La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 29 settembre 2015

Il costruttore di democrazia

di Gianpasquale Santomassimo
Pie­tro Ingrao era cer­ta­mente una «brava per­sona». Come era una «brava per­sona» anche Ber­lin­guer, e Jova­notti lo atte­sta. Entrambi erano anche sim­boli di mora­lità nella poli­tica, e nes­suno può met­terlo in dub­bio. Ma Ingrao era, come Ber­lin­guer, un comu­ni­sta ita­liano, del Pci era stato uno dei diri­genti più popo­lari, ed era stato anche un costrut­tore di demo­cra­zia nella civiltà repub­bli­cana.
Oggi c’è molta ipo­cri­sia nel nascon­dere o smi­nuire que­sto dato cen­trale della sua vita, nel ricon­durlo a enne­simo san­tino della litur­gia di una «società civile» sgan­ciata dalla poli­tica o addi­rit­tura ad essa con­trap­po­sta.
Fu cer­ta­mente con­si­de­rato – e lui stesso si con­si­derò – «ere­tico»: ma all’interno di una comu­nità di donne e di uomini unita da ideali comuni, se pure decli­nati in forme diverse, di cui con­di­vise fino alla fine (ed anche oltre per pochi anni, a comu­nità ormai dis­solta) senso di appar­te­nenza e obbli­ghi, spesso gra­vosi, che lo por­ta­rono a com­pro­messi e sacri­fici che rap­pre­sen­ta­rono nel tempo un rovello mai inte­ra­mente pla­cato. Se si osserva con distacco la sua vicenda poli­tica, di là dalle leg­gende e anche dalle auto­rap­pre­sen­ta­zioni, emer­gerà il pro­filo di un poli­tico rea­li­stico, capace di porre pro­blemi e pro­porre solu­zioni. Dalla con­sa­pe­vo­lezza nei primi anni Ses­santa di una nuova fase aperta dal mira­colo eco­no­mico e dal cen­tro­si­ni­stra, che impo­ne­vano un ripen­sa­mento di tutti i ter­mini della lotta poli­tica e sociale del movi­mento ope­raio, alla bat­ta­glia del decen­nio suc­ces­sivo per un rin­no­va­mento com­ples­sivo delle isti­tu­zioni, fon­dato sulla cen­tra­lità del par­la­mento in vista di una nuova rela­zione fra Stato, popolo e trama delle assem­blee elet­tive locali, in spi­rito di fedeltà alla Costituzione.
C’era in que­ste bat­ta­glie la con­sa­pe­vo­lezza che la demo­cra­zia par­la­men­tare e costi­tu­zio­nale non era un dato acqui­sito per sem­pre, ma un patto tra isti­tu­zioni e popolo che andava rin­no­vato e rin­sal­dato men­tre all’orizzonte si pro­fi­la­vano nuove insi­die interne ed eterne che ne mina­vano il fon­da­mento: «come se stes­simo in bilico — avver­tiva nel 1977 — tra un salto di qua­lità verso una civiltà supe­riore e il pre­ci­pi­tare nella degenerazione».
Divenne col pas­sare del tempo sem­pre più sim­bolo di qual­cosa dif­fi­cile da defi­nire in ter­mini uni­voci (ma comun­que lie­vito e sti­molo per molti).
Si inne­stò e si sovrap­pose alla sua vicenda sto­rica una mito­lo­gia facile, fatta di luo­ghi comuni dif­fusi e da ultimo per­fino inte­rio­riz­zata da Ingrao mede­simo nell’ultima fase della sua lunga vita: l’enfasi sull’utopia con­trap­po­sta alla realtà (che aveva invece stu­diato e ana­liz­zato con sguardo mai banale), la fama di «acchiap­pa­nu­vole», di poeta e sogna­tore… Col che si rischiava di dimen­ti­care che il suo andare «oltre» la poli­tica, nel porre temi che essa abi­tual­mente non si poneva, non voleva essere con­trap­po­si­zione ma arric­chi­mento, offerta di una dimen­sione non imme­dia­ta­mente visi­bile a uno sguardo distratto ma che si poteva e doveva cogliere con uno sguardo lungo.
Dimen­ti­cando che «sca­vare nella pol­vere» fra le rovine delle torri fra­nate non può ser­vire a baloc­carsi model­lando castelli di sab­bia, che dal «gorgo» biso­gna dove­ro­sa­mente farsi tra­sci­nare — ma senza affo­gare — per rie­mer­gere infine su nuove sponde. Guar­dare sto­ri­ca­mente alla sua atti­vità poli­tica dovrebbe impli­care anche eva­dere dalle neb­bie dell’«ingraismo» dive­nuto gergo e maniera, della poli­tica ridotta a stato d’animo, inde­ter­mi­na­tezza pro­gram­ma­tica, elo­gio del «dub­bio» che non pre­lude a una nuova azione, ma si com­piace e si para­lizza in esso.
Nel modo cor­rente di ricor­dare Ingrao temo che oggi molta parte della sini­stra stia cele­brando e assol­vendo anche la pro­pria inconcludenza.

Fonte: il manifesto 

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