione, ma di fronte al successivo disastro l’orientamento politico ha abbandonato il cambio di regime.
Ciò vale soprattutto per la Siria, in cui l’obiettivo di Washington è al massimo un accordo negoziale che preservi gran parte del vecchio regime senza Assad. Gli Stati Uniti hanno dato prova di una volontà di compromesso persino su questo obiettivo limitato.
L’inviato speciale dell’ONU, Staffan De Mistura, è arrivato al punto di essere favorevole al mantenimento del potere di Assad durante un eventuale processo di transizione. Nel corso dei suoi intrallazzi per l’ultimo cessate-il-fuoco, con una dichiarazione in seguito smentita, ma significativamente specchio delle vere politiche USA al riguardo, il Segretario di Stato John Kerry aveva offerto di coordinare con l’esercito siriano il bombardamento sull’ISIS e sul Jabhat Fateh al-Sham (JFS), in precedenza noto come il Fronte al-Nusra, principale affiliato di al-Qaeda nel Paese.

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La tesi di Blumenthal secondo cui gli USA sono determinati a rovesciare Assad a tutti i costi è sbagliata, ma sulla base di questo fraintendimento, tenta comunque di provare che gli Stati Uniti hanno manipolato la rivolta siriana sin dal principio.
Arriva a presentare i consigli locali messi in piedi dai rivoluzionari nelle aree liberate come mere creazioni dello stato americano, scrivendo che un dipartimento dell’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (AID) “aveva cominciato a creare i consigli locali nei territori gestiti dai ribelli in Siria. L’idea era stabilire strutture di un governo parallelo nelle aree tenute dagli insorti che fosse in grado di soppiantare un giorno l’attuale governo a Damasco”.
È semplicemente falso. Numerose testimonianze della rivoluzione, da Burning Country di Leila Al-Shami e Robin Yassin-Kassab passando per Syria di Samer Abboud fino a Self Organization in the Syrian Revolution documentano che i consigli e i comitati locali sono stati sin dall’inizio un’emanazione del processo rivoluzionario di autoorganizzazione sociale del popolo in aree da cui il regime era stato espulso. La loro creazione fu suggerita non dagli USA ma dall’anarchico siriano Omar Aziz.
Le ulteriori affermazioni di Blumenthal secondo cui gli Stati Uniti starebbero orchestrando un movimento di solidarietà internazionale con la rivoluzione è altrettanto inverosimile. Egli accusa la Syria Campaign di essere la principale colpevole di questo complotto: avrebbe usato le manifestazioni dal 20 Settembre fino al 2 Ottobre per spingere l’applicazione di una “no-fly zone” statunitense in Siria. Questa versione non è conforme ad alcuna esperienza di attivismo in solidarietà con la Siria, che è tutto fuorché uno sforzo centralizzato con un programma comune. In realtà, forze molto diverse con una varietà di richieste politiche avevano fatto appello a mobilitarsi contro i massacri che Assad, la Russia e l’Iran stanno perpetrando ad Aleppo. Ci sono rivoluzionari che si oppongono sia all’imperialismo americano che a quello russo, così come ci sono coloro che, erroneamente, sostengono che gli USA possano essere parte della soluzione in Siria.
In tutta probabilità, funzionari statunitensi hanno coltivato relazioni con la Syria Campaign, nello stesso modo in cui hanno fatto con il Consiglio Nazionale Siriano (SNC) degli esuli e il suo successore, la Coalizione Nazionale, e con Il Comitato per gli Alti Negoziati. Ma queste entità hanno poco a che spartire con le forze sul campo in Siria, e certamente non hanno influenza sull’estremamente eterogeneo movimento di solidarietà internazionale. Invero, sono disprezzate da molte persone attive nel movimento. Come scrive Gilbert Achcar nel suo libro Morbid Symptons: Relapse in the Arab Uprising, queste formazioni:
hanno avuto quella discesa estremamente rapida nella corruzione che l’OLP ha già subito […] sotto i colpi di finanziamenti cooptanti […] I critici palestinesi della sua corruzione lo avevano un tempo chiamato l’OLP a cinque stelle. L’SNC e la Coalizione Nazionale meritano senza dubbio lo stesso appellativo, letteralmente, dla momento che tengono normalmente i loro incontri in hotel a cinque stelle.
Al massimo, gli USA hanno usato qualcuno di questi gruppi come pedine sperando di poter negoziare una transizione ordinata. Ma in fin dei conti, sono esclusi da ogni decisione, cosicché gli Stati Uniti, la Russia e i poteri regionali potranno provare a stringere un accordo per una pace controrivoluzionaria.

