di Goffredo Adinolfi
Il Portogallo stupisce tutti. Il governo della Geringonça (traducibile con raffazzonato, fatto male) come spregiativamente è stato definito dal centro-destra, riceve oggi numerosi elogi da varie, e insospette, testate giornalistiche come, ad esempio, il Washington Post. L’esecutivo guidato da António Costa, come è più o meno noto, è un monocolore formato dal Partido Socialista, che può contare sull’appoggio parlamentare del Ps, come è ovvio, del Partido Comunista Português e del Bloco de Esquerda.
Il sistema elettorale proporzionale, anche se con qualche correttivo, ha fatto sì che dalla consultazione del 2015 non uscisse un vincitore e quindi, com’è(ra) tradizione nei sistemi parlamentari, la maggioranza la si è dovuta trovata all’Assembleia da Republica. La forza politica più votata era stata Portugal á Frente, centro-destra, e se ci fosse stato il Porcellum Pedro Passos Coelho avrebbe continuato a governare per altri 4 anni.
Secondo il mantra comune l’elezione diretta, o quasi, del premier, garantirebbe livelli più elevati di congruenza tra élite politica e cittadini perché appunto non esisterebbe un travisamento della volontà generale da parte dei partiti (normalmente per definire un accordo tra partiti viene usata la qualunquistica parola «inciucio»).
Quel che ci dice l’esperienza portoghese contrasta, per il momento, questa logica. A distanza di un anno i sondaggi ci mostrano chiaramente come l’appoggio dell’opinione pubblica al consolato Costa sia in costante ed in esponenziale crescita (nonostante buona parte dei mass media remino contro). Se nel gennaio del 2016 il distacco tra i poli di destra e di sinistra era di poco meno di 10 punti percentuali, recenti sondaggi ci mostrano come ora questo distacco sia salito al 27%! Efficienza: tutti gli indicatori economici sono positivi, anzi, la commissione europea rivede al rialzo le previsioni di crescita del prodotto interno lordo e, quindi, un miglioramento netto del deficit. Cioè, in sostanza: aumentano i giorni di ferie, aumentano gli investimenti nel welfare, aumenta il salario minimo e diminuisce la disoccupazione senza che si apra un conflitto né all’interno della maggioranza né con l’Unione europea.
Il Portogallo ci insegna che per generare consenso non è necessario “comprarsi” gli elettori allargando le “maglie” della spesa pubblica (altro assioma molto qualunquista) ma che molto più semplicemente, basta ridistribuire i carichi fiscali cercando di trovare risorse per proteggere i ceti più deboli.
In definitiva questo significa che il populismo, cioè il richiamo diretto ai cittadini in un quadro meno segnato dalla democrazia rappresentativa e liberale, non è l’unica via di uscita dall’impasse (sia da destra che da sinistra s’intende), ma che modelli di azione politica più tradizionali, attraverso partiti politici strutturati, si possono ugualmente interrompere i processi di erosione di fiducia che l’opinione pubblica ha nei confronti dei propri governanti. Basta che questi ritornino a parlare dei problemi quotidiani che le persone si trovano a dovere affrontare. Dopotutto questo è l’assioma base della teorizzazione laclauniana: le domande sociali quando non trovano risposta all’interno del regime democratico rappresentativo devono trovarla altrove.
Fonte: Il manifesto
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