di Andrea Incorvaia
Pochi giorni orsono, in piena trance da campagna referendaria l’ormai ex Ministro Boschi, all’interno di un dibattito televisivo con Matteo Salvini, inseguendo il leader leghista sulla famosa e annosa vicenda della spending review, citava il tanto conclamato “taglio” delle Soprintendenze, opera portata a termine dal DM 44 23/01/2016, noto semplicemente come riforma Franceschini.
É superfluo addentrarsi in una scelta politica, quella della nuova riforma Mibact, già contestata ampiamente per diversi punti poco chiari o fuorvianti come ad esempio; l’istituzione nonsense delle soprintendenze uniche, senza un minimo criterio mescolando di fatto competenze sorde tra loro (con conseguenti ritardi e ulteriore burocratizzazione) creazioni di poli museali autonomi con un’evidente volontà di realizzare nuovi posti dirigenziali scindendo poi totalmente la tutela, appannaggio delle soprintendenze, dalla valorizzazione e molto altro, tutto quello che Tomaso Montanari in un articolo per Repubblica, uscito nello scorso Gennaio, definì Mobbing sulla tutela del patrimonio.
É superfluo addentrarsi in una scelta politica, quella della nuova riforma Mibact, già contestata ampiamente per diversi punti poco chiari o fuorvianti come ad esempio; l’istituzione nonsense delle soprintendenze uniche, senza un minimo criterio mescolando di fatto competenze sorde tra loro (con conseguenti ritardi e ulteriore burocratizzazione) creazioni di poli museali autonomi con un’evidente volontà di realizzare nuovi posti dirigenziali scindendo poi totalmente la tutela, appannaggio delle soprintendenze, dalla valorizzazione e molto altro, tutto quello che Tomaso Montanari in un articolo per Repubblica, uscito nello scorso Gennaio, definì Mobbing sulla tutela del patrimonio.
Sembra quasi curioso quindi quanto emerge, posto in risalto da un articolo de Il Fatto Quotidiano, sulla legge 124/2015, voluta per riformare la PA dal Ministro Madia. Emerge infatti che a causa di un evidente vuoto normativo presente all’interno del testo gli organi periferici del Mibact rischierebbero dei tagli sensibili nell’ordine di 2/3 mila lavoratori tra soprintendenti, funzionari, tecnici e custodi. Un danno incalcolabile se si pensa già l’organico ridotto di un ministero che non naviga certamente nell’oro. La criticità nasce da un vuoto normativo, non colmato, riguardante le norme attuali sulla previdenza (Chi ha compiuto 42 anni di servizio può essere messo a riposo, uscendo fuori dal vincolo Fornero). Manca una diversa interpretazione che permetti di non trasformare la possibilità in certezza col consequenziale disastro. Ad oggi il 50,3% dei funzionari presenta un'età compresa tra i 60 anni e oltre, a fronte di una presenza di trentenni nell’ordine (irrisorio) di 2 punti percentuale. Il dato diventa drammatico se si pensa al concorsone (in via di svolgimento) che prevederà alla chiusura del procedimento, 500 nuove assunzioni. Manovra definita da molti come “goccia nell’oceano” poiché costituisce un magrissimo rimpinguamento degli organici ministeriali senza risolvere più di tanto il problema a monte; la più classica delle coperte corte.
Il Ministero dovrebbe quindi spiegare, qualora si confermasse l’ipotesi restrittiva citata precedentemente, come intende ovviare con una compensazione necessaria per permettere all’intera macchina culturale di andare avanti. L’assunzione di nuovi tecnici e funzionari tra i giovani professionisti rimane una certezza in un momento così complesso, visto che percentuali “bulgare” del personale Mibact ormai, come già detto ampiamente, saluteranno a breve, al massimo nel giro di 4-5 anni. Una situazione paradossale se si pensa che tanti e tante, tra professionisti e professioniste, hanno difficoltà immani a portare avanti la loro esistenze praticando semplicemente il loro mestiere. Spesso gli si preferiscono volontari altre volte stage gratuiti a fini curriculari o peggio ancora tirocini “autopagati” per garantirsi una medaglietta in più sul curriculum; un vero e proprio sfruttamento spacciato per formazione, senza alcuna possibilità di uscita.
A questi si aggiungono l’esercito dei freelance, senza alcuna tutela, alcuni dei quali costretti a lavorare (in situazioni critiche, come sui cantieri di scavo) fino alle soglie della gravidanza.
Una situazione insostenibile che va oltre il concetto del Paese-museo o dell’importanza stessa, e indubbia, del nostro patrimonio culturale.
L’intero comparto beni culturali quindi, ad oggi, risulta essere sempre più una sorta di contenitore vuoto, utilizzato sovente a fini utilitaristici e a volte propagandistici, senza una reale programmazione di sorta. Dato che è necessariamente amplificato dalla situazione di precariato in cui versano i lavoratori e le lavoratrici di settore: sfruttati, malpagati o peggio sottopagati. Un mondo in cui spesso si è considerati inutili orpelli piuttosto che soggetti e attori determinanti per una vera svolta “culturale” del Paese. Un Paese che in maniera miope e sconsiderata non recepisce l’importanza di una seria politica occupazionale nel comparto, la vera chiave di volta per garantire l’interesse pubblico attorno a tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio storico e artistico.
Un organigramma adeguato del resto è la conditio sine qua non solo per l’efficacia dell’azione amministrativa, ma anche per svolgere una missione sociale verso la collettività della cittadinanza, che deve avere il diritto alla fruibilità e al pieno accesso alla cultura e al patrimonio.
È una questione di dignità lavorativa e professionale in un settore di interesse collettivo e cruciale per il Paese. Un modo per inchiodare i responsabili ai loro doveri, ridando centralità al lavoro e alla cultura, altrimenti sarà l’ennesimo disastro annunciato.
Fonte: Il Corsaro
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