di Franco Berardi Bifo
Nell’ultima settimana di gennaio sono stato ad Atene dove ho tenuto un seminario di tre giorni che aveva il titolo The destruction of Europe nell’ambito del programma di documenta14. Come forse sapete documenta si tiene ogni cinque anni, ed è la più importante manifestazione artistica europea (forse del mondo, per quel che ne so, con i suoi novecentomila visitatori, mentre la Biennale di Venezia ne ha trecentomila) e fin dall’immediato dopoguerra si tiene a Kassel, poco distante da Francoforte. Però non tutti sanno forse che quest’anno documenta ha trasferito i suoi uffici e gran parte delle esibizioni ad Atene.
Una scelta molto coraggiosa, chiaramente intesa a esprimere la solidarietà degli artisti e dei democratici verso il paese impoverito e umiliato dagli aggressori della finanza europea, e particolarmente dal gruppo dirigente ordo-liberista tedesco.
Una scelta molto coraggiosa, chiaramente intesa a esprimere la solidarietà degli artisti e dei democratici verso il paese impoverito e umiliato dagli aggressori della finanza europea, e particolarmente dal gruppo dirigente ordo-liberista tedesco.
L’opinione pubblica e la stampa tedesca hanno reagito con un certo fastidio: vogliamo indietro documenta, dicevano i manifesti attaccati nelle strade di alcune città tedesche, ma si doveva leggere piuttosto rivogliamo i nostri soldi. Documenta infatti sposta una notevole somma di denaro, che in gran parte viene destinato a pagare stipendi a giovani operatori greci piuttosto che tedeschi.
Ma la scelta di Adam Szymczyk, direttore di questa edizione e di Paul Preciado e degli altri curatori che hanno concepito lo spostamento ad Atene è coraggiosa per una seconda ragione, più complessa: l’ostilità esplicita o silenziosa di larga parte del mondo culturale e artistico ateniese.
“Prima ci mettete alla fame, poi venite qui a godervi l’estetica del naufragio che voi stessi tedeschi di merda avete provocato”. Questo è il sentimento di molti amici con cui ho parlato. E Yanis Varoufakis ha commentato: “Un’operazione culturale di tipo colonialista”. Molti la pensano così. Non condivido questo sentimento di ostilità verso gli artisti e i curatori che hanno deciso di spostare la loro attività, e una cospicua somma di denaro, ad Atene. Ma la capisco perfettamente.
Durante i miei giorni ateniesi, a parte l’attività seminariale che occupava quattro ore al giorno, ho cercato di capire quel che sta succedendo in città. Il sentimento che ho potuto riconoscere nelle parole e soprattutto nei tristi sorrisi e negli sguardi è naturalmente di amarezza e di rabbia disperata. La disperazione è l’effetto della violenza europea, quel che resta dopo l’estate del referendum, dell’entusiasmo, della vittoria, e poi dell’umiliazione. La devastazione sociale e la brutale espropriazione delle risorse sono visibili dovunque, ma soprattutto sono percepibili nel tono di voce con cui i compagni ateniesi mi parlano. Tutto è stato espropriato in nome della solidarietà europea: i porti greci sono stati privatizzati dai cinesi, l’elettricità è tedesca, le ferrovie sono italiane, 14 aeroporti sono tedeschi. La troika ha condotto una guerra coloniale contro il popolo greco e il risultato è la devastazione.
In questi giorni di fine inverno l’Unione europea comincia ad occuparsi dell’Italia con la stessa arrogante protervia con cui si è occupata di Grecia.
La troika - vera e propria giunta militar-finanziaria il cui compito è la distruzione della società europea - sta dedicando le sue attenzioni al debito italiano. Più lo paghiamo, più il debito aumenta, come dicono da anni tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca. La società è costretta a pagare un debito che è stato contratto dal sistema bancario, e quando un paese paga un debito ha meno risorse da investire, e di conseguenza il debito finisce per aumentare. E’ successo con la Grecia, che ora si trova di nuovo sotto pressione, con la richiesta di ridurre ulteriormente le pensioni già martoriate. E’ quello che succede con l’Italia, paese visibilmente agonizzante cui la spietata troika vuole succhiare ancora un po’ di sangue.
