di Michele Giorgio
I coloni e la destra israeliana al governo, per ragioni di opportunità, ieri parlavano di «una buona notizia». A stento però riuscivano contenere la gioia per la nomina annunciata da Donald Trump del suo consigliere e amico della destra israeliana più radicale David Friedman a nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Da quando Trump ha vinto le presidenziali Usa non passa giorno senza una buona notizia per il governo Netanyahu e gli ultrazionazionalisti religiosi che dominano la scena politica israeliana. Non che la candidata democratica Hillary Clinton non desse sufficienti garanzie di alleanza, anzi.
Ma con Trump è una festa continua, tutte rose senza spine. Altro che lo spigoloso Barack Obama. A dire il vero il presidente uscente nulla ha fatto per dare una risposta, fondata sulla giustizia, alla questione palestinese. Però ha condannato la colonizzazione dei Territori occupati e ha pure fatto un accordo con gli iraniani sul nucleare sfidando Israele. Così con la presidenza Obama agli sgoccioli, David Friedman è il messaggero di questa nuova alba di negazione dei diritti di arabi e palestinesi, partendo da Gerusalemme, passando per il Golan siriano occupato fino alla Striscia di Gaza assediata da dieci anni.
Ma con Trump è una festa continua, tutte rose senza spine. Altro che lo spigoloso Barack Obama. A dire il vero il presidente uscente nulla ha fatto per dare una risposta, fondata sulla giustizia, alla questione palestinese. Però ha condannato la colonizzazione dei Territori occupati e ha pure fatto un accordo con gli iraniani sul nucleare sfidando Israele. Così con la presidenza Obama agli sgoccioli, David Friedman è il messaggero di questa nuova alba di negazione dei diritti di arabi e palestinesi, partendo da Gerusalemme, passando per il Golan siriano occupato fino alla Striscia di Gaza assediata da dieci anni.
Friedman, sottolineavano ieri i coloni, «è un sostenitore convinto degli insediamenti coloniali». Entusiasta Yochai Damari, presidente del consiglio regionale dei coloni di Hebron, secondo cui Trump dimostra con questa nomina di essere «un partner sincero e leale di Israele». I giorni di Obama «sono terminati», ha detto Damari, spiegando che tenendo conto delle intenzioni di Trump, il premier Netanyahu dovrebbe «portare avanti le costruzioni (nelle colonie) ed estendere la sovranità ebraica sul mezzo milione di ebrei (i coloni) che vi risiedono». Il primo ministro non ha replicato, poi ha fatto sapere di essere soddisfatto del nuovo ambasciatore Usa. «Le posizioni di Friedman riflettono la volontà di rafforzare lo status di Gerusalemme come capitale di Israele», ha commentato da parte sua la vice ministra degli esteri Tizpi Hotovely.
Nelle sue prime dichiarazioni dopo la nomina, Friedman, che in passato, ha messo sullo stesso piano gli ebrei di sinistra con gli ebrei collaboratori dei nazisti, ha affermato che non vede l’ora di lavorare nella capitale eterna di Israele, Gerusalemme, confermando così l’intenzione annunciata da Trump in campagna elettorale di spostare l’ambasciata a Gerusalemme per riconoscerla tutta, anche la sua parte araba occupata nel 1967 e rivendicata dai palestinesi, come capitale di Israele. Trump passerà davvero il Rubicone incendiando il Medio Oriente? Darà il via libera al Jerusalem Embassy Act varato dal Congresso americano nel 1995 che prevede che l’ambasciata Usa si trasferisca a Gerusalemme? All’inizio di dicembre Obama ha firmato una nuova proroga semestrale per l’ambasciata Usa a Tel Aviv, una consuetudine dai tempi della presidenza Clinton. Tutti gli ultimi inquilini della Casa Bianca sono ricorsi alla loro autorità emanando decreti esecutivi che hanno bloccato l’entrata in vigore della legge per motivi di “sicurezza nazionale”. Con Trump e il suo esecutivo di falchi alleati di Israele, si andrà in un’altra direzione.
La nomina di Friedman è un altro colpo basso degli Usa alle aspirazioni di libertà e indipendenza dei palestinesi. Il nuovo ambasciatore, come Trump, si proclama scettico (a dir poco) verso la soluzione dei Due Stati, Israele e Palestina, mettendo in grande difficoltà il presidente dell’Anp Abu Mazen che su quel principio ha fondato tutta la sua azione politica e diplomatica negli ultimi venti anni. Di fatto l’Amministrazione Trump, oltre a regalare Gerusalemme a Israele, pone le basi per l’annessione dei territori occupati (tranne la scomoda Gaza) allo Stato ebraico e per la costituzione di bantustan riconosciuti nelle aree A della Cisgiordania rappresentate oggi dalle principali città palestinesi. Come si porranno l’Anp e Hamas di fronte a ciò? Segnali nuovi da Ramallah e Gaza non ne sono giunti. L’Anp, attraverso sue fonti anonime, ha parlato di un «sostanziale cambiamento nella posizione storica e strategica degli Usa nei confronti dei palestinesi e del conflitto con Israele», senza però chiarire il cambiamento rispetto a cosa, visto che Washington, anche con Obama presidente, non ha favorito il rispetto del diritto internazionale per il futuro dei Territori palestinesi occupati. Netto al contrario il giudizio di Ekrama Sabri, noto imam della moschea al Aqsa di Gerusalemme, in passato Gran Mufti dei palestinesi. La nomina di Friedman, ha commentato, «è una nuova dichiarazione di guerra ai palestinesi, a tutti gli arabi e ai musulmani». Il trasferimento dell’ambasciata Usa, ha aggiunto, rappresenterebbe un riconoscimento di Gerusalemme «quale capitale solo degli ebrei».
Fonte: Il manifesto
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