di Paolo Favilli
Il grande storico Fernand Braudel usava l’espressione «novità rumorosa» per indicare le «esplosioni» di superficie, quelle che producono solo «fumo ingannevole» di cui «a stento si vede la fiamma». Esattamente il recitativo cui assistiamo quotidianamente (ogni giorno una novità «decisiva» nelle manovre di posizionamento continuo delle correnti del Pd e di quelle della contigua «sinistra» convergente). Qualche giorno fa era «cambiato tutto», o comunque si era alla «vigilia di cambiamenti decisivi» (Arturo Scotto) perché D’Alema sembrava prossimo alla scissione e quindi alla costruzione di una zattera piuttosto capiente (10%?). Che appariva più sicura rispetto ai materiali un po’ instabili del «campo progressista» di Pisapia, proclamato «nuovo Prodi».
Ad ogni ora il suo «cambiamento radicale». Eppure nelle varie interviste rilasciate da D’Alema della invocata radicalità non c’è traccia. Caso mai la «novità rumorosa» riguarda l’evocazione dello spirito dell’Ulivo, una stagione politica di cui l’ex presidente del consiglio rivendica, giustamente, di essere stato uno dei padri fondatori in continuità con i governi di Ciampi e di Amato. Protagonista, dunque, di una lunga stagione politica che ha fondato le basi strutturali, quelle sì profonde, degli equilibri economico-sociali su cui oggi siamo assisi. «Seduti su una polveriera», secondo le sue stesse parole (la Repubblica, 9 febbraio).
Quanto poi alla «radicalità» del «nuovo Prodi» non sembra andare al di là della «radicalità» del vecchio. Nelle molte parole che, in questo periodo, Pisapia spende per illustrare le qualità del «progressismo», non c’è molto che ci possa far comprendere quali siano i lineamenti di un’inversione della direzione. C’è però anche chi, come il ministro Andrea Orlando proponendo una «Bad Godesberg per il Pd», per il «riposizionamento» politico (il termine è di Orlando) del Pd. Ora «riposizionamento» e Bad Godesberg Grundsatzprogramm sono concettualmente antitetici. Il programma fondamentale di Bad Godesberg non ha niente a che vedere, come invece sostiene Orlando, con un «cambio di piattaforma e di riferimenti ideali» (Huffington Post, 9 febbraio). Il cosiddetto rifiuto del «marxismo» ha carattere contingente, non analitico.
Nel programma del 1959, vista la peculiarità della situazione tedesca, il silenzio su Marx è scontato. La figura di Marx campeggia sulle insegne del nemico, ed il clima è quello nell’ambito del quale, appena due anni dopo, sarà innalzato il muro di Berlino. Il Programma, però, al di là delle necessarie vaghezze «filosofiche» sulle quali si basa assai spesso il giudizio odierno, è estremamente chiaro per quel che concerne l’idea di società della Spd ed i compiti che la Socialdemocrazia intende assumersi per riformarla in profondità. Per i socialdemocratici tedeschi nel 1959 le tendenze in atto nel mercato autoregolato sono quelle ad una concentrazione economica che si accompagna ad una concentrazione del potere politico, del «potere sugli uomini». La proprietà privata dei mezzi di produzione «ha diritto ad essere protetta» ma solo «fintanto che essa non ostacola la costruzione di un ordine sociale giusto». Compito della socialdemocrazia è quello di «impedire il controllo privato del mercato», e dunque, a tal fine «la proprietà collettiva è una forma legittima di controllo pubblico». Tutto questo per un obbiettivo di società in cui «da subalterno dell’economia, il lavoratore in cittadino dell’economia». Nel programma di Bad Godesberg, insomma, sono ben presenti lineamenti derivati da due fondamentali aspetti della analisi marxiana: il capitalismo come formazione economico-sociale storica e una teoria critica di quella formazione.
Si tratta, quindi, della riproposizione delle ragioni storiche fondanti della Spd in un contesto in cui sono necessari mutamenti tattici.
Le ragioni fondanti del Pd, al di là di come Renzi le ha interpretate e tradotte in politica, in decisioni politiche, sono il rovesciamento della piattaforma del Programma fondamentale di Bad Godesberg. D’altra parte Bersani, nella recente assemblea della Direzione del Pd, ha ribadito che il suo partito non deve mettere in discussione la scelta di fondo degli anni ’90, ma semplicemente adeguarla ad una nuova fase. E la scelta degli anni Novanta si è configurata proprio come un radicale mutamento di campo.
Senza un impossibile nuovo rovesciamento, dunque, le proposizioni di Orlando rischiano rientrare nell’ambito delle «novità rumorose».
Fonte: Il manifesto
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