di Francesco Garibaldo
1.La convergenza della manifattura e dei servizi e la nascita dei sistemi eco-industriali
Si tende a fare coincidere manifattura con fabbricazione, quando le nuove tendenze sono verso un’integrazione tra manifattura e servizi. La catena del valore manifatturiera, così rilevante nella Unione Europea (UE), non è fatta, infatti, solo di fabbricazione ma di un insieme variegato di servizi che vanno dalla progettazione ai servizi post-vendita; ciò su cui voglio focalizzarmi sono quei servizi che non sono di supporto alla produzione ma “quelle funzioni di servizio che direttamente e indirettamente danno la spinta ai consumatori nel loro acquisto ed uso di un prodotto” [1].
In realtà esiste un continuum[2] prodotti – servizi che va da puri prodotti, come il cibo, sino a puri servizi, come quelli di consulenza; in mezzo ci sono varie combinazioni e in questo documento ci si sofferma su quelle forme di interdipendenza tra prodotti e servizi che possono essere definite di vera e propria integrazione. Si tratta cioè di quei servizi che costituiscono il vero valore aggiunto del prodotto ibrido, di cui il sostrato fisico è indispensabile, ma a minor valore aggiunto, ed anzi il prodotto manufatto è la via attraverso la quale il consumatore accede a ciò che davvero gli interessa, e cioè il servizio connesso, come ad esempio nel caso degli smart phone. In questi casi si parla di “incapsulamento del servizio (Howells,2000)” e “ in questa concettualizzazione i servizi sono avvolti attorno o incorporati nei prodotti e i servizi producono innovazione in altri settori dell’economia”[3].
In realtà esiste un continuum[2] prodotti – servizi che va da puri prodotti, come il cibo, sino a puri servizi, come quelli di consulenza; in mezzo ci sono varie combinazioni e in questo documento ci si sofferma su quelle forme di interdipendenza tra prodotti e servizi che possono essere definite di vera e propria integrazione. Si tratta cioè di quei servizi che costituiscono il vero valore aggiunto del prodotto ibrido, di cui il sostrato fisico è indispensabile, ma a minor valore aggiunto, ed anzi il prodotto manufatto è la via attraverso la quale il consumatore accede a ciò che davvero gli interessa, e cioè il servizio connesso, come ad esempio nel caso degli smart phone. In questi casi si parla di “incapsulamento del servizio (Howells,2000)” e “ in questa concettualizzazione i servizi sono avvolti attorno o incorporati nei prodotti e i servizi producono innovazione in altri settori dell’economia”[3].
È quello che accade ad esempio con lo sviluppo delle applicazioni per gli smart phone o con i servizi di mobilità nel caso dell’automobile.
Le descrizioni della società nella quale viviamo come società della conoscenza e /o post-industriale tendono a ridimensionare in modo irrealistico il peso della manifattura che rimane, in realtà, la base su cui questa enorme crescita di servizi “intelligenti”, basati cioè sulla rivoluzione digitale, si appoggia[4]. Il progetto di digitalizzazione della manifattura, che è al cuore di “Industria 4.0”, fa giustizia di queste semplificazioni; esso, infatti, una volta realizzato, darà vita a una inestricabile integrazione tra manifattura e servizi intelligenti nella forma di un complesso produttivo cyber-fisico. Si intende con questa espressione “la convergenza del mondo fisico e del mondo virtuale (cyber, cioè la struttura di rete + le piattaforme di calcolo composte da sensori, attuatori, uno o più computer e uno o più sistemi operativi) nella forma di sistemi cyber-fisici (CPS)”[5]; non si tratta di un’unione dei due mondi ma di un’intersezione e quindi di un’interazione tra i due[6]. Uno degli esempi portati da Lee e Seshia (2011) è quello di un semaforo che segna rosso solo quando c’è traffico, ciò può essere realizzato solo se i veicoli in arrivo comunicano direttamente al semaforo la loro posizione. Come nota Hirsch-Kreinsen[7] questi sistemi cyber-fisici “dovrebbero essere in grado di configurarsi, regolarsi e ottimizzarsi, in modo largamente autonomo, rispetto a richieste esterne al sistema”.
