di Alessandro Gilioli
Le analisi sulla divisione del voto per età sono ancora imprecise. Ma tutti gli istituti - da Quorum a Piepoli, da Swg a Cattaneo - sono concordi nell'attribuire all'elettorato sotto i 35 anni percentuali "bulgare" a favore del No: più o meno, tra il 70 e l'80 per cento. In ogni caso, molto sopra la media complessiva e molto sopra qualsiasi altra fascia anagrafica. Swg aggiunge che la stessa area d'età, quella sotto i 35 anni, ha un altro primato: quello dell'astensione, intorno al 38 per cento.
In termini assoluti, questo vuol dire che su circa 10 milioni di elettori under 35 (questi sono, secondo Istat), quasi 4 milioni non sono andati a votare; 4 milioni e mezzo hanno votato No; poco più di un milione e mezzo hanno votato Sì.
La prima ovvietà - me ne scuso, ma va detta - è anche un apparente paradosso: il governo più giovane della storia repubblicana (quando è entrato in carica, aveva un'età media di 47 anni) e il premier più giovane della storia repubblicana (quando è entrato in carica, aveva appena compiuto 39 anni) hanno clamorosamente fallito l'approccio alle fasce più giovanili - ottenendo per contro consensi maggioritari alla Riforma solo dagli over 55 (secondo Quorum, è questa l'unica fetta anagrafica in cui il Sì ha superato il No).
Già, i "giovani".
Nanni Moretti in Ecce Bombo ha detto probabilmente una parola definitiva sulla pretesa di considerarli una "categoria": quando sfotteva il giornalista che stava facendo un'inchiesta sui "giovani" suggerendogli di intervistare l'amico Vito, che «sa fare molto bene il giovane». Come dire: volete stereotipi e luoghi comuni, eccoveli serviti, così siete contenti e continuate a non capire niente delle complessità e delle diversità che da sempre agitano ogni generazione di nuovi adulti, proprio come infinite differenze e complessità ci sono nelle altre fasce anagrafiche.
Eppure si cerca sempre di definire i giovani in modo omogeneo tra loro e quindi superficiale - baby boomers, millennials, generazione X etc - mentre a nessuno è mai venuto in mente di inchiodare allo stesso modo in un letto di Procuste, chessò, i quarantenni o gli ottantenni.
Non sta quindi scritto da nessuna parte che alcuni giovani rappresentino gli altri, la maggioranza degli altri. E che quindi ne attraggano il consenso. Può essere, ma non è meccanico.
In questo caso - la sberla presa dal giovane Renzi e dall'ancor più giovane Boschi - è stato anzi evidente il contrario. Nonostante la retorica giovanilistica e vitalistica che ha accompagnato tutta la narrazione di Renzi - fin dalla Leopolda - e che ha innervato anche questa campagna elettorale, nella quale la Riforma era descritta come l'affermazione efficiente di una generazione capace di liberarsi dalle incrostazioni lasciate dai nonni, e vai con i "sì al futuro", "non ci faremo rubare il futuro" etc etc.
Non ha funzionato, si diceva.
Forse perché il futuro è un'ipotesi mentre il presente è una certezza.
E il presente è, ad esempio, un tasso di disoccupazione giovanile al 37 per cento, con punte che superano il doppio di questa cifra nelle regioni dove (ohibò) il No ha vinto in modo più eclatante, Sardegna, Sicilia, Campania in testa.
Il presente è (cito da una bella inchiesta di Emiliano Fittipaldi uscita un paio di settimane fa) che anche tra chi un reddito ce l'ha uno su tre è 'sovraistruito', cioè troppo qualificato per il lavoro che svolge: lui e la sua famiglia hanno investito tempo e denaro per una formazione che l’ha portato a fare il commesso, il cameriere, il barista, l’addetto personale, il cuoco, il parrucchiere, l’estetista.
Il presente è che i pochi programmi governativi per aiutare gli under 40 sono falliti clamorosamente, come il mitico “Garanzia giovani”: su quasi un milione di ragazzi che si sono iscritti solo 32 mila hanno trovato un’occupazione vera e un contratto decente (dati Isfol, sempre tratti dall'inchiesta di Fittipaldi).
Il presente è che il Jobs Act ha creato una divisione ancora più netta tra chi era stato assunto prima del suo varo (quindi illicenziabile) e chi invece viene assunto dopo (licenziabile in qualsiasi momento): e prima non era così, non c'erano nello stesso ufficio o nella stessa fabbrica, uno accanto all'altro, lavoratori con lo stesso inquadramento e con uguali mansioni ma diversi diritti a seconda dell'età.
Il presente è che la stessa legge, il Jobs Act, ha alzato smisuratamente il tetto per i voucher, regalando ai ragazzi un precariato eterno ed acrobatico.
Il presente è che gli 80 euro, l'unica manovra vagamente redistributiva del governo Renzi, sono andati solo a chi aveva già un lavoro a tempo indeterminato, quindi ne sono stati esclusi proprio gli under 35 che in maggioranza - quando guadagnano qualcosa - sono flessibili, interinali, intermittenti, partite Iva etc.
Il presente è che hanno tentato di coprire tutto questo con la retorica giovanilistica: che avrà forse fatto colpo ai figli della borghesia metropolitana avviati nello studio di papà, ma non ai fattorini di Foodora che se entrano in banca a chiedere un mutuo per la casa vengono accompagnati fuori dalla vigilanza.
C'è una questioncina dei ragazzi, in Italia, insomma.
E va ben oltre questo referendum, che l'ha solo (per l'ennesima volta) segnalata.
A proposito, si diceva: gli elettori under 35 in Italia sono 10 milioni.
Quelli sopra i 45 anni sono il triplo.
Fate due conti, su chi pesa di più nelle urne. E capirete come mai ai nuovi adulti - in generale, non solo con Renzi - si danno soltanto sorrisi e blabla.
Fonte: L'Espresso - blog Piovono Rane
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