La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 febbraio 2017

Disoccupati zero? È l'Italia che sogno. Intervista a Marco Rondina, studente

Intervista a Marco Rondina di Maurizio Crosetti 
Lui è il ragazzo con la cravatta rossa. Quello che all'inaugurazione dell'anno accademico del Politecnico ha detto che la disoccupazione è a zero, l'università è gratis, il numero chiuso non esiste più e il welfare una meraviglia. Scherzava, provocava. Forse sognava. Si chiama Marco Rondina, ha 22 anni, è pesarese. Segnatevi il nome: un giorno forse lo troverete su una scheda elettorale.
Marco, il suo video è virale.
"Una soddisfazione, non era neanche un video di gattini".
Ha parlato di rinascimento universitario: pura utopia?
"Non credo. È una cosa possibile, la società e il mondo del lavoro pretendono un'università migliore".
In cosa, questa, non lo è?
"Abbiamo la seconda tassazione più costosa d'Europa dopo l'Olanda. E la cosiddetta riforma della buona scuola ci ha ignorati del tutto. Oddio, visto com'è andato il resto forse è stato un bene".
Ma il Politecnico di Torino non è un'eccellenza?
"Lo è, però non può rappresentare l'intero sistema. Il problema dello spazio è drammatico: 11 mila studenti alle pre-iscrizioni, 5 mila ammessi. Non sapevano dove metterli. Forse costruiranno casette prefabbricate nel parcheggio, come per i terremotati. Non esiste neppure un microonde per scaldarci il pranzo, ed è difficilissimo trovare posto in aula studio".
Il numero chiuso non seleziona verso l'alto?
"No, esclude persone che sarebbero perfettamente in grado di completare il loro percorso. In Italia l'accesso culturale è solo teoricamente libero".
Lei quanto paga di tasse?
"Non molto, circa 500 euro perché la mia famiglia ha un basso reddito. Papà è un informatico disoccupato, mamma fa la postina a Pesaro. Resta il fatto che l'università è considerata una specie di bancomat alimentato dalla base".
Voi studenti credete nelle riforme?
"Sempre meno, perché manca una chiara volontà politica. E dire che non sarebbero neppure così complesse".
Come ha preparato il suo discorso?
"Volevo provocare lo spiazzamento iniziale. In queste cose, il primo minuto è tutto".
All'inizio sembrava che lei dicesse sul serio, raccontando come reale il migliore dei mondi possibili.
"Infatti mi sono arrivate reazioni del tipo "accidenti che paraculo che sei", ma il mio era solo uno stratagemma retorico".
Mica male come comunicatore. A proposito, lei che è di sinistra cosa pensa di Renzi?
"L'ho votato una sola volta, quando ha perso le primarie. Sul comunicatore niente da dire, ma anche Berlusconi lo era. Sul resto, penso abbia perso la grande occasione di un vero cambiamento".
Perché i giovani lo hanno lasciato?
"Perché il jobs act ha fatto passare il concetto che la precarietà sottopagata sia normale. La maggiore flessibilità non ha certo portato maggiore occupazione, abbiamo solo perduto diritti. Una drammatica asta al ribasso".
Lei cosa vota?
"A sinistra, certo, ma ho perso il filo su chi possa davvero rappresentarci".
All'università come siamo messi ad antipolitica?
"Sempre più diffusa, e questo mi rattrista. Ormai è come se l'ideologia fosse sinonimo di faziosità".
Invece?
"Invece, se cedi sugli ideali sei perduto. La sinistra lo ha fatto, cercando un consenso centrista di voti che non ha tenuto. Eppure quell'elettorato esiste, è vivo, solo che non trova voce. Per questo la sinistra si è allontanata dalla sinistra".
Ma lei di mestiere farà l'informatico o il politico?
"Cechov diceva: moglie medicina e amante letteratura... La passione politica scalcia e morde da quand'ero alle superiori".
Ovviamente rappresentante degli studenti.
"Ovviamente".
Ma ad esami come va?
"Un po' attardato, il 27 febbraio mi aspetta "sistemi operativi", un passaggio fondamentale. Mi sa che è meglio se stacco il cellulare".
Arrivati molti messaggi? Anche di politici?
"Anche, però i nomi non ve li dico. Uno di loro vuole incontrarmi".
Inviti in tv?
"Qualcuno, ma devo fare attenzione. Non voglio trasformarmi nell'icona dello studente che studia da politico".
A casa cosa dicono?
"Che sapevano che con le parole me la cavo bene. Mamma lo ha saputo mentre consegnava la posta in un bar: parlavano del mio video diffuso dal sito di Repubblica".
Marco, non teme che il suo discorso resti la proiezione di un sogno?
"Credo che qualunque studente e moltissimi professori vorrebbero l'Università che ho raccontato io. Non si tratta del solito pistolotto sul bene, non è ottimismo retorico: ci è bastato quello contro i gufi, e non ha funzionato granché".

Fonte: La Repubblica 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.