di Gianfrancesco Turano
Il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena dominerà le cronache finanziarie del 2017. È un pasticcio che poteva essere risolto già a luglio con la statalizzazione della banca. Ma è soprattutto un caso di allarmismo finanziario per ottenere un profitto politico e, viceversa, di allarmismo politico per ottenere profitti finanziari. Negli scorsi mesi, mentre il governo, gli economisti, la stampa nazionale e internazionale prevedevano disastri sui mercati se non fosse passata la riforma costituzionale, si è scrutato l’orizzonte in cerca di una soluzione privata per la banca più antica del mondo.
I cavalieri bianchi non si sono mai palesati. Chi sa se ci sono mai stati e se l’autunno caldo di Rocca Salimbeni non è una colossale manipolazione del mercato.
Ma partiamo dalla cronaca degli ultimi giorni.
Venerdì 23 dicembre il titolo e le obbligazioni Mps vengono sospesi dalle contrattazioni poche ore dopo che il consiglio dei ministri ha emanato il decreto di salvataggio statale per il Monte.
La sospensione arriva al termine di un trimestre catastrofico che ha visto crollare i bond Mps fino a un valore di 45 sul nominale di 100. In borsa si chiama junk, spazzatura. A titolo di paragone, i “bonos” del Venezuela sull’orlo del default viaggiano intorno a quota 60.
Il crollo verticale delle obbligazioni Mps in dicembre è dovuto all’annuncio del burden sharing, la condivisione degli oneri con i risparmiatori che si accompagna all’intervento dello Stato e che, si dice, avrà un impatto disastroso sul valore dei bond subordinati che, in ordine crescente di rischio, sono classificati come lower tier 2, upper tier 2 e tier 1.
Eppure nei giorni a ridosso del decreto i volumi di contrattazione sono stati molto superiori alle medie, considerando che le emissioni obbligazionarie Mps sono spesso di poche centinaia di milioni di euro e dunque difficili da scambiare o, in gergo tecnico, illiquide.
In altre parole, qualcuno vende a qualunque prezzo e in larga perdita terrorizzato dallo spauracchio di una conversione a prezzi di mercato. Ma qualcuno sta comprando, perché scommette o sa che la conversione a prezzi di mercato non può esserci per legge.
Le informazioni diffuse fino al 23 dicembre indicano che il burden sharing risparmierà solo gli obbligazionisti cosiddetti retail che nel 2008 hanno sottoscritto l’Upper tier 2, finalizzato alla sciagurata acquisizione di Antonveneta e venduto a un taglio minimo di 1.000 euro. Per restare alla terminologia pittoresca di piazza Affari, il retail è composto dagli orfani e dalle vedove indotti ad acquistare prodotti troppo rischiosi. Loro saranno salvati e rimborsati al 100 per cento.
Venerdì 23 dicembre, ultimo giorno di contrattazioni prima della pausa natalizia, accade un’altra cosa che va contro ogni logica apparente. I bond subordinati di tre banche in difficoltà, il cui destino è legato a doppio filo al Monte e al decreto statale da 20 miliardi, vanno alla grande.
L’emissione Carige 2020 sale del 9 per cento fino a sfiorare quota 79. La Popolare Vicenza 2025 cresce del 13 per cento da 50 a circa 61. Veneto Banca 2025 strappa da 46 a 62 con un +35 per cento in una sola giornata.
Come mai? Chi compra ha letto con attenzione la direttiva europea Brrd e le altre norme Ue che regolano il burden sharing e il bail-in. Sono leggi complesse ma fissano alcuni principi chiave tutto sommato semplici.
Ribadiscono la gerarchia di rischio degli investimenti dall’obbligazione senior (rischio basso), all’obbligazione subordinata o junior (rischio medio) e infine all’azione (rischio alto).
L’altro principio è quello del no creditor worse off: nessun creditore deve perdere più di quanto gli accadrebbe in caso di fallimento della banca che, però, ha patrimonio netto positivo e possibilità di rimborso al 100 per cento.
I 40 mila acquirenti dell’Upper tier 2 emesso nel 2008 non potevano essere trattati meglio degli altri in base a una differenza fra investitore retail e il cosiddetto high street investor che va vista caso per caso su decine di migliaia di conti titoli e ha già mostrato la corda nei casi delle quattro banche in crisi (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara). Comprare un bond junior a 50 mila euro non significa essere nella categoria di Warren Buffett e un’emissione lower tier 2 può essere in mano a un gambler oppure a un pensionato, magari altrettanto avido. Inoltre, solo 4 mila dei 40 mila sottoscrittori dell’Ut2 a 1000 euro il pezzo hanno tenuto nel cassetto l’obbligazione dal 2008. Gli altri l’hanno messa sul mercato. Chiunque può averla comprata sulle piattaforme Mot o Etlx e trovarsi premiato dallo Stato.
