di Norma Rangeri
La giunta Raggi sembra preda di un istinto suicida. Che cosa abbia spinto la sindaca di Roma a difendere un dirigente comunale descritto come una figura del sottobosco capitolino assai poco raccomandabile, non lo ha spiegato, anche se era l’unica cosa da chiarire. Invece, nella conferenza stampa convocata ieri mattina, Raggi è scivolata in un imbarazzante «apprendo con sorpresa», ha infilato frasi di circostanza («piena fiducia nella magistratura»), fino a una serie di «mi dispiace» che ha rivolto, nell’ordine, ai romani, al M5S e a Grillo (per aver disubbidito?).
La sindaca non ha spiegato perché si sia fidata di un dirigente come Raffaele Marra, nonostante fosse stata ripetutamente messa in guardia sul chiacchierato curriculum del personaggio.
A consigliarle di tenersi alla larga da un uomo che aveva lavorato con la destra capitolina erano stati alcuni esponenti del suo stesso movimento politico e il capo-fondatore. Tanto più che l’uomo che avrebbe dovuto assisterla nella macchina dell’amministrazione è stato arrestato insieme al costruttore romano Scarpellini, contro il quale proprio il gruppo consiliare del M5S, nel 2013, aveva presentato una mozione per denunciare lo scandalo degli affitti d’oro. Un comportamento schizofrenico e, alla fine, per l’appunto, autolesionista. Siamo di fronte alla manifesta incapacità di svolgere il compito che la grande maggioranza degli elettori romani le hanno assegnato, caricando quel voto di speranze per invertire la rotta. Sappiamo tutti che sei mesi sono ancora troppo pochi per giudicare, specialmente nel nostro caso, l’impresa difficilissima di governare una città-Stato sottoposta alla micidiale cura Alemanno. Senza dimenticare l’altrettanto autolesionistica vicenda Marino, estromesso sottobanco dal Pd per l’incredibile storia degli scontrini. Ma il tempo non è infinito, e se l’avviamento della nuova consiliatura è stato un mezzo disastro, sommando inesperienza a ingenuità si può finire ancora peggio. Perché qui non si tratta di operazioni burocratiche malfatte, come sembra indicare il controllo di legalità su alcuni contratti o spostamenti di ruoli interni all’amministrazione (con la spada di Damocle dell’abuso d’ufficio). Qui si tratta di un arresto per reati gravi, che naturalmente bisognerà passare al vaglio della magistratura ed eventualmente di una sentenza di condanna o di assoluzione.
Ma un arresto è più di un avviso di garanzia, più di un’iscrizione sul fascicolo degli indagati, come nel caso del sindaco di Milano, che, per questo, si è autosospeso. Una questione comunque da non sottovalutare affatto: la vicenda Expo, per proporzioni e profondità di inchieste giudiziarie, mostra infatti i connotati del connubio perverso grandi opere-corruzione.
Il fatto è che la bandiera dell’onestà senza una visione politica, l’arma della trasparenza senza la forza della competenza, la retorica del cittadino senza la democrazia nell’organizzazione e nella selezione della classe dirigente, prima o poi finiscono per presentare un conto che non si è in grado di onorare.
Fonte: Il manifesto
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