di Frida Bertolini
«Molti parlano di noi come di qualcuno che già non c’è più, sentono l’urgenza di ragionare ’oltreʼ il testimone. Non nego che sia una questione importante, ma a volte si ha l’impressione che non vedano l’ora che ci togliamo di mezzo. Quando saremo morti – e non bisognerà aspettare a lungo, perché siamo sempre meno, sempre più deboli – avranno finalmente campo libero. Non ci sarà più nessuno a ’contendere la scena’: nessuno dovrà protestare perché lo spazio che ritiene spettare alla storiografia è invaso dai testimoni. Ma senza le nostre parole, senza il racconto di noi che abbiamo visto e che ne portiamo ancora i segni, non so immaginare come faranno».
Con queste parole Goti Bauer, protagonista con Liliana Segre e Giuliana Tedeschi del libro di Daniela Padoan, Come una rana d’inverno (Bompiani, pp.420, euro 9,50), spiega il senso della sua testimonianza e la preoccupazione che il complicato rapporto tra storia e memoria possa concludersi con il trionfo di una storia senza memoria. A distanza di dodici anni dalla prima pubblicazione, Come una rana d’inverno assume allora la funzione di una vera e propria testimonianza vicaria pur nella consapevolezza, come scrive l’autrice, che nessuno può testimoniare al posto del testimone.
Per lungo tempo assenti nella ricostruzione storica della Shoah, che sembra prediligere una prospettiva neutrale in termini di genere, le testimonianze delle donne sopravvissute al genocidio ebraico hanno contribuito ad allargare l’ambito della riflessione. Sono tuttavia molto pochi i testi che affrontano la Shoah da una prospettiva femminile. Si tratta per lo più di testimonianze edite nel dopoguerra e che caddero nel più totale silenzio. «Erano libri di donne», come ebbe a sottolineare Lidia Beccaria Rolfi nel corso di un convegno internazionale che si tenne a Torino nel 1995. Si è dovuto attendere la fine degli anni ’80 perché quei libri trovassero la giusta accoglienza.
Le guerre, come i ricordi di guerra sono prerogativa degli uomini. Ed è solo davanti all’avanzare dell’età e al timore per l’ondata crescente di revisionismo che la spinta a testimoniare ha preso il sopravvento. Sono ormai gli anni Novanta e la richiesta, soprattutto da parte delle scuole, di testimonianze sulla Shoah è diventata pressante.
Il libro mantiene nel tempo il suo merito maggiore, quello di riflettere sulla peculiarità delle sofferenze patite dalle donne e sul loro modo di opporre resistenza e rendere testimonianza, senza per questo cadere nella tentazione di proporre una gerarchia del dolore.
Fonte: Il manifesto
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