La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 febbraio 2017

Disuguaglianze

di Susanna Cressati
Nel corso delle presentazioni pubbliche del libro che Simone Siliani ed io abbiamo scritto (Enrico Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente, Maschietto Editore, Firenze 2016) non manca mai chi sottolinea la distanza che separa, sotto molti profili, il mondo in cui il leader comunista operava e gli attuali scenari dell’umanità. Considerazione ovvia e condivisibile. Stavolta però vorrei sottolineare qualcosa che, nonostante i decenni trascorsi, accomuna i due universi: le diseguaglianze che segnano il mondo.
Secondo il rapporto Oxfam “Un’economia per il 99%”, presentato recentemente al World Economic Forum di Davos otto super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Secondo la Ong la forbice tra ricchi e poveri “si sta estremizzando oltre ogni ragionevole giustificazione”, grazie al ricorso a “pratiche di elusione fiscale, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e usando il loro potere per influenzare la politica».
«In tutto il mondo», ha dichiarato Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia, «le persone vengono lasciate indietro. Alla logica della massimizzazione dei profitti, si contrappone una realtà di salari stagnanti e inadeguati, mentre chi è al vertice viene gratificato con bonus miliardari. I servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, ma a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco. La voce del 99% rimane inascoltata perché i governi mostrano di non essere in grado di combattere l’estrema disuguaglianza, continuando a fare gli interessi dell’1% più ricco: le grandi corporation e le élites più prospere».
Da più parti si è rilevata la necessità di maneggiare con una certa cautela i dati utilizzati da Oxfam e si è sostenuto come non vada trascurato il fatto che negli ultimi anni, nel mondo in via di sviluppo, un numero sempre maggiore di persone è uscito dalla povertà. Tuttavia quello della disuguaglianza, o per meglio dire “delle disuguaglianze” resta, anche nel nostro paese, uno dei temi più scottanti e sentiti. A sinistra e non solo.
Se si potesse comporre una “tag cloud”, una rappresentazione visiva delle parole-chiave usate da Enrico Berlinguer nei suoi discorsi e nei suoi scritti, non dubito che la parola “diseguaglianza” risulterebbe tra le più evidenti. Berlinguer non ha tralasciato occasione per insistere su questo tema, per denunciare le disuguaglianze tra popoli ricchi e popoli poveri che lo spingevano, sottolineando l’interdipendenza dei problemi dell’umanità, ad auspicare un nuovo ordine economico internazionale. Da leader politico votato al cambiamento delle cose esistenti, non ha mancato di chiamare alle loro responsabilità i difensori dell’ordine economico e sociale esistente (“There is no alternative”, proclamava Margaret Thatcher) e di denunciare gli effetti di un capitalismo che produce una società “sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze” (Roma Teatro Eliseo, 1977). Ne sappiamo qualcosa, anche noi oggi. Ne fece una battaglia così intensa e rigorosa che perfino un vescovo, Luigi Bettazzi di Ivrea, gliene dovette dare atto nella famosa lettera del 1976, in cui riconosceva che all’impegno dei comunisti per la giustizia e l’uguaglianza, all’aver tenuta alta questa bandiera, erano dovuti la popolarità e il successo del partito guidato da Berlinguer: “Tanti, soprattutto operai, immigrati, diseredati, guardano a voi come a una speranza di rinnovamento, in una società. in cui essi non trovano sicurezze per il loro lavoro, per i loro figli, per una loro sia pur minima influenza nelle decisioni che coinvolgono tutti”.
“La sinistra – disse Berlinguer a Luigi Pintor nell’intervista pubblicata dal Manifesto il 22 giugno 1983 – ha fatto bene a disfarsi dei vecchi miti, a riaffermare la sua piena laicità, ma non può vivere e non può vincere senza valori ideali, che sono poi quelli di cui il movimento è portatore da sempre – pace, giustizia, eguaglianza, lavoro sapere, solidarietà – ma che hanno bisogno di essere diversamente pensati e tradotti, perchè si applicano a una realtà diversa. Devono ridiventare anch’essi senso comune”. Un invito, quasi un imperativo che, per la sinistra di oggi, mantengono tutto il loro straordinario valore.

Fonte: largine.it 

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