I sistemi cyber-fisici sono la base della “fabbrica intelligente” e delle catene logistiche “intelligenti”; strutture cioè nelle quali ogni parte – macchinari e esseri umani, le singole realtà produttive – comunica con le altre utilizzando la rete e l’Internet-Delle-Cose, potendo disporre di robot, stampanti a 3D, eccetera.
Vi è una conseguenza ulteriore che dipende dalla natura dei servizi incapsulabili; essi, infatti, sono potenzialmente illimitati e sono anche l’interfaccia tra il mondo della produzione fisica di quello specifico prodotto e di altri settori manifatturieri e/o di servizio funzionalmente utili o desiderabili per l’utilizzo di quel prodotto. Si pensi all’automobile e ai servizi di entertainment, da un lato, e a quelli assicurativi, dall’altro. In questo modo, come vedremo, accanto alla integrazione verticale degli specifici processi produttivi di un prodotto dato, si avrà anche l’integrazione orizzontale di quei processi con altri processi produttivi fisici o di servizio. Si creano così, almeno dal punto di vista analitico, nuove strutture industriali, a più alto grado di integrazione di prima, che oggi vanno sotto il nome di sistemi eco-industriali[8]. Tali sistemi, nella prospettiva di “Industria 4.0” possono evolvere verso livelli più alti e complessi di integrazione digitale.
Esempi di applicazione:
- Manutenzione remota e predittiva. I tecnici stabiliscono una connessione in remoto con un macchinario accedendo al sistema di controllo interno con evidenti risparmi di tempo e di denaro. Su questa base, utilizzando dei sensori di monitoraggio applicati alla macchina, si possono raccogliere dati che consentono diagnosi predittive dei guasti. L’applicazione delle tecniche di big data può rendere progressivamente sempre più accurata la capacità predittiva.
- La Bosch ha aggiunto a ogni componente una carta digitale contenente tutte le informazioni sui requisiti tecnici e la sequenza produttiva, il componente viaggia in modo autonomo utilizzando un sistema di monitoristica intelligente.
- La Harley Davidson è in grado di gestire ordini personalizzati con il riattrezzaggio immediato delle macchine rispetto agli ordini; alcune aziende automobilistiche hanno creato una catena che consente al cliente di personalizzare l’ordine e di inviarlo direttamente al costruttore; il costruttore è in grado di trasmetter l’ordine attraverso la catena del valore e, in ogni passo, i macchinari si riattrezzano autonomamente.
- Integrazione digitale del processo di progettazione: progettazione digitale e collaudo digitale completo dell’aereo Falcon 7x (Dassault Aviation);
- Integrazione digitale del processo di produzione: linea di assemblaggio multi-prodotto per valvole idroelettriche (Bosch Rexroth),
- Rete di fabbrica che in tempo reale collega macchine utensili (Maschinenfabrik Reinhausen),
- La gestione in tempo reale dei turni dei lavoratori attraverso i cellulari (BorgWarner Ludwigsburg GmbH);
- Manutenzione digitale a distanza di macchine utensili (Trumpf AG);
- Integrazione digitale della logistica: tracciamento RFID di capi nel magazzino e nei negozi al dettaglio (Inditex – marchio Zara).
2. La governance delle catene del valore
L’integrazione verticale delle catene del valore pone complessi problemi di governance. La governance di questi sistemi di impresa riguarda sia il controllo fisico dei flussi produttivi – qualità, tempi, flessibilità e rapidità, quando vi è un cambio del mix di prodotti (servizi o ibridi) da fornire – sia l’efficienza produttiva complessiva (produttività, lead time, time-to- market), sia, infine, i margini di ritorno di quel sistema di imprese.
