di Chiara Saraceno
Quando le mie figlie avevano cinque anni mi chiesero di aiutarle a scrivere una lettera alla Rai perché si erano accorte che «al telegiornale parlano solo uomini e nei cartoni le donne o sono cattive o devono essere salvate da un uomo». A quasi quarant’anni di distanza le cose non sembrano cambiate di molto, nonostante oggi ci siano molte più giornaliste, anche nei telegiornali. L’ultimo esempio viene dall’iniziativa di un grande giornale nazionale. Per festeggiare i propri 150 anni «La Stampa» ha chiesto a 51 «personalità di rilievo internazionale» di scrivere come vedono il futuro.
La prima cosa che balza all’occhio è che tra questi magnifici 51 solo quattro sono donne: le «ovvie» Angela Merkel e Hillary Clinton più Lindsey Vonn e Bebe Vio, due politiche e due sportive. Punto. Nessuna giornalista, scrittrice, economista, filosofa, scienziata, imprenditrice.
È normale che la scelta di chi selezionare per questo compito sia largamente discrezionale e guidata da criteri di notorietà. Meno normale è che ancora nel 2017, quando si individua tra «le personalità» cui vale la pena dar voce su come va o dovrebbe andare il mondo, si «vedano» pressoché solo uomini. Come se nulla fosse mutato in questi anni, come se le donne, salvo qualche rara eccezione, fossero sempre e solo in cucina o a fare i bassi servizi o la spalla a uomini potenti. Come se non avessero nulla da dire su questo mondo che, questo sì, è ancora troppo governato da uomini, con risultati certamente non ottimi. Me lo ha fatto rilevare indignata una mamma che avrebbe voluto utilizzare l’inserto per parlarne con i suoi bambini, un maschio e una femmina, e si rifiuta di proporre loro una immagine in cui quasi solo uomini sono presentati come importanti, e perciò degni di ascolto. Eppure non mancano donne «di rilievo internazionale» che potrebbero dire e dicono cose interessanti su molti aspetti del presente e del futuro: da Fabiola Gianotti ed Elena Cattaneo per la scienza, a Martha Nussbaum e Seyla Benhabib per la filosofia e la politologia, Christine Lagarde, Melania Mazzuccato e Loretta Napoleoni per l’economia, Svetlana Aleksievic e Alice Munro per la letteratura, Marissa Mayer e Sheryl Sandberg per il settore del digitale, Inge Feltrinelli per l’editoria – per fare solo alcuni nomi ovvi. Ma la lista sarebbe lunga.
Non si tratta di un banale infortunio. Piuttosto è la dimostrazione di quanto persista nel nostro Paese l’invisibilità delle donne nella scena pubblica quando si tratta di fornire analisi e dare opinioni. Chi controlla la comunicazione e quindi contribuisce alla narrazione e all’immagine della società è ancora in larga misura di sesso maschile. Anche se il 48% dei conduttori dei Tg in prima serata è donna, come documenta l’ultimo rapporto dell’Osservatorio di Pavia, le direttrici delle news si contano sulla punta delle dita e così le conduttrici di talk show non di intrattenimento. E uno dei ruoli in cui le donne sono meno visibili è proprio quello degli opinionisti, nonché dei portavoce di associazioni e partiti. Ad esempio, il 30% di donne in Parlamento scende al 17% di presenza in televisione. La figura dell’esperto resta un appannaggio quasi esclusivamente maschile. Solo come vittime o come rappresentanti dell’«opinione comune» (la «casalinga di Voghera») le donne trovano ampio spazio nella narrazione pubblica e in pubblico: sono il 51% fra le persone interpellate come voce dell’opinione popolare, il 45% dei narratori di esperienze personali, il 42% dei testimoni di eventi, e appaiono come vittime più del doppio degli uomini (16% rispetto al 7% degli uomini, nei Tg).
Va detto che l’Italia è in buona compagnia. Secondo i dati dell’Osservatorio di Pavia anche in Inghilterra, Francia e Germania le cose non vanno molto bene, ma stanno migliorando più in fretta che in Italia, dove la situazione sembra invece in stallo. Del resto, è passato del tutto sotto silenzio il fatto che l’AgCom, che dovrebbe controllare la correttezza dell’informazione, è composta esclusivamente da uomini. Difficile che si accorgano dello squilibrio di genere non solo in chi comunica ciò che avviene in società, ma in che cosa è comunicato.
Del resto, anche tra gli studiosi le cose non vanno molto meglio. Nell’Accademia dei Lincei le donne sono pochissime ed entrano con il contagocce. Non molto diversa la situazione nelle Accademie delle Scienze. Quando di tratta di riconoscere il merito e la qualità della ricerca, i guardiani dei cancelli sono sempre singolarmente ciechi rispetto al genere. Non perché non ne tengano conto, ma perché vedono quasi solo il proprio.
Per quella mamma indignata, come per me quarant’anni fa, la strada per comunicare ai suoi figli una visione diversa delle donne è ancora molto in salita.
Fonte: rivistailmulino.it
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