di Giuseppe Allegri
«La recente crisi economica, che ha esacerbato i rischi di povertà e di vulnerabilità, e le tendenze di più lungo periodo del capitalismo contemporaneo, con i connessi fenomeni di precarizzazione e distruzione di tante occupazioni, rendono sempre più centrale la domanda di come assicurare a tutti un reddito decente». Questa considerazione apre il capitolo conclusivo del prezioso volume dell’economista Elena Granaglia e della sociologa Magda Bolzoni, Il reddito di base, (Ediesse, pp. 230, 12 euro). Ed è il tema attorno al quale ruota l’intera ricostruzione proposta dalle due studiose: introdurre una qualche forma di reddito di base per compiere il passo decisivo in favore di un sistema di protezione sociale universalistica nel welfare state italiano che, unico tra i Paesi d’Europa, non prevede neanche uno schema di reddito minimo garantito.
A PARTIRE dall’articolazione del volume che si muove da una iniziale chiarificazione terminologica del termine polisenso «reddito di base», il volume «si muove in Europa» (secondo capitolo), insiste sulle «carenze dell’Italia» (terzo capitolo), per concludere con una comparazione tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito, che induce a riflettere sulle possibilità di attenuare le distinzioni tra queste due misure.
Granaglia e Bolzoni descrivono infatti un terreno comune del pensare e praticare una qualche forma di reddito di base inteso come (nuovo?) diritto sociale fondamentale. Il reddito di cittadinanza sostenuto ed affermato tanto come ius existentiae, diritto di esistenza, che come diritto di accesso alle risorse comuni, secondo nobili e storicamente risalenti tradizioni filosofiche, giuridiche e istituzionali. Il reddito minimo garantito pensato e inserito nei sistemi di Welfare come diritto all’inclusione sociale: «il diritto a non essere costretti a vivere in povertà».
ECCO SVELATO il comune fondamento: «disporre di un reddito di base, sia esso nella forma di reddito di cittadinanza o in quella di reddito minimo, rientra a pieno titolo nei diritti di cittadinanza». È l’idea di una cittadinanza sociale in cui la previsione di un reddito di base promuova l’indipendenza delle persone e un nuovo rapporto fiduciario tra individui, società e istituzioni. Tanto nel caso del reddito di cittadinanza, in cui questo reddito di base, universale e incondizionato, è indirizzato a tutta la popolazione, indipendentemente da altre valutazioni. Quanto per il reddito minimo garantito in cui risulta previsto, sempre in prospettiva universalistica, ma solo per alcune condizioni a rischio di esclusione sociale e povertà relativa.
SIAMO AL CENTRO di una possibile nuova visione dei legami sociali, nella transizione dentro la quarta rivoluzione industriale, quella digitale, della seconda età delle macchine. Granaglia e Bolzoni indicano come il ragionare dell’introduzione di un reddito di base divenga lo strumento intorno al quale ridefinire le responsabilità delle istituzioni pubbliche, accanto a quelle del mercato e delle imprese. Da un lato si tratta probabilmente di tornare a pensare – e rendere operative – le basi per un nuovo equilibrio tra pre-distribuzione e redistribuzione, come premesse per calibrare interventi pubblici finalmente inclusivi ed efficienti. Dall’altra si tratta di situarsi all’altezza della sfida epocale che ci attende, quando «anche i robot rivendicano un reddito di cittadinanza», come recitava uno slogan che ha accompagnato la campagna referendaria svizzera in favore di un reddito universale. Il reddito di base come diritto. Tutto il resto verrà di conseguenza. Per questo anche la confusa classe dirigente italiana dovrebbe leggere questo agevole libretto.
Fonte: Il manifesto
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