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E’ anche vero che qualcuno nella Syria Campaign e in altre organizzazioni di solidarietà ha chiesto una “no-fly zone”. Il Socialist Worker ritiene che queste richieste siano sbagliate – l’impero USA non imporrebbe un cessate il fuoco in Siria per fermare la carneficina ma per far avanzare i suoi interessi imperiali, conducendo a violenze ancora maggiori. Ma le richieste di una “no-fly zone” devono essere inquadrate nel contesto disperato nella Siria di oggi. La principale motivazione dei siriani che vogliono gli Stati Uniti a pattugliare i cieli è che ci sia qualcuno che fermi il massacro della popolazione di Aleppo e di altre città e aree del Paese sotto assedio. È assolutamente comprensibile che questa richiesta cresca di popolarità nel momento in cui il regime di Assad e la Russia fanno saltare in aria ospedali, scuole e addirittura convogli umanitari.
Ciononostante, gli altri rivoluzionari siriani e gli attivisti solidali non sostengono una “no-fly zone” perché vedono gli Stati Uniti per quello che sono: una forza controrivoluzionaria che vuole preservare lo status quo, con o senza Assad. E sanno che con una “no-fly zone” ci sarebbero un’escalation della guerra, più bombardamenti, omicidi di civili innocenti e una condizione addirittura peggiore per il movimento popolare. Inoltre, in verità, gli Stati Uniti non intendono imporre una “no-fly zone” in Siria. Blumenthal e altri commettono l’errore di credere alla retorica di Hillary Clinton in campagna elettorale: Wikileaks e la sua stessa storia di dire una cosa e farne un’altra ci insegnano che ciò è profondamente sbagliato.
L’amministrazione Obama e suoi alleati come il Segretario britannico agli Affari Esteri, Boris Johnson, usano la minaccia di una “no-fly zone” come uno spauracchio negoziale per ulteriori colloqui. Infatti, dopo tutta la retorica e le pose sull’escalation aerea della Russia, Obama ha mandato Kerry in Svizzera in un’altra missione inutile per il negoziato di un cessate-il-fuoco con Putin e vari poteri regionali. C’è appena bisogno di dire che ha fallito. Applicare una vera “no-fly zone” rischierebbe di sfociare in una guerra aperta in Siria.
Molti anni fa, il Capo di Stato Maggiore Generale Martin E. Dempsey presentò a Obama un piano secondo il quale ci sarebbe stato bisogno di almeno 70.000 unità militari per disarmare il sistema antimissilistico siriano e condurre un’operazione di interdizione aerea di ventiquattro ore. Una mossa del genere porterebbe gli Stati Uniti a un conflagrazione diretta con la Russia, che ha già schierato la sua batteria antimissilistica più moderna, rinforzato la sua presenza navale e stabilito una base militare permanente in Siria. Non c’è alcuna indizio che Obama e l’establishment del Dipartimento di Stato siano pronti a rischiare una guerra con una potenza nucleare per la Siria.

