La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 7 dicembre 2016

Crisi di governo in mano all’Unione Europea, tramite Mattarella

di Alessandro Avvisato
La rapidità della caduta di Matteo Renzi supererà di gran lunga quella della sua ascesa? C'è da crederlo, guardando come i media mainstream – a poco più di 48 ore dalla pesantissima sconfitta referendaria – lo stanno impallinando. Può sorprendere – se non si è capito chi è che comanda davvero – che “combattenti per il sì” di provatissima fede siano all'unisono schierati sulla linea “Matteo, lascia perdere e dai una mano a chi sceglieremo come sostituto”. Ma per chi comanda (e chi ne riporta i diktat) conta solo la tenuta del sistema, non la faccia messa a recitare la parte di presidente del consiglio.
Mario Calabresi (Repubblica), Antonio Polito, Massimo Franco (Corriere della sera), Federico Geremicca (La Stampa) e tanti altri concentrano la critica esattamente sulla pochezza di Renzi come “statista”. Insomma sulla incapacità di distinguere il proprio destino personale dagli “interessi generali del paese”, che lo sta portando a “tentare di scaricare sul paese la sconfitta”.
Altrettanto sorprendente potrebbe sembrare la “tensione” evidenziata (e fatta filtrare a tutti i “quirinalisti”) da Sergio Mattarella, teoricamente in debito di riconoscenza con il poco magnifico fiorentino per essere stato eletto Presidente al posto di Romano Prodi.
Ma la struttura del potere politico – in regime capitalistico – è fatta di vasi comunicanti sempre attivi: se improvvisamente Palazzo Chigi somiglia a un covo bombardato e dunque inutilizzabile, il baricentro si sposta da un'altra parte. In questo caso al Quirinale, per trovare la “soluzione equilibrata” che preservi il sistema.
Del resto Renzi, di stupidaggini istituzionali, ne ha inanellate davvero troppe. A partire da una legge elettorale (l'Italicum) scritta per dominare la sola Camera, nella convinzione che il referendum avrebbe confermato la riduzione del Senato a parcheggio per amministratori locali sotto inchiesta. Più ancora delle violazioni costituzionali, insomma, al potere risultano intollerabili gli errori sul piano dell'efficacia funzionale. E un pasticcio come quello attuale non si era mai verificato nella storia del dopoguerra. Riassumendo:
– il governo sarà dimissionario da stasera o al massimo da venerdì (dopo l'approvazione definitiva della legge di stabilità e la direzione del Pd); accettare un incarico bis a tempo significherebbe accettare di farsi rosolare a fuoco lento, davanti al paese, al Parlamento e alle istituzioni sovranazionali;
– non si possono convocare subito nuove elezioni per diversi motivi: a) l'Italicum sarà vagliato, e probabilmente amputato nei suoi dispositivi più abnormi, dalla Corte Costituzionale il 24 gennaio; b) anche prevedendo una sentenza rapida, è impossibile – o comunque altamente sconsigliabile – convocare i comizi elettorali in presenza di due leggi elettorali profondamente diverse per le due Camere, oltretutto dalla struttura incoerente, che darebbero quasi certamente maggioranze di governo fra loro incompatibili, con relativo rischio di paralisi istituzionale;
– non ci sono le condizioni politico-partitiche per definire e approvare due leggi elettorali nuove (una per ogni Camera, o anche la stessa per entrambe) che rispettino anche il presunto criterio della “governabilità” (una maggioranza sicura che duri cinque anni);
– il quadro politico-parlamentare è ridotto ad un accampamento di cacicchi in cerca di nuovi sponsor o protettori, con gente che lascia alcune tende e pretende accoglienza in altre (M5S a parte, ovviamente), rendendo un esercizio da stregoni ogni calcolo per aggregare una maggioranza;
– il Pd rischia il collasso ai vertici, ricalcando dunque quello avvenuto sui territori (il voto delle amministrative è stato confermato con gli interessi in sede di referendum, con le periferie, i giovani e i poveri plebiscitariamente schierati con il NO); o quantomeno Renzi, per la prima volta in tre anni, rischia di andare in minoranza o comunque di uscire molto ridimensionato nel suo ruolo dittatoriale.
Ne consegue che la formazione di un qualsiasi tipo di governo è subordinata a un intervento diretto – palese o occulto – degli organismi sovranazionali, gli unici in grado di condizionare, con la loro “forza di persuasione”, una masnada di arraffoni senza idee, progetti, onore, serietà.
Solo a partire da questa considerazione si può capire la calma olimpica con cui i mercati e l'Unione Europea – che non avevano fatto mistero di considerare la riforma contro-costituzionale una propria creatura – hanno accolto la straripante vittoria del NO e le dimissioni del quisling di Rignano sull'Arno.
La borsa di Milano, ieri è salita del 4,15%, forse più di quanto avrebbe fatto se avesse vinto il “sì”, ed anche stamattina veleggia intorno al +1%. Lo spread sui titoli di stato italiano sono calati dopo una breve impennata, come se nel paese non fosse in fondo successo nulla di grave.
L'Eurogruppo (diretto dal superfalco olandese Jeroen Dijsselbloem) e lo stesso Wofgang Schaeuble si sono mostrati improvvisamente comprensivi con le difficoltà italiche, garantendo di aver “fiducia nella solidità del paese, delle sue istituzioni e della sua economia, come nella sua capacità di superare la crisi bancaria e proseguire sulla strada delle riforme economiche”.
In altri termini, hanno fiducia nel fatto che il pilota automatico istituzionalizzato nei trattati europei continuerà a governare i singoli paesi che non hanno la forza per contrattare davvero.
Si capisce che a Bruxelles intendano trattare le conseguenze del referendum italiano esattamente come l'Oxi greco: non c'è mai stato, non esiste, non conta. Il problema è che non hanno qui uno Tsipras, ossia un premier eletto democraticamente e addirittura in grado di essere confermato dal voto anche dopo un “tradimento” che grida vendetta.
Il caos italiano è tutto diverso, per molti aspetti addirittura più drammatico (non ci sono più partiti, nel senso tecnico del termine; ed anche il Pd sembra avviato sulla via della dissoluzione, tra revanscismi renziani, prudenze democristiane, furbizie da neofiti, “mucche nel corridoio” ed equilibrismi altrove impensabili).
La quadratura del cerchio sta ora in mano a Mattarella. E, volendo scherzzare, vien quasi da tirare un sospiro di sollievo, pensando a cosa avrebbe potuto combinare un Napolitano nella stessa situazione…

Fonte: contropiano.org 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.