di Marco Consolo
L’annuncio dato mercoledì scorso dal Governo colombiano e dalla guerriglia delle FARC-Ep ha riaperto le speranze di mettere fine al conflitto che insanguina il Paese latinoamericano da più di mezzo secolo.
A La Habana, al fianco di un sorridente e soddisfatto Raul Castro, sono apparsi stringendosi la mano, il Presidente Colombiano Juan Manuel Santos e il Comandante in capo delle FARC-EP, Timoleon Jimenez, conosciuto come “Timochenko” che ha preso le redini dell’organizzazione guerrigliera dopo la scomparsa dell’anziano leader Manuel Marulanda.
Non si tratta ancora della fine della guerra. Ma dopo tre anni di dialogo e di negoziati a Cuba, governo e guerriglia hanno appena raggiunto un accordo su uno dei punti più spinosi del negoziato, quello relativo all’istituzione di una “Giustizia di transizione” che darà vita a un sorta di “Tribunale speciale per la pace” con il compito di “terminare con l’impunità, ottenere la verità, contribuire alla riparazione delle vittime e ad imporre sanzioni ai responsabili di gravi delitti”.
In questi anni di dialogo si sono raggiunti accordi su diversi altri punti: sviluppo agrario, partecipazione politica dei guerriglieri smobilitati, lotta contro le coltivazioni illecite. Tra i temi ancora in discussione, rimangono il risarcimento delle vittime, i meccanismi di implementazione, verifica e ratifica degli accordi.
I negoziatori del governo hanno promesso di “mettere il piede sull’acceleratore” per chiudere definitivamente il conflitto armato entro Marzo del 2016. Ed anche secondo il comandante guerrigliero Pablo Catatumbo, “sei mesi sono il tempo necessario per avere garanze sufficienti per potere dare il passo e trasformare l’organizzazione armata in un movimento politico”.
Nel 1990, con la firma della pace con un altro gruppo guerrigliero, l’M19, si arrivò all’elezione di un’Assemblea Costituente. E nel 1991 fu firmata la pace anche con la guerriglia dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL).
Oggi, manca ancora all’appello il quarto gruppo guerrigliero, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), che da più di un anno ha iniziato un dialogo discreto con il governo Santos, di cui però ancora non si vede la fine.
I nemici della pace
Mentre piovono le congratulazioni del mondo intero per questo passo in avanti, l’estrema destra del narco-paramilitare ed ex-presidente Alvaro Uribe getta benzina sul fuoco, scommette sulla guerra ed è contraria a qualsiasi accordo “che favorisce l’impunità e provocherà nuove violenze”. Insieme all’oligarchia locale, anche importanti settori delle FFAA colombiane e statunitensi vedono come fumo negli occhi la fine del conflitto, che ridimensionerebbe il loro ruolo nella società colombiana e ne ridurrebbe il budget.
Come si ricorderà, anche nel 1985 era stato firmato un accordo di pace tra le FARC e l’allora presidente Belisario Betancourt, in base al quale la guerriglia aveva creato un importante movimento politico, l’Union Patriotica (UP), un movimento politico plurale e democratico. Attraverso la UP, l’obiettivo era permettere di poter esercitare un’azione politica legale ai guerriglieri amnistiati, con garanzie da parte dello Stato colombiano.
Tra il fervore e l’entusiasmo generato dal processo di pace, migliaia di colombiani provenienti da diverse organizzazioni politiche e sociali si avvicinarono alla UP. Nelle elezioni del 1986 questo fervore si materializzò in un importante risultato elettorale che permise alla UP di eleggere un gruppo parlamentare, decine di deputati regionali, sindaci e diverse centinaia di consiglieri comunali. La regione di Urabá, zona di forte produzione di banane destinate all’esportazione, fu una delle regioni in cui la UP divenne la prima forza politica. Ma il successo elettorale della UP scatenò la reazione violenta dell’estrema destra e iniziò da subito lo sterminio di questa nuova forza politica. Più di cinquemila tra dirigenti e militanti furono assassinati, tra cui due candidati alla presidenza, parlamentari, sindaci e consiglieri.
Rimane quindi aperta la questione dei meccanismi di protezione per la vita dei guerriglieri non più in armi, dato che in tutti questi anni le bande paramilitari, vero e proprio braccio armato del terrorismo di Stato, hanno continuano a perpetrare i loro crimini con una quasi totale impunità.
Ma al di là del negoziato sul silenzio dei fucili e sulle condizioni per la partecipazione politica legale, il punto centrale è la mancanza di giustizia sociale e le grandi diseguaglianze della società colombiana. Diseguaglianze garantite attraverso la brutale violenza del potere, causa principale del conflitto armato.
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