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Forse l’affermazione più scioccante e inverosimile di Blumenthal è che i Caschi Bianchi, l’ONG umanitaria recentemente candidata al Nobel per la Pace, non è altro che il cavallo di Troia di una campagna propagandistica degli Stati Uniti per il cambio di regime. La tempistica di questa affermazione non avrebbe potuto essere peggiore. In questi giorni, i Caschi Bianchi stanno tirando siriani feriti, morti o moribondi fuori dalle macerie degli ospedali e degli edifici distrutti ad Aleppo dai caccia russi e dall’artiglieria del regime. Ora, certamente i rivoluzionari siriani, così come l’intera sinistra internazionale, sono consci della trappola della ONGizzazione. In alcuni casi ciò può mutare organizzazioni in fornitori di servizi sociali, invece che in agenti di lotta, e in altri mantenere le rivendicazioni nel limite di tolleranza dei loro finanziatori capitalisti e imperialisti. Ma sarebbe sbagliato fare una generalizzazione a tutte le ONG. Solo perché Blumenthal è riuscito a trovare una traccia di assistenza che conduce ad USAID non vuol dire automaticamente che il gruppo e il suo lavoro siano un’estensione dell’imperialismo USA e che la sua politica sia modellata su quella di alcuni tra i suoi finanziatori. Secondo questo standard, le cliniche di Paul Farmer, messe in piedi ad Haiti con l’aiuto di Partners in Health dovrebbero essere derubricate a uno strumento dell’imperialismo americano nel Paese solo perché lavorano con USAID.
Lo stesso vale per i Caschi Bianchi, composta da circa quattromila siriani si sono organizzati di fronte al disastro umanitario. I suoi volontari hanno salvato circa sessantacinquemila persone dal crollo degli edifici causato dal bombardamento delle zone liberate della Siria. L’attivista umanitario Franklin Lamb scrive:
L’accusa che i Caschi Bianchi siano una propaggine politica Occidentale/NATO è un altro mito della teoria complottista. Come per molte teorie complottiste, comincia con i fatti e procede con connessioni immaginarie che fanno apparire l’interno più grande delle sue parti. I volontari dei Caschi Bianchi non fanno politica ma sono come la popolazione siriana in generale, compresi la maggior parte dei dodici milioni di rifugiati, che sono giunti ad aborrire la politica. Molti sono semplicemente troppo esausti e obnubilati da anni di orrore per stare ad ascoltare futuribili agende politiche, e vogliono solo aiutare in tutti i modi possibili le loro famiglie e gli altri siriani a sopravvivere alla guerra. Per alcuni ciò si traduce in un rischio mortale quotidiano per rimuovere i detriti di cemento nelle aree bombardate in una ricerca frenetica di persone che potrebbero essere ancora vive.
Di contro, Blumenthal ha accusato i Caschi Bianchi di non essere neutrali, di sabotare le operazioni di soccorso accusando le Nazioni Unite di collaborare con il regime, di non operare fuori dalle aree controllate dai ribelli e addirittura di collaborare con i jihadisti. Prendiamo queste accuse una per una.
Primo, come documentato da Lamb, i Caschi Bianchi hanno fatto il Giuramento di Ippocrate, provando più e più volte di rispettarlo con il soccorso a persone di ogni etnia e religione.
Secondo, i siriani che accusano l’ONU di collaborare con il regime hanno assolutamente ragione. Ricordiamo che l’inviato dell’ONU Staffan De Mistura aveva detto che Assad avrebbe dovuto essere parte della transizione, ed invero tutte le operazioni di soccorso ONU sono cogestite con il regime di Assad. I Siriani nelle aree ribelli hanno tutte le ragioni di guardare alle Nazioni Unite con sospetto.
Terzo, se i Caschi Bianchi non operano fuori dalle aree controllate dai ribelli, è per il semplice motivo che la Russia li considera obiettivi militari, rendendo ogni operazione impossibile.
Infine, l’accusa di Blumethal della collaborazione dei Caschi Bianchi con i terroristi è fondata sull’apparizione di uno dei suoi membri in una fotografia con una milizia jihadista. Ciò è assurdo e va contro tutto quanto si è documentato di questa organizzazione.

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Ma la cosa peggiore nell’articolo di Blumenthal è che non identifica la prima e più ovvia causa della catastrofe siriana: la controrivoluzione di Assad.
Per esempio, paragrafo dopo paragrafo, denuncia come la foto di un ragazzo, Omran Daqneesh, tratto in salvo da alcune macerie ad Aleppo, sia stata usata per giustificare la richiesta di una “no-fly zone” statunitense. Ma nel suo zelo di rivelare un complotto imperialista americano, non si concentra neanche per un minuto sui colpevoli dell’attacco che aveva quasi ucciso Daqneesh: Assad e i russi.
Questa vergognosa omissione di critica nei confronti delle atrocità assassine del regime di Assad e dei suoi sponsor internazionali spiega perché molte persone solidali con la lotta siriana hanno la percezione che Blumenthal, Khalek e altri siano passati dalla parte della dittatura. In realtà, alcuni nella sinistra cosiddetta antimperialista difendono veramente il regime di Assad, non come “male minore” rispetto all’imperialismo statunitense, ma, ci crediate o no, come un governo laico, regolarmente eletto e addirittura antimperialista.
In tutta risposta, alcuni attivisti palestinesi che sostengono la Rivoluzione Siriana hanno inoltrato un appello agli attivisti di cessare la collaborazione con Blumenthal, Khalek e altri che abbiano adottato una posizione simile, sebbene i loro nomi non vengano menzionati esplicitamente.
Il rifiuto espresso nell’appello delle accuse di Blumenthal sulla lotta siriana è azzeccato, ma la richiesta di rompere ogni rapporto politico è sbagliata. In primo luogo, Blumenthal e Khalek sono alleati importanti sulla questione palestinese. Dobbiamo saper collaborare con loro laddove siamo d’accordo e rifiutare categoricamente il loro punto di vista sulla Siria. In secondo luogo, vista la diffusione del loro punto di vista sulla Siria a sinistra, è importante discutere con loto, se non per convincerli, per raggiungere almeno le persone su cui hanno influenza.
Gli attivisti solidali con la Siria dovrebbero poi sostenere le ragioni della prima rivolta contro il regime siriano e la Russia in occasione, per esempio, dei forum organizzati dall’US Peace Council, che è attualmente uno strumento per l’apologia di Assad. Possiamo organizzare dibattiti sulla Siria e sulla Palestina in conferenze politiche, e sfidare i punti di vista promossi da Blumenthal e Khalek in pubblicazioni e siti di sinistra.
L’atteggiamento di lottare per prevalere nei dibattiti è importante. Dobbiamo guadagnare la sinistra a un antimperialismo genuino che non si opponga solo all’impero USA ma anche ai suoi rivali (e talvolta collaboratori). Come il socialista rivoluzionario Eamonn McCann ha detto così bene in un discorso tenuto alla Camera dell’Irlanda del Nord, dobbiamo combattere i crimini dell’imperialismo americano in Iraq, Yemen e oltre, ma al tempo stesso sfidare l’imperialismo russo in Siria.
Infine, ma più importante, dobbiamo solidarizzare con le lotte di liberazione dal basso più genuine, a prescindere contro quale campo imperialista si stiano battendo.
Il nostro slogan è né Washington né Mosca, né Pechino, né Damasco, né Tehran, né Riyadh, ma l’autodeterminazione delle nazioni oppresse e il socialismo internazionale.

*Tradotto da Antonello Zecca dall’articolo pubblicato sul sito Socialist Worker.org il 19 Ottobre 2016

**L’articolo in lingua originale con i riferimenti bibliografici è disponibile al seguente URL: https://socialistworker.org/2016/10/19/will-the-left-hear-the-cries-from-aleppo

Fonte: popoffquotidiano.it 

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