di Michele Prospero
Più di ogni analisi politologica, ciò che in effetti è oggi diventato il Pd lo svelano le immagini che hanno inaugurato la direzione. In onda, come solenne momento di apertura dei lavori, vanno le note di una canzonetta di Sanremo e l’inno di Mameli. E’ anche da questi particolari che si vede l’inconsistenza di un soggetto politico. Un non-partito, a bassa intensità ideale e privo di ogni connessione sentimentale con un progetto di società, può permettere ai dirigenti di cimentarsi su queste incolori esibizioni canore. Che antiche questioni di identità siano irrisolte lo conferma anche la scelta di Renzi di lasciare trapelare, per le prossime elezioni francesi, la sua simpatia per il candidato moderato Macron, benedetto dalla finanza.
Il segretario del Pd ha infatti condannato senza infingimenti, raffigurandolo quasi come un pericoloso sovversivo, il candidato ufficiale del partito socialista. Per un partito che aderisce al Pse questa opzione a favore di una candidatura ostile non è una cosa banale. Ma certe sigle in Europa sono diventate delle parvenze, dei gusci vuoti.
Il segretario del Pd ha infatti condannato senza infingimenti, raffigurandolo quasi come un pericoloso sovversivo, il candidato ufficiale del partito socialista. Per un partito che aderisce al Pse questa opzione a favore di una candidatura ostile non è una cosa banale. Ma certe sigle in Europa sono diventate delle parvenze, dei gusci vuoti.
Anche nel suo non-partito, come già nel corpo elettorale, Renzi pare sempre più isolato. Molti suoi seguaci lo abbandonano in fretta. Lo irride in maniera pittoresca Emiliano. Lo infilza Orlando con un ragionamento più raffinato, con parole che sanciscono la chiusura dell’esperienza poco esaltante dei giovani turchi. Privo di una strategia politica (che è ben altra cosa dalla manovalanza con i nuovi media e non si esaurisce nel passaggio dalla sfortunata camicia bianca al maglione blu) Renzi non intende prendere atto della sconfitta irreparabile del 4 dicembre. E anzi, pronunciando un incredibile tanto peggio per i fatti, si presenta come il leader del 41 per cento che rivendica gesti di riconoscenza dal suo partito.
La sua scommessa disperata è di distruggere le minoranze interne, di accelerare la convocazione dei gazebo (per giocarsi tra i passanti la leadership con qualcuno del campo aperto agognato da Pisapia) e poi costringere Gentiloni alla resa. Una follia. La riesumazione di luoghi, procedure e riti del bipolarismo non ha senso alcuno nella nuova stagione politica. Con la sentenza della Consulta sono da archiviare le scenografie del bipolarismo mediterraneo che con le primarie va alla ricerca della incoronazione della leadership. Con la sua ostinazione a ripetere cose ormai in disuso, Renzi è un episodio del passato che ostacola la ricostruzione dei nuovi equilibri di sistema.
La minoranza del Pd riuscirà a rimandare il voto ad oltre l’estate ma questo aiuto del calendario non basterà a risolvere la questione Renzi, cioè di un non-partito senza idee (e per questo irresponsabile) ostaggio dei capricci di un capo alla deriva. Alla voce molto forte di Bersani in direzione si è aggiunta quella sin troppo conciliante (per uno sfidante) di Speranza (che ha persino rivendicato il peccato originale, imperdonabile, di aver invocato con altri l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi come una salvifica diga contro il diluvio!). Certi richiami stantii alla “comunità” da preservare, che risuonano negli interventi di Speranza e anche di Cuperlo, appaiono surreali, vista la reale configurazione del Pd, che non è proprio una casa comune.
La direzione del Pd sembra essersi conclusa, sul piano tattico, con un pareggio. La minoranza ha ottenuto lo spiraglio di uno spostamento dei tempi dello scioglimento delle camere e Renzi ha visto confermato i ciechi vincoli di obbedienza e con l’uso intimidatorio dei numeri può continuare a sognare la resa dei conti con Gentiloni. Si è trattato di un pareggio che però ha un vincitore in quanto ratifica la situazione di vantaggio già accumulata da Renzi che non si dimette ma sfida, offende, provoca. Con l’assemblea nazionale plaudente egli potrà precisare i passaggi della sua sfida al mondo per la resurrezione immediata.
Il problema reale, che tutto lo stile grottesco e arrogante renziano solleva, è trasparente. Non si può costruire “un campo” con il Pd, che appare come un non-partito sotto sequestro su cui incombe la insana volontà di reconquista della cricca di Rignano. E’ evidente che, proprio quando è in corso una guerra aspra e definitiva, chi propone di stipulare comunque l’alleanza con il pd, senza neppure aspettare l’esito della belligeranza, non porta certo munizioni ai ribelli. Anzi, il richiamo a un campo aperto contribuisce a stritolare gli insubordinati. Le sinistre del Pd devono però sciogliere le esitazioni, prima di condannarsi all’irrilevanza. Costruire con altre forze già in movimento una nuova sinistra alternativa al sistema di potere renziano o rassegnarsi all’impotenza dei prigionieri sottoposti alle vendette di un capo pericoloso incoronato da un congresso farsa. Non ci sono alternative.
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
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