Quello che non capisco è se il gruppo dirigente europeo sia composto da idioti incapaci di intendere quello che stanno facendo, oppure da criminali che lo sanno perfettamente. Manuel Barroso, l’individuo che dirigeva l’Unione durante l’azione di violenza finanziaria contro la Grecia, divenne poi dirigente di Goldman Sachs appena si concluse il suo mandato. Questo mi fa pensare che il gruppo dirigente europeo sia composto di mascalzoni perfettamente consapevoli della loro missione, il violento trasferimento delle risorse sociali verso la classe finanziaria, e alla fine la liquidazione dell’Unione, sotto la formula “Europa a più velocità”.
Mascalzoni, non imbecilli, o magari anche mascalzoni imbecilli.
Nel passato, personalmente. ho creduto che salvare l’Unione europea fosse la cosa più importante, fino al punto di nascondere a me stesso la coscienza della sua funzione devastante. Ho creduto che se l’Unione si fosse sbriciolata, il sovranismo nazionalista avrebbe preso il sopravvento. L’ho pensato (sia pure con qualche incertezza) nel 2005, quando i cittadini francesi e olandesi votarono per un referendum sul tema della deregolazione del mercato del lavoro.
Come molti altri della sinistra europea ero convinto che occorreva a tutti costi salvare l’Unione, e quindi occorreva invitare i francesi e gli olandesi a votare “sì”, nonostante la consapevolezza del fatto che si trattava di appoggiare una scelta neoliberista.
La maggioranza dei cittadini francesi e olandesi votarono no a quel referendum, seguendo le indicazioni del Front National che oggi è il primo partito di Francia e rischia di vincere le elezioni presidenziali.
Non voglio dire che sia colpa nostra se i fascisti hanno preso il sopravvento, ma certo non abbiamo fatto niente per impedirlo, anzi abbiamo steso il tappetino rosso. E ora il fascismo dilaga. Ora l’Unione è un cadavere che la maggioranza degli europei disprezza perché appesta l’atmosfera. Il nazionalismo sovranista ha preso dovunque il sopravvento e presto la fine dell’Unione diverrà ufficiale. Nel frattempo Trump arresta e deporta. Il nazismo ha vinto, e stavolta al posto delle SS c’è il sistema bancario.
Mentre stavo ad Atene mi dissero che al Konservatori (un palazzo di marmo piuttosto malridotto) c’era una mostra che porta il titolo Flying on the abyss. Corsi a vederla. Non avrei dovuto correre perché il corridoio che sta davanti all’edificio è di marmo, ed era un po’ bagnato. Sono volato sull’abisso, e scivolando mi sono rovinato un ginocchio che ancora un po’ mi duole. Dentro mi medicarono, mi misero un cerotto e andai a vedere le opere di Marina Abramovic, Jenny Holzer, Alexis Akrithakis, Matthew Barney, Hans Bellmer, Lynda Benglis, John Bock, Louise Bourgeois, Heidi Bucher, e molti altri……
Cosa mi aspettavo da quella mostra lo potete immaginare, pensavo naturalmente che le opere fossero dedicate alla crisi sociale che le politiche finanziarie hanno provocato nel paese. Volare sull’abisso è un’espressione che rende perfettamente quello che sta capitando a greci italiani portoghesi, spagnoli, e molti altri grazie al nazismo finanziario e alla sinistra europea che al nazismo ha aperto le porte. Pensavo che la crisi sociale fosse al centro della mostra.
Sbagliavo. Non c’è alcun riferimento alla crisi sociale, perché genialmente i curatori Dimitris Paleocrassas e Maria Marangou hanno scelto di parlare della morte. La morte, il sepolcro di granito, la decomposizione della carne è il tema delle opere, dall’inizio alla fine.
L’ispirazione dichiarata viene dall’opera dello scrittore Nikos Kazantzakis che negli anni ’20 scrisse The Saviors of God che inizia con le parole:
"We came from an abyss of darkness; we end in an abyss of darkness: the interval of light between one and another we name life.”
Veniamo da un abisso di oscurità, finiamo in un abisso di oscurità. L’intervallo di luce tra l’un abisso e l’altro lo chiamiamo vita.
La mostra ha un carattere angoscioso e piuttosto claustrofobico: rimiriamo l’abisso e respiriamo profondamente per liberarci della paura dell’oscurità.
Evitando ogni riferimento al presente, le opere della mostra ci permettono di pensare che quando si spalanca l’abisso siamo costretti a scoprire che sappiamo volare. Oppure no?
Fonte: Alfabeta2.it
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