di Massimiliano Guareschi
In fondo, la ricetta si è rivelata geniale. Slavoj Žižek deve il proprio successo alla riproposizione di qualcosa che potrebbe apparire inesorabilmente datato e demodé, ossia il marxismo, nella sua declinazione leninista. Il pericolo poteva essere quello di essere scambiato per un adepto di Lotta comunista o di qualche gruppuscolo residuale. E allora perché non impacchettare il tutto in una cornice lacaniana, con tanto di reiterati riferimenti al Reale, all’Osceno, alla Forclusione o all’Altro (rigorosamente con la maiuscola) e spingere sull’acceleratore della contaminazione con la cultura pop?
L’impatto è stato notevole, e planetario, accreditando Žižek come il punto di riferimento per un pensiero critico controcorrente rispetto ai canoni ormai consolidati del minimalismo teorico, del narcisismo delle piccole differenze o del sincretismo radical. La produzione del filosofo e non psicoanalista (come spesso si ritiene) sloveno, nel corso del tempo, si è fatta quasi compulsiva.
A TESTI PIÙ DIRETTAMENTE teorici, spesso e volentieri assai massicci per numero di pagine, si alternano volumi più agili che, a cadenze quasi fisse, si interrogano sul senso filosofico e politico dell’attualità spesso assai lucidi nel sottolineare i limiti di un senso comune radical improntato al culturalismo, al dogma consolatorio della resistenza al potere e a una versione «colta» dell’antipolitica, anche se si può nutrire più di una riserva sul fatto che l’antidoto a tutto ciò possa essere costituito dall’atto di enunciare il lessico del marxismo-leninismo.
Con un certo compiacimento, Žižek ama invocare, contro lo spirito del tempo, formule divenute tabu ed esposte a unanime riprovazione. Così è per il suo recente Il contraccolpo assoluto. Per una nuova fondazione del materialismo dialettico (Ponte alle Grazie, pp. 572, euro 25). In questo caso, come chiarisce il sottotitolo, l’obiettivo sarebbe nientemeno che una rifondazione del materialismo dialettico. I punti di riferimento teorici, però, non sono, come sarebbe stato lecito attendersi, la dialettica della natura di Engels, Materialismo ed empirocriticismo di Lenin o i manuali di marxismo dell’epoca staliniana. Diversamente, l’interlocutore privilegiato viene individuato proprio in colui che, secondo Marx, occorreva «ribaltare» per costruire una prospettiva autenticamente materialista, ossia Hegel. E così, Il contraccolpo assoluto appare come una lunga postilla, all’opera teoricamente più impegnativa dell’ultimo Žižek, i due volumi di Meno di niente (Ponte alle Grazie), che sulla riattivazione attraverso il prisma lacaniano del filosofo della Fenomenologia dello spirito appunto si incentravano.
Materialismo, come i suoi opposti idealismo o spiritualismo, può apparire oggi un significante vuoto, non più in grado di catalizzare le energie teoriche ed esistenziali come in un passato tutto sommato recente. In ambito filosofico, altre appaiono le opposizioni che presiedono alle divisioni di campo. Inoltre, gli sviluppi delle scienze da un secolo a questa parte hanno reso sfuggente la stessa idea di materia, privandola di solidità ed autoevidenza e rendendo problematico definire che cosa possa significare «prendere partito» a favore di essa.
IN EFFETTI, IL PROBLEMA del materialismo, così come lo configura Žižek, non ha a che fare con il ristabilimento del primato di una dimensione su altre, al punto che si parla di «materialismo senza materia», quanto con il proposito di tenere insieme senza soluzione di continuità, nella medesima matrice concettuale, il piano cosmologico, politico e clinico. Questo in sintesi il materialismo dialettico di cui ci Il contraccolpo assoluto intende offrire non una definizione ma alcuni esercizi.