Da un lato occorre gestire i flussi fisici dei materiali, dei semilavorati, delle componenti, ecc. La gestione di questi flussi comporta problemi di coordinamento, di sincronizzazione, di proporzioni, di varianze e di gestione dell’andamento della domanda; il tradizionale sistema delle scorte è ormai considerato antieconomico data la forte personalizzazione dei prodotti anche nelle produzioni con forti volumi. Le tecniche giapponesi aiutano ma rimangono comunque problemi tanto più complessi quanto più un prodotto dipende dalla interazione di molteplici attori della catena del valore. É bene ricordare che in un processo composto di segmenti interdipendenti l’efficienza complessiva e il prodotto delle efficienze di ogni segmento.
Dall’altro lato c‘è il flusso finanziario dei crediti e dei pagamenti che deve cercare di essere coordinato con i tempi e i ritmi della catena del valore; deve, inoltre, fare i conti con la crescente finanziarizzazione delle attività industriali. Finanziarizzazione che secondo Bellofiore, Garibaldo, Mortagua (2015) è:
una vera e propria sussunzione reale del lavoro alla finanza. La ragione è che la dipendenza dei lavoratori e delle famiglie con basso reddito dalla borsa e dalle banche e, più in generale, le bolle speculative (spesso legate a ciò che i marxisti definiscono capitale fittizio) hanno prodotto effetti reali del tutto non fittizi: non solo, come si è visto, in merito alla domanda effettiva, ma anche per quel che riguarda la corporate governance delle imprese (il governo societario), e per quel che riguarda la produzione reale.(..) La sussunzione del mondo del lavoro alla finanza può dunque essere definita “reale”, e non solo formale, perché ha influenzato la produzione e la valorizzazione all’interno dei processi di lavoro. Essa ha anche contribuito a trasformare il rapporto tra banche e imprese; e ha gonfiato in modo endogeno la domanda effettiva, dando vita in alcuni casi ad un paradossale “sovra-consumo”, invece che ad un sottoconsumo[9].
Infine, dal punto di vista delle aziende apicali della catena del valore– gli original equipment manufacturers (OEM) – il rendimento economico-finanziario della catena è visto come un processo unitario – secondo la formula: Ricavo della catena di fornitura= (entrate – il costo del venduto[10] – R & S – Ammortamenti) ÷ Ricavi. Il che spinge chi governa il sistema a rendere il processo il più fluido e integrato possibile.
Già oggi le nuove tecniche di management, assistite dall’uso dell’informatica, consentono forme di regolazione fine di tutte queste complessità; non è difficile immaginare come la trasformazione di queste catene in complessi cyber-fisici consentirebbe enormi guadagni di flessibilità e rapidità migliorando il time-to-market, e l’uso delle risorse finanziarie.
La digitalizzazione della catena del valore ha una logica inerente di integrazione e controllo operativo da parte delle aziende apicali (OEM), ma non esiste una logica lineare di ottimizzazione, per via solo tecnologica, perché nel rapporto tra gli OEM e i fornitori vi sono dei macro-requisiti da bilanciare che sono controvarianti:
una forte spinta, da parte degli OEM, per ridurre l’autonomia operativa e contenere i guadagni dei fornitori. Questa è la via per migliorare le prestazioni della catena globale di fornitura, come catena integrata, sia rispetto al valore sia per gli aspetti produttivi.
D’altra parte, gli OEM hanno bisogno di un rapporto di collaborazione con i propri fornitori per gestire la complessità; ad esempio il problema dei lotti.
Infine, la realizzazione di una catena integrata, anche tecnologicamente richiede massicci investimenti e molte aziende, già al primo livello della catena, sono fornitori di più aziende. Si ha un quindi un problema di costi: chi copre le spese di investimento? E di standard; un’azienda con più committenti non può esser conforme a più standard tecnici.
Rimane quindi uno spazio “politico”, cioè strategico di decisione.
Nel caso delle forme di integrazione orizzontale, il caso di alcune aziende di servizi o di prodotti ad alta specializzazione e quello dei rapporti orizzontali negli eco-sistemi industriali, la complessità è la stessa, ma la logica è quella di “rapporti tra pari” e quindi le architetture informatiche di integrazione richiedono una progettazione adeguata.
3. La flessibilità e il lotto singolo
Da un punto di vista classico la flessibilità, nella elaborazione di Adam Smith, è il rapporto tra la produzione da farsi (work to be done, cioè la capacità di svolgere una funzione operativa per realizzare una merce) e la produzione fatta (work done, cioè le merci realizzate).
In questa prospettiva analitica la rigidità di un ciclo di produzione consiste nel fatto che, a parità di livelli di attivazione del processo produttivo, si determinano sempre le stesse quantità prodotte, e la flessibilità, quando, a parità di livelli di attivazione del processo produttivo, possono determinarsi diverse quantità prodotte. La produzione da farsi dipende dalla domanda del mercato, cioè dalla sua estensione, e quindi la flessibilità, da un punto di vista strategico, dipende dalla capacità e dai tempi di aggiustamento dell’organizzazione interna della produzione. La ricerca di come estendere il mercato ha richiesto l’induzione e l’esplorazione di nuove forme di consumo orientate a soddisfare esigenze non solo funzionali dei prodotti ed un’abbreviazione del loro ciclo di vita. Noi viviamo, quindi, nell’epoca della personalizzazione di prodotti che storicamente sono stati prodotti con alti volumi in impianti di produzione di massa, e la nascita di nuovi prodotti già concepiti per il nuovo modello di business. Il passaggio alla personalizzazione ha comportato la diminuzione dei lotti di produzione e la necessità di dotarsi di tecniche di progettazione, fabbricazione e assemblaggio nuove (la modularità), basate su impianti, a loro volta, modulari e scalabili.
L’esigenza della flessibilità è divenuta, quindi, un’esigenza primaria in tutti i processi manifatturieri, basati su questi modelli di business, alla pari, quando non superiore, con l’esigenza di contenere i costi; si tratta di un requisito difficile da soddisfare in sistemi integrati. Dire che un sistema è integrato, infatti, significa che le singole parti sono interdipendenti e che quindi vi sono problemi di proporzione tra le attività di ogni segmento rispetto agli altri e di livellamento delle differenze; storicamente questi problemi, tipici delle catene di montaggio, sono stati risolti con specifiche tecniche, ma non in condizioni di alta variabilità e di forte riduzione delle dimensioni di ogni singolo lotto e su produzione articolate in molteplici unità produttive disperse su scale territoriali sempre più ampie. “Industria 4.0” vuole rappresentare una risposta a questo problema.
L’impianto di “Industria 4.0” visto nella sua prospettiva più radicale, la realizzazione di sistemi cyber-fisici, spinge la possibilità teorica di riduzione della dimensione di un lotto produttivo, realizzato in condizioni di economicità, all’unità. I sistemi infatti sono in grado di riconfigurarsi in tempo reale rispetto agli input esterni.
4. Le conseguenze sociali – un’estrema sintesi
Se tali sistemi divenissero realtà e se l’orientamento prevalente nella loro realizzazione fosse la ricerca di una estrema flessibilità accompagnata ad un’alta produttività, si congiungerebbero, quindi, una flessibilità estrema data dall’adattamento in tempo reale agli input esterni; una semplificazione, quando non un’abolizione, dei processi di interfacciamento tra i diversi segmenti della rete o catena; uno svuotamento della porosità dei tempi di lavoro sino al limite estremo dell’esistenza solo di attività che producono valore, come dicono i giapponesi. Sono le condizioni che fecero dire agli ingegneri della Fiat, quando realizzarono il cosiddetto “flusso teso”, che il sistema richiedeva “l’asservimento del fattore lavoro alle necessità critiche del sistema”. Si aggiunga che questa tecnologia rende trasparente, a chi controlla il processo, ogni singolo atto compiuto nella catena produttiva e quindi la possibilità di un controllo dei singoli a livelli mai raggiunti precedentemente. Si tratterebbe di un processo analogo a quello descritto da Marx nel passaggio dalla manifattura all’industria: l’oggettivazione, nel sistema cyber-fisico, dei rapporti sociali definitesi in questi 30-40 anni e quindi la loro naturalizzazione, attraverso la tecnologia; un nuovo automa autocrate.
