di Marco Gatto
Per i tipi di Punto Rosso, Antonino Infranca e Miguel Vedda hanno curato una preziosa collezione di scritti di György Lukács, in gran parte mai pubblicati in tradizione italiana. Testamento politico e altri scritti contro lo stalinismo (pp. 176, euro 15) raccoglie saggi, lettere e articoli del pensatore ungherese in grado di restituire un’immagine più chiara della sua riflessione sui compiti della nuova democrazia marxista e della sua diretta polemica contro Stalin. È noto che Lukács lavorasse, negli ultimi anni della sua attività, alla prospettiva di un’ontologia dell’essere sociale, che avrebbe dovuto tradursi anche e soprattutto in un grande volume sull’etica.
In uno dei saggi più corposi del volume, il filosofo ungherese propone una vera e propria lista di questioni ritenute urgenti da affrontare per la salute del marxismo: fra queste, senz’altro la lotta a una democrazia soltanto formale, cioè regolata dal principio unificante del capitale, e la battaglia a favore di un pensiero politico che, esaltando il lavoro come momento di auto-educazione dell’uomo, sia capace di discendere, senza demagogia, nelle mediazioni della vita quotidiana. In tal senso, Lukács continua a pensare la realtà in termini hegelo-marxisti, puntando l’attenzione sul principio di «mediazione», vituperato dal pensiero conservatore contro cui il filosofo si batte, e che è poi l’oggetto polemico, si ricorderà, di uno dei suoi libri più noti, La distruzione della ragione, cui gli scritti raccolti in volume si ricollegano. Al nichilismo Lukács contrappone un pensiero che sappia raggiungere il suo significato storico riappropriandosi della tradizione, senza esaltare l’ottica della rottura, bensì mediando se stesso in uno scambio dialettico continuo col passato.
È questa forma di riflessione che, a parere del Lukács maturo, garantirebbe alla democrazia marxista la possibilità incarnarsi in una politica capace di dar vita a «connessioni effettive e dialettiche fra vita pubblica e vita privata», senza che queste si pensino esclusive: «L’autocostruzione dell’uomo ha preso un aspetto nuovo nel senso che si stabilisce, nel movimento generale, un legame tra l’autoedificazione di sé e quella dell’umanità».
È chiaro che tutto ciò presupponga, da parte di Lukács, e nello spirito delle intenzioni di Infranca e Vedda, una posizione del tutto anti-stalinista o un ripensamento delle rovine prodotte dal regime, a fronte di una letteratura secondaria che ha spesso insistito sulle compromissioni del pensatore. Il volume ha infatti questa ambizione: offrire agli studiosi dei documenti che invalidino la tesi di un Lukács incapace di svincolarsi dalle ragioni dello stalinismo.
A tal proposito, accanto all’interessante scritto Oltre Stalin, la vera perla del volume è la prima traduzione italiana di un interrogatorio della polizia sovietica ai danni di Lukács, svoltosi nel 1941, allorché venne accusato di essere il referente di una spia del governo fascista ungherese. Si tratta di un testo molto drammatico, in cui Lukács afferma con coerenza la sua posizione, non cedendo mai alle pressioni di chi interroga. Scrive Infranca: «Adesso ci sono documenti a disposizione dei lettori, che mettono davanti uno stalinista vero, l’interrogante, e uno stalinista presunto, Lukács. ’Presunto’, perché questo stalinista è in questo caso una vittima del regime stalinista, è in carcere e sta rischiando una lunga detenzione nel Gulag o addirittura la morte».
Fonte: Il manifesto
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