di Stefano Fassina
Puntuale, senza un minuto di ritardo, nonostante il deragliamento del Pd il 4 dicembre scorso, è arrivato il trenino di Giuliano Pisapia. È partito prima delle elezioni amministrative di primavera e non si è fermato neanche un attimo per guardare dal finestrino quel popolo delle periferie economiche e sociali distante da e ostile a chi, per vocazione naturale, lo dovrebbe rappresentare. Neanche una sosta per provare a capire perché l'80% dell'universo degli under-30 ha scritto No al cambiamento renziano. La revisione costituzionale voluta dal Pd era una visione di società, un programma fondamentale: una democrazia senza popolo per una repubblica fondata sui voucher. È stata spazzata via. Ma i suoi autori, illusi dai 13 milioni di Sì, preparano il prossimo giro elettorale.
Così, nell'universo autoreferenziale del circuito politico-mediatico, arriva, come nulla fosse accaduto, il trenino del "Campo progressista". Riparte subito: per unire la sinistra. È una destinazione desiderata da tutti noi. Come si può essere insensibili? Ma dove sta l'unità della sinistra nella mappa sociale, economica, culturale e morale del Paese? Nel ricorrente discorso iperpoliticista di Giuliano Pisapia non è dato sapere.
Mai, nel suo dolce discorrere, un elemento di programma. Secondo Giuliano Pisapia, la condizione per andare avanti spediti verso l'unità della sinistra è la separazione del Pd da Alfano e Verdini. Il fantastico mondo di Giuliano è così: coincide con i palazzi della politica. La realtà, i suoi drammi, le sue opportunità, sono fuori: un fastidioso e incomprensibile rumore di fondo.
Nella sua lettura, è stata l'innaturale e inevitabile alleanza con Alfano e Verdini a costringere Matteo Renzi a un'agenda inadeguata. Eppure, a noi non è sembrato. Noi, insieme a milioni di ex-elettori Pd, abbiamo visto Matteo Renzi interpretare in modo estremo e convinto la democrazia plebiscitaria e il neo-liberismo europeista sanciti nel passaggio fondativo del Lingotto.
È stato, per autonoma determinazione, proprio il Pd a volere e a rivendicare orgogliosamente, anche domenica notte nel discorso del commiato del presidente del Consiglio: il Jobs Act e la cosiddetta "buona scuola"; la legge per le trivelle facili e l'assoggettamento del sistema radio-televisivo pubblico all'esecutivo; una politica economica neo-liberista, mix spregiudicato di misure supply side per le imprese e laurismo prima di ogni passaggio elettorale; l'eliminazione della Tasi per tutti; il condono fiscale nell'intervento demagogico su Equitalia; i tagli espliciti e mascherati alla Sanità pubblica; l'esaltazione del Ceta e del Ttip.
Ed è proprio il Pd, inoltre, indisponibile a riconoscere i trofei dell'ulivismo -il mercato unico senza standard sociali e ambientali e l'euro- errori politici di portata storica, potenti fattori di svalutazione del lavoro e aggravamento delle condizioni materiali di vita delle generazioni più giovani e delle classi medie.
Su quale programma dovrebbe fondarsi l'unità a sinistra? Quale radicale inversione di rotta viene proposta al Pd? Nessuna. Quali iniziative mettiamo in cantiere per dare risposte alle domande del No al referendum costituzionale? Il nostro gentile ex Sindaco arancione non lo dice. Non importa. Noi siamo i buoni. I barbari sono alle porte.
Negli ultimi anni, a ogni passaggio elettorale, negli Stati Uniti, in Europa e in Italia, è diventata sempre più larga la faglia sociale apertasi nell'ultimo trentennio. Il Pd è il partito dei signori della globalizzazione, del mercato unico europeo e dell'euro. I riferimenti sociali prioritari del Pd sono Marchionne e le grandi imprese esportatrici di Confindustria.
Noi, invece, controcorrente, vogliamo ridare voce al popolo delle periferie. L'unità a sinistra la facciamo con loro. Siamo su versanti opposti della faglia. Comunque, buon viaggio a Giuliano Pisapia e a quanti dai palazzi della politica salgono sul suo trenino a rimorchio del Pd.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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