Žižek recensisce, nell’apertura del libro, i diversi filoni che nello scenario attuale possono aspirare alla qualifica di materialisti. Incidentalmente si cita il «materialismo riduzionista e volgare» di cognitivisti e neodarwiniani o l’«ateismo aggressivo» à la Dawkins. Il confronto è più serrato con prospettive caratterizzate da un maggiore livello speculativo, dal «materialismo discorsivo» foucaultiano al «materialismo dell’incontro» althusseriano fino al «nuovo materialismo» deleuziano. Quest’ultimo rappresenta decisamente il termine di confronto filosofico rispetto al quale Žižek definisce la propria prospettiva, in consonanza spesso con le posizioni di Alain Badiou.
A PARERE DEL FILOSOFO sloveno il monismo deleuziano non solo pecca di vitalismo, passibile di derive animistiche esemplificate con il riferimento a Vibrant Matter di Jane Bennet, ma lascerebbe impensate le questioni della soggettività e del negativo, o le risolverebbe al ribasso. Di conseguenza, si imporrebbe un altro cammino, che dribblando il ribaltamento marxiano, letto nei termini di una mera restaurazione neoaristotelica, individua la chiave per un approccio unificato a natura e artificio, a organico e inorganico, ontologia e fenomenologia nell’esegesi selettiva di un Hegel non pacificato nella chiusura della sintesi, cortocircuitato con Lacan e proiettato sugli scenari della fisica delle alte energie, della bancarotta del comunismo storico e dell’invenzione psicoanalitica. E qui entra in gioco il contraccolpo assoluto del titolo, l’absoluter Gegenstoss.
SI TRATTA DI UNA FORMULA rara, limitata a una sola occorrenza nell’opus hegeliano, un passaggio della Scienza della logica in cui sarebbe chiamata a nominare «un ritrarsi che crea ciò da cui si ritira», il gesto negativo che crea ciò che esso stesso nega. E ciò vale, come principio ontologico, per la fisica quantistica come per la politica. E soprattutto per il soggetto, visto come «caso completo di contraccolpo assoluto, di una cosa che emerge attraverso la sua stessa perdita quale risultato della propria impossibilità».
Opponendosi al «chiacchiericcio hegeliano» in base alla quale il soggetto si estranea nell’oggettivazione per riconciliarsi con se stesso riappropriandosi del proprio sé alienato, Žižek, compitando Lacan, sottolinea come il soggetto non preesista alla propria perdita e consegua al fallimento della sua rappresentazione simbolica.
Dare Hegel per morto è un fenomeno ricorrente, così come l’impressione di avere finalmente chiuso i conti con il suo pensiero, confinandolo nell’ambito della storia della filosofia. Analitici, neokantiani, esistenzialisti e «post-strutturalisti», nel corso del tempo, hanno sedimentato un corposo e multiforme archivio dell’antihegelismo, passibile in alcuni suoi frammenti di farsi senso comune filosofico, spesso prescindendo dalle cornici teoriche che li motivavano.
NEGLI ULTIMI DECENNI, tuttavia, si riscontra un incremento di interesse non solo storico ma anche politico-teorico nei confronti di Hegel, cui non è senza dubbio estranea la Lacan renaissance che caratterizza il nostro tempo. In proposito, oltre ai volumi di Žižek, si potrebbero citare, da prospettive teoriche e politiche assai diverse, i lavori di Robert Pippin, Terry Pinkard, Axel Honneth o le recenti Hegel Variations di Frederic Jameson. Evidentemente la formidabile macchina speculativa hegeliana, con la sua intricata trama di livelli, è ancora in grado di parlare al nostro tempo, al di là del respiro contingente dei vari neoidealismi o hegelo-marxismi che si sono succeduti.
Certo, si può continuare a diffidare di Hegel, ma sarebbe opportuno farlo in maniera non automatica, a partire dalle sfide del presente e senza dare per scontato che anche i momenti teorici antihegeliani nei confronti dei quali si prova più empatia conservino inalterato il loro significato, al di fuori dei contesti teorici e politici in cui sono stati concepiti e formulati.
Fonte: Il manifesto
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