In una situazione di sovra-produzione in molti settori manifatturieri, sorge spontanea la domanda se la disponibilità di tecnologie così sofisticate, come quelle che costituiscono i componenti del progetto “Industria 4.0”, debbano essere utilizzati per rilanciare ed esasperare l’attuale modello produttivo, in una competizione distruttiva alimentata da un consumismo senza fine, o, viceversa se esse possano essere messe a disposizione per alleviare la fatica, raggiungere livelli di precisione e affidabilità in attività fondamentali, dalla sicurezza alla chirurgia medica, a espandere le possibilità di cooperazione anche su scale territoriali ampie, a consentire di esplorare nuove frontiere della conoscenza scientifica, ecc.
5. La situazione italiana
L’Italia sta sviluppando un piano nazionale per lo sviluppo di Industria 4.0., ufficialmente presentato dal ministro Calenda il 21 settembre[11]. Non è questa la sede per analizzarlo se non per notare che le linee guida sono in continuità con un idea dell’intervento governativo ben lontano dallo “Stato imprenditore” di cui parla Mazzucato[12]. Le linee guida, infatti, privilegiano gli interventi orizzontali con i cosiddetti iper e super ammortamenti, con un impegno pubblico, distribuito tra il 2018 e il 2014, di 13 miliardi di euro:
- Operare in una logica di neutralità tecnologica
- Intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali
- Operare su fattori abilitanti
- Orientare strumenti esistenti per favorire il salto tecnologico e la produttività
- Coordinare i principali stakeholder senza ricoprire un ruolo dirigista.
L’insieme dei benefici per le imprese è allettante: su un investimento di 1 milione di euro si ha, ad esempio, una riduzione delle tasse pagate in 5 anni di 360.000 euro. È la logica dell’offerta, ma ci si può chiedere, anche sulla base di esperienze precedenti: il cavallo berrà? Fuor di metafora, com’è messa l’industria italiana nel settore manifatturiero?
6. L’indagine Federmeccanica
La Federmeccanica ha svolto un indagine a campione sulle aziende metalmeccaniche sue iscritte[13]. L’indagine è piena di informazioni interessanti ma, ad uno sguardo di insieme, due cose colpiscono il lettore. La prima è la bassa propensione all’investimento nelle nuove tecnologie di una larga parte delle imprese intervistate e che, sino al momento dell’indagine non aveva adottato almeno una delle 11 tecnologie abilitanti, e qualificanti per Industria 4.0, selezionate dall’indagine[14]. L’intenzione di investire anche oltre i 5 anni non supera il 6%. In tempi più ravvicinati, entro 1 anno o tra 1 e 5 anni, le intenzioni rimangono basse; fanno eccezione la Sicurezza Informatica che raggiunge il 30% di aziende, la Robotica con il 19% e il Cloud computing con il 17%. Le intenzioni di quelli che hanno già adottato almeno una tecnologia sono molto diverse, anche se la maggioranza non prevede alcun investimento sulla meccatronica, il robot collaborativo, l’Internet-Delle-Cose, i Big Data, la stampa 3d, le nanotecnologie e i materiali intelligenti. Si determina così un gap crescente tra chi per primo ha fatto degli investimenti e gli altri; in un quadro comunque caratterizzato da un largo numero di imprese non interessate a tecnologie chiave. L’indagine fa anche notare che le microimprese hanno intenzioni di investimento superiori a quelle delle medie imprese.
Per chi ha già adottato almeno una tecnologia delle 11 selezionate, le intenzioni di investimento nell’Internet-Delle-Cose, nei Big data sono, complessivamente, inferiori al 50%, e di poco superiore nel Cloud Computing. Se si analizzano i dati per tipologia di produttori, le imprese fornitrici di sistema, ad esempio, intendono per più di due terzi investire su queste tecnologie, i contoterzisti, con analoghe percentuali, intendono investire sulla stampa a 3D. Vi è, quindi una adozione molto selettiva delle tecnologie; il che fa pensare ad investimenti di adeguamento a sollecitazioni delle imprese clienti, come d’altronde emerge dalle risposte sui benefici che le imprese hanno ricavato.
La seconda cosa riguarda l’adozione dell’insieme delle tecnologie. Chi ha adottato la robotica collaborativa e le nanotecnologie ha il maggior numero di altre tecnologia adottate (7,4 e 7,6 su 11), seguito da coloro che hanno adottato i materiali intelligenti (6,7), i Big Data (6,5) e l’Internet-Delle-Cose (6,3). Tra le 11 tecnologie ve ne sono quindi 5 che sono predittive di un’adozione più ampia e quindi di un reale avanzamento verso i sistemi cyber-fisici. Si tratta, di scelte fatte come è reso evidente dal fatturato medio, dalle imprese maggiori.
Tornando, quindi, alla metafora del cavallo che beve, nulla consente di pensare che la politica dell’offerta favorisca un” salto di sistema”, cioè un avanzamento diffuso del sistema manifatturiero, anzi, potrebbe accentuare le distanze tra chi è già sulla strada positiva e un ulteriore nocciolo di aziende disponibili, a scapito della grande maggioranza.
7.Lavorare nella Manifattura 4.0 (un’indicazione sintetica)
Nei documenti governativi, delle società di consulenza e delle associazioni di impresa l’unico riferimento ai problemi di chi lavora è condensato nella sollecitazione a investire in formazione e qualificazione delle competenze. Il ragionamento muove dall’idea che, nei lavori manifatturieri vi sarà l’automazione progressiva e massiccia delle funzioni lavorative “intermedie” sia operaie che tecnico-impiegatizie – i lavori più semplici e meno pagati, infatti, continueranno ad esser competitivi con i costi dell’automazione e si divideranno in posizioni chiave per chiudere il circuito cyber-fisico e posizioni ininfluenti (ad esempio la pulizia) – il che comporterà l’emergere di una sezione del mondo del lavoro manifatturiero caratterizzata da funzioni specialistiche e/o di gestione di sistemi complessi. In tutti e due i casi c’è un problema di competenze.
Nel ragionamento c’è un’evidente inconsistenza; non si affronta, infatti, il problema di chi, nel periodo di costruzione dell’apparato cyber-fisico, verrà marginalizzato e, per ragioni di età e di formazione precedente, non parteciperà ad alcun processo di crescita delle competenze. Non si tratta di una quota marginale, se le stime che fanno le società di consulenza, sono attendibili.
Vi è poi una scelta analitica, ad oggi del tutto indimostrata, a favore dell’idea che la crescita tecnologica cancella dei posti di lavoro ma li sostituisce con dei nuovi nei settori a monte e a valle di dove l’innovazione viene applicata in modo massiccio. Molti studiosi dubitano che ciò oggi sia vero, pensano ad un vero e proprio cambio di paradigma nel rapporto tra capitale costante e capitale variabile.
Infine, c’è un impianto ideologico di fondo non dichiarato come tale, ma esibito nei suoi effetti. Questo impianto prevede che ogni ciclo innovativo parta dai progressi della scienza e della tecnica, cioè dalle invenzioni, a differenza di quanto sostenuto da Schumpeter secondo cui l’innovazione non necessariamente dipende dal progresso scientifico e dalle invenzioni. Nell’ottica tecnocratica le trasformazioni del capitalismo degli ultimi 30-40 anni passano, da un punto di vista analitico, in secondo ordine. La mia tesi è alternativa a questo impianto e vicina alla tesi di Schumpeter, non a caso inizio dalle trasformazioni dell’impresa; è l’incontro tra l’impresa innovata e i suoi nuovi modelli di organizzazione e di business con la disponibilità di un insieme di tecnologie che rende possibile concepire l’idea della digitalizzazione della manifattura e delle catene del valore. Come dice il Politecnico di Milano (Dipartimento di Ingegneria Gestionale) (2015):
“Si percepisce un senso di “congiunzione astrale” derivante dalla quasi contemporanea maturazione di diversi filoni tecnologici che hanno tutti in comune la capacità di interconnettere mondo fisico e mondo digitale e di cancellare i vincoli un tempo insormontabili (dall’acquisizione dei dati sul campo all’interazione uomo macchina, dall’analisi predittiva alla realizzazione di parti non ottenibili con processi tradizionali), con profonde ripercussioni sui processi di configurazione e gestione delle operations e, dunque, sulle possibilità di business.”p.4
L’incontro sopra descritto non è sufficiente, occorre che nei rapporti tra Capitale e Lavoro si sia determinato uno spostamento così radicale dei rapporti di forza da permettere ai capitalisti e ai manager di considerare ininfluente, quando non inesistente, un punto di vista alternativo, almeno per quanto riguarda mondo “delle operations”, quello che Marx chiamava il segreto laboratorio della produzione – su come si lavora nel mondo manifatturiero[15]. Occorre inoltre che non vi sia stato solo un’innovazione dei modelli di impresa e di business, ma anche un’innovazione istituzionale a livello sistemico come la libera circolazione dei capitali, ecc.
Non è, quindi, una traiettoria tecnologica predeterminata che si porta dietro tutta la struttura sociale, ma un’interazione profonda tra innovazioni di sistema, innovazioni istituzionali, rapporti di classe e tecnologia.
Se si guarda poi al progetto complessivo, cioè la realizzazione di sistemi cyber-fisici, estesi lungo tutta la catena del valore, sorgono molti interrogativi, in un’ottica di lungo periodo. Già ai è accennato all’incongruenza di un modello economico e sociale che concentra le risorse scientifiche e tecnologiche in una distruttiva competizione in settori sempre più segnati da problemi di sovrapproduzione e di una società nella quale stiamo ancora pagando lo scotto di un “keynesismo privatizzato”[16] che, come prima detto, in una situazione di bassi salari: “ha gonfiato in modo endogeno la domanda effettiva, dando vita in alcuni casi ad un paradossale “sovra-consumo”, invece che ad un sottoconsumo”. Se si guarda alla dimensione rilevante degli investimenti fissi privati e pubblici necessari per un tale progetto non si può evitare di chiedersi se guadagni di flessibilità ed efficienza non possano portare ad un inasprimento di quelle contraddizioni; di qui la necessaria insistenza sulla messa in discussione di quel modello produttivo e di consumo.
Siamo, quindi, nel campo delle scelte strategiche che riguardano l’assetto complessivo delle nostre società e non solo nel campo degli aggiustamenti per tutelare il lavoro che rimarrà. Accanto agli evidenti problemi di tutela del lavoro come:
I. la trasparenza totale della prestazione lavorativa e la possibilità di un controllo con una pervasività inammissibile;
II. la necessità di una qualificazione e di un diritto universale alla formazione durante la vita lavorativa.
III. La necessità di una nuova unità di analisi e di azione: la catena del valore e i sistemi eco-industriali
Esistono problemi la cui natura non consente un aggiustamento ex-post e a valle dei processi; ad esempio:
1.la combinazione di un uso delle nuove tecnologie con il massimo sviluppo dei posti di lavoro, non privilegiando cioè solo i processi di semplificazione e smagrimento organizzativo (streamline) dei processi produttivi esistenti, ma la efficacia, l’economicità e l’utilità di nuovi processi produttivi legati a grandi domande sociali inevase (ripensare il sistema di mobilità, ripensare gli spazi urbani, ripensare le abitazioni, sviluppare le nuove ricerche biologiche fuori da un contesto di massimizzazione dei profitti, ecc.);
2.la riorganizzazione di processi produttivi manifatturieri sulla base del modello del controllo e coordinamento dei nuovi apparati tecnici da parte dei lavoratori e delle lavoratrici con modalità cooperative. Per il sindacato si pongono quindi due problemi strategici: l’uno è la definizione di un quadro di riferimento per l’azione sindacale nei luoghi di lavoro, dando risposta ai problemi I-III; l’altro e la costruzione di un quadro alternativo di politiche economiche e industriali basati su un’idea alternativa di società.
[1] Bryson, J., R., Hybrid Manufacturing Systems and Hybrid Products: Services, Production and Industrialisation – in Studies for innovation in a modern working environment – International Monitoring – IMA/ZLW & IFU – TWTH Aachen University – Trend Studies, volume 3, 2009. p. 17
[2] Barcet, A. ( 1987), La montée des services: Vers une économie de la servuction, Université Lumière, Lyons citato da Bryson, p. 26
[3] Bryson, op. cit., p. 29
[4] secondo le stime del rapporto, a firma Dan Meckstroth, (settembre 2016) pubblicato sul sito del MAPI (Manufacturers Alliance for Productivity and Innovation -https://www.mapi.net/forecasts-data/how-important-us-manufacturing-today) utilizzando dati 2014, nella catena del valore manifatturiero USA il valore di origine non manifatturiera vale il 53% del totale, il restante si divide tra la produzione interna pari al 22% e i beni importati pari al 25%. Per ogni posto di lavoro manifatturiero si hanno 3,4 posti (calcolati in posti equivalenti a tempo pieno) nei settori non manifatturieri collegati per un totale complessivo di quasi 39 milioni di posti di lavoro (in equivalenza del tempo pieno). Dati basati solo sulla produzione manifatturiera per la domanda finale di manufatti.
[5] dal documento promosso dal Ministero della Repubblica Federale Tedesca per la formazione e la ricerca: “Final report of the Industrie 4.0 Working Group” (2013).
[6] E. A. Lee and S. A. Seshia, – Introduction to Embedded Systems – A Cyber-Physical Systems Approach, Second Edition, LeeSeshia.org, 2015, p.1
[7] Hirsch-Kreinsen, H. – Smart production systems: a new type of industrial process innovation – Druid paper, 2014
[8] Kelly, E. (2015) Introduction: Business ecosystems come of age, Deloitte University Press, April 15, 2015, Kelly, E. (2015)Business ecosystems come of age, Deloitte University Press, April 15, 2015, http://dupress.com/articles/business-ecosystemscome-of-age-business-trends/ e Deloitte University Pres – The Future of Mobility, 2015, Kelly, E. (2015) Introduction: Business ecosystems come of age, Deloitte University Press, April 15, 2015, http://dupress.deloitte.com/dup-us-en/focus/future-of-mobility/roadmap-for-future-of-urban-mobility.html pp. 16-20
[9] Bellofiore, R.; Garibaldo, F.; Mortagua, M. “A credit-money and structural perspective on the European crisis: why exiting the euro is the answer to the wrong question“, Review of Keynesian Economics, 3 (4). p. 476
[10] cioè i costi della catena di fornitura, tra cui i costi dei materiali, ricerca e sviluppo, ammortamento
[12] Mazzucato, M. – Lo Stato Innovatore. Sfatare il Mito del Pubblico contro il Privato – Laterza, Bari,2014
Garibaldo, F. – La Ristrutturazione Industriale Europea e il Ruolo del Potere Pubblico In Lo Stato
Innovatore: Una Discussione, Economia & Lavoro, N.: 3/2014
[13] http://federmeccanica.it/archivio-eventi/dettaglievento/29/industria-4-0-in-italia-l-indagine-di-federmeccanica.html
[14] Meccatronica, Robotica, Robotica Collaborativa, IOT – Internet-Delle-Cose, Bigdata, Cloud Computing, Sicurezza Informatica, Stampa3d, Simulazione, Nanotecnologie, Materiali Intelligenti,
[15] Garibaldo,F.; Baglioni,M.; Casey,C.; Telljohann,V. (2012) – Workers, Citizens, Governance. Socio-Cultural Innovation at Work. Peter Lang
[16] Bellofiore R. (2013). Two or three things I know about her. Europe in the Global Crisis, and heterodox economics. Cambridge Journal of Economics, special issue “Prospects for the Eurozone”, vol. 37, n. 3, pp. 497-512.
Questo testo è il contributo alla conferenza della CGIL nazionale su 4.0 (R)Evolution Road tenuta a Torino il 24 – 25 ottobre 2016.
Fonte: inchiestaonline.it
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