di Howard Zinn
Da bambino leggevo libri d'avventura sulla prima guerra mondiale, storie di eroismo e cameratismo che presentavano una guerra pulita e gloriosa, senza morte e sofferenze. Quella nozione romantica fu sradicata a diciott'anni dalla lettura di Johnny Got His Gun, il romanzo forse più sconvolgente che sia mai stato scritto contro la guerra. Eppure, a vent'anni, all'inizio del 1943, mi arruolai volontario nell'aviazione: volevo dare il mio contributo alla sconfitta del fascismo. Avevo imparato a odiare la guerra ma ritenevo che quella non fosse un guerra per il profitto o per l'impero ma una guerra del popolo contro la brutalità fascista.
Ho sganciato bombe su Berlino e su altre città tedesche, ungheresi, cecoslovacche e persino su una piccola città francese della costa atlantica. Ero fiero di me stesso e non mi facevo domande: il fascismo doveva essere sconfitto.
Finita la guerra in Europa tornai a casa in licenza, con la prospettiva di ripartire per nuove missioni, stavolta contro i giapponesi. Ma il 7 agosto del 1945, mentre andavo verso la stazione, mi cadde l'occhio sui grandi titoli dei giornali: “Lanciata bomba atomica su Hiroshima, città distrutta”. Non avevo idea di cosa fosse una bomba atomica ma provai un senso di sollievo: la guerra sarebbe finita presto e non sarei dovuto partire per il Pacifico.
Subito dopo la fine della guerra, però, lessi il resoconto di un giornalista che era andato a Hiroshima poco dopo il bombardamento e aveva parlato coi sopravvissuti. Potete immaginare l'aspetto di quella gente: qualcuno senza una gamba, altri senza un braccio, altri ancora resi ciechi o con la pelle così bruciata che non si riusciva a guardarli. Lessi quelle storie e per la prima volta mi resi conto delle conseguenze dei bombardamenti sulla popolazione. Capii che non avevo idea di quel che facevo agli esseri umani quando lanciavo bombe sulle città europee. Quando sganci bombe da otto chilometri di altezza non vedi quello che accade sotto, non senti le urla, non vedi il sangue, i bambini fatti a pezzi. Compresi come, in tempo di guerra, le atrocità vengano commesse da persone ordinarie che non vedono le loro vittime come esseri umani ma come nemici, anche se sono bambini di cinque anni.
Quelle bombe al napalm
Mi tornò alla mente un raid, portato a termine poco prima che finisse la guerra, vicino a Royan, una cittadina francese sulla costa atlantica. Lì erano accampati dei soldati tedeschi che non facevano nulla, aspettavano semplicemente la fine delle ostilità. Fummo avvisati che questa volta avremmo usato un nuovo tipo di bomba chiamata “Jelled Gasoline”: era il napalm. La città di Royan fu distrutta e migliaia di persone, fra soldati tedeschi e civili francesi, morirono, ma dal cielo non vidi gli esseri umani, i bambini bruciati vivi dal napalm.
È un episodio al quale non ripensai fino a quando non lessi delle vittime di Hiroshima e Nagasaki. Vent'anni dopo andai a visitare Royan, feci delle ricerche e capii che quella gente era morta senza motivo, era morta perché qualcuno in alto loco voleva più medaglie e voleva verificare gli effetti del napalm sulla carne umana.
Capii allora gli effetti dei bombardamenti alleati sulle popolazioni civili. Eravamo rimasti inorriditi quando, anni prima, gli italiani avevano bombardato Addis Abeba o quando i tedeschi avevano colpito Coventry, Londra e Rotterdam. Ma poi gli alleati scelsero di mettere in atto bombardamenti massicci per minare il morale del civili tedeschi e Churchill, con l'approvazione dell'alto comando americano, decise di colpire i quartieri abitati dai lavoratori tedeschi. Cominciarono così i bombardamenti a tappeto su Francoforte, Colonia, Amburgo, col massacro di decine di migliaia di persone: erano bombardamenti terroristici. Nel febbraio 1945 Dresda fu bombardata per un giorno e una notte e, a causa dell'intenso calore generato dalle esplosioni, un gigantesco incendio divorò la città, all'epoca piena di rifugiati. Nessuno sa esattamente quante persone morirono, forse centomila.
Studiai anche le circostanze che avevano portato al bombardamento atomico sulle città giapponesi e conclusi, come altri studiosi, che le motivazioni ufficiali di quell'orrore erano false: quei bombardamenti non erano necessari perché i giapponesi stavano comunque per arrendersi. Quelle bombe erano il primo atto della guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica, con centinaia di migliaia di ignari giapponesi utilizzati come cavie. Nella primavera del 1945 venne anche portato a termine un attacco notturno su Tokyo: non ci fu alcun tentativo di colpire obiettivi specifici e forse centomila uomini, donne e bambini ne morirono.
Ma quale guerra giusta?
Giunsi a concludere che ogni guerra, anche quella che avevamo chiamato buona e giusta per sconfiggere il fascismo, corrompe tutti coloro che vi partecipano, avvelena la mente e l'anima della gente su entrambi i fronti. Compresi che la guerra mette in atto un processo per cui io e tutti gli altri eravamo diventati inconsapevoli assassini di innocenti. Perché all'inizio del conflitto decidi che la tua parte è quella giusta e che gli altri sono i cattivi e una volta presa questa decisione smetti di pensare e qualunque cosa tu faccia, anche la più terribile, diviene accettabile.
L'idea di guerra giusta si basa un salto logico perché una causa può effettivamente essere giusta ma questo non significa che l'uso della guerra, come rimedio a quella ingiustizia, sia giusto. È tempo di prendere in considerazione un'idea che non fa parte del pensiero convenzionale in materia di relazioni internazionali: laddove accadono ingiustizie nel mondo è necessario cercare un rimedio che non sia la guerra.
Se muoviamo guerra contro una nazione governata da un tiranno le persone che uccidiamo, in realtà, sono le vittime stesse della sua tirannia.
Nelle guerre del ventesimo secolo il 90% delle vittime sono civili: la guerra è uccisione indiscriminata di esseri umani ed è sempre, fondamentalmente, contro i bambini. E allora, anche quando una causa giusta ci viene presentata, vera o inventata che sia, quando ci dicono che dobbiamo combattere per la libertà, o per la democrazia, o per sconfiggere la tirannia, dobbiamo sempre rigettare la guerra come soluzione.
Albert Einstein era a Ginevra quando i delegati di sessanta nazioni si incontrarono per stabilire le regole di condotta della guerra. Ne fu così inorridito che decise di convocare una conferenza stampa per dichiarare che la guerra non poteva essere umanizzata, poteva solo essere abolita.
L'idea di guerra giusta, inoltre, si disintegra quando l'analisi storica viene estesa oltre le conseguenze immediate di un conflitto. Ho un ricordo vivido delle celebrazioni seguite alla sconfitta delle potenze dell'asse e avevamo ben ragione a festeggiare. Ma se guardiamo al mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale possiamo forse dire che il fascismo, il totalitarismo, il razzismo, il militarismo furono davvero sconfitti? No, ci siamo ritrovati invece con due superpotenze armate con migliaia di testate nucleari che, se fossero state utilizzate, avrebbero fatto impallidire l'olocausto di Hitler. E dopo i cinquanta milioni di morti del secondo conflitto mondiale le guerre sono forse finite? No, sono continuate nei decenni successivi lasciando altre decine di milioni di vittime sul terreno.
Questo testo è un frammento di un discorso tenuto a Roma il 23 giugno 2005 da Howard Zinn nell'ambito di un evento organizzato da Emergency. Il testo completo dell'intervento è stato pubblicato negli USA in varie raccolte. Il testo qui riprodotto è stato tradotto da “Just War”, pubblicato nel dicembre 2005 dall'editore Charta. Il testo completo in italiano è reperibile all'indirizzo it.peacereporter.net/articolo/3038/La+guerra+giusta
Traduzione di Santo Barezini
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=412&pag=71.htm#1
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