Chi ha giocato alla lotteria del 23 dicembre ha scommesso che anche i bond della Veneto, della Carige e della Popolare Vicenza avranno lo stesso trattamento di quelli Mps, pena un’ondata di cause di risarcimento, anche se alla riapertura del 27 dicembre i subordinati sono tornati a scendere di prezzo dopo che la Bce ha portato da 5 a 8,8 miliardi di euro l’aumento Mps.
Questa altalena si poteva evitare. Per mesi i manager e i consulenti di Mps hanno detto che oltre alla cessione dei crediti deteriorati e alle conversioni degli obbligazionisti, andato oltre ogni aspettativa a quota 2,45 miliardi di euro, era indispensabile chiudere il cerchio con un anchor investor, un privato che mettesse fino a 1,5 miliardi di euro.
Per Jp Morgan e Mediobanca, le due banche d’affari incaricate di garantire l’aumento di capitale, era in gioco una commissione mostruosa a rischio zero: 550 milioni di euro, pari all’11 per cento dell’aumento di capitale chiesto allora dalla Bce. Non solo. Il contratto originale consentiva alle due merchant di incassare anche senza il buon fine dell’aumento di capitale. Lo ha rivelato l’ad Mps Marco Morelli al Sole 24 ore: solo grazie a lui è stata annullata questa clausola capestro.
Ma anche lui ha cercato fino alla fine il fantomatico anchor investor fra la Qia (Qatar investment authority, il fondo sovrano degli al Thani), George Soros, un consorzio di undici banche europee o altri investitori coperti come nel caso della proposta di Corrado Passera, rigettata dal cda della banca. Nessuno dei pretendenti ha mai confermato.
Alla fine la Bce si è stancata e ha negato l’ennesima proroga chiesta dai manager del Monte dopo il referendum del 4 dicembre, quando presumibilmente è bastata una telefonata in Qatar o a Soros per sentirsi dire: non siamo interessati. Lo sono mai stati?
Il presidente di Mps, Alessandro Falciai, è certo di sì e ha così spiegato la sparizione dell’anchor in un’intervista al Corriere della sera del 24 dicembre. «È innegabile che gli investitori istituzionali scottati dall’esito del referendum sulla Brexit, dalla poco prevedibile vittoria di Trump in Usa, ponessero il problema di capire come poteva evolvere la situazione post referendum in Italia».
È evoluta così: continuità di governo assoluta, stesso ministro dell’Economia, indice di Borsa che dopo il 4 dicembre è cresciuto di circa il 20 per cento in tre settimane, uno spunto che non si vedeva da parecchio. Le otto banche che dovevano fallire secondo il Financial Times, Mps incluso, sono ancora aperte. La vittoria di The Donald ha fatto schizzare tutti gli indici di Wall Street, con una crescita nell’indice settoriale delle banche da 75 a 93 punti. E sei mesi dopo Brexit non risulta che, salvo la svalutazione della sterlina, ci siano tumulti per il pane nelle piazze del Regno Unito.
La vicenda Mps è ancora lontana da una conclusione. Da qui a qualche mese i bond convertiti in azioni saranno negoziabili. Si spera che non ci siano nuovi crolli e che l’istituto senese possa essere risanato e di nuovo privatizzato, magari con un profitto dello Stato come negli Usa con le nazionalizzazioni post-subprime.
Tornando alla questione posta all’inizio: il governo poteva intervenire prima? Certo. Secondo alcuni, il decreto di salvataggio di Mps era pronto a giugno.
Perché aspettare allora? Per esempio, perché il referendum è stato caricato di valenze finanziarie che non ha mai avuto. Eppure era improbabile che gli investitori istituzionali fossero messi in fuga dal permanere del Cnel. Oltre a questo, c’era il provincialismo dell’americano a Roma, il personaggio di Alberto Sordi che vuole essere più a stelle e strisce degli stessi Usa. Quindi, mercato mercato e ancora mercato, anche se Barack Obama ha messo in sicurezza il sistema creditizio con fondi pubblici.
È stata una catena di gesti spregiudicati e di incompetenze, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore c’è stato dolo. Non una novità nella gestione Monte Paschi degli ultimi dieci anni.
Fonte: L'Espresso
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