La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 30 settembre 2015

L'eclissi della notte, il giorno da ricostruire

di Francesco Esposito 
A volte l’intrinseca bellezza della vita è disarmante, al punto che risulta quasi spontaneo chiedersi se alcuni fenomeni naturali possano essere ridotti a coincidenze.
Sto parlando di un’eclissi: la luna si tinge di un rosso meraviglioso e quasi scompare, nella notte in cui uno dei suoi più attenti osservatori lascia questo mondo.
La luna si tinge del rosso che per cent’anni ha colorato Pietro Ingrao: il rosso del sanguinoso novecento, il rosso delle passioni più profonde, il rosso del comunismo e della sinistra.
Ho diciannove anni e vivo l’epoca della personalizzazione teatralistica della politica, della fine delle grandi narrazioni, del primato della finanza e dell’economia sull’umanità, della velocità come criterio di analisi del reale, dove l’unica alternativa pare essere – per tanti giovani – l’antipolitica. Vivo in un turbocapitalismo quasi dogmatico, in un turbocapitalismo che è e che, nella coscienza sociale, non potrebbe non essere, visto che l’Europa sta zitta quando Orban alza muri e costruisce barriere fra uomini ma provvede a distruggere ogni giorno soltanto l’idea che possa esistere un’alternativa alle folli politiche liberiste e di macelleria sociale degli ultimi lustri.
Ed anche questa è stata un’eclissi, forse. Una brutta eclissi. L’eclissi di una Politica che scompare. L’eclissi della politica con la P maiuscola, quella che Ingrao ha incarnato coraggiosamente fino all’ultimo secondo della sua vita. Quella stessa politica che nonostante tutto fa sognare anche giovani che, come me, Ingrao non l’hanno neanche vissuto.
La Politica come arte dell’impossibile, come sguardo curioso verso l’immensità del mondo, con i piedi piantati nelle realtà difficili delle periferie, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università.
Ingrao è stato la politica umile, ha incarnato la radicalità delle idee senza mai perdere disponibilità e tenerezza, senza la pretesa di avere ricette preconfezionate o verità assolute in tasca. Per tutta la vita ha camminato domandando, a differenza di tanti spocchiosi dirigenti che oggi, anche a sinistra, non cercano il confronto con nessuno e continuano a percorrere sentieri sbagliati senza accorgersi di non avere neanche un popolo alle spalle.
È questo, infatti, un altro insegnamento di Ingrao, che da Presidente della Camera dei Deputati provò ogni giorno a tener saldo il rapporto fra le istituzioni e le persone in carne ed ossa, aprendo il “Palazzo” alle difficoltà, alle sofferenze e alla partecipazione democratica degli ultimi della società, perché la politica senza popolo semplicemente non è, ed in un Paese dove va a votare il 30% degli aventi diritto sarebbe il caso di interrogarsi sull’autoreferenzialità disarmante di un pezzo di ceto politico che sta consegnando l’Italia al caos e all’antipolitica.
Oggi la sfida che ci lascia Ingrao è difficile, tanto difficile. Onorare la sua memoria non è solo presenziare ai funerali di Stato, o scrivere commiati drammatici sulle pagine dei quotidiani. Onorare la sua memoria significa incanalare i suoi insegnamenti e la sua eredità nel percorso politico che ci aspetta. Dobbiamo ricostruire la sinistra italiana a partire dal suo popolo, dalle sue classi sociali di riferimento, dalle periferie del Mezzogiorno e dalle macerie di una crisi terribile. E poi, soprattutto, ricostruire per questo popolo un vocabolario, un obiettivo, una narrazione. Ricostruire un sogno per cui gli uomini e le donne in carne ed ossa siano disposte in tutto il pianeta a riprendersi il futuro e gli spazi di democrazia.
Ci ha detto anche questo, il compagno Ingrao. Ce l’ha detto, prima che io nascessi, decantando la fecondità del dissenso nell’intervento di quel diciannovesimo congresso che ho riascoltato tante volte: “Rilanciare una ragione della sinistra ed una sua rimotivazione storica, qui ed ora, significa costruire risposte ai nuovi, essenziali, storicamente determinati, bisogni di autonomia, che possono collegare l’operaio e il tecnico della grande impresa automatizzata allo studente di Palermo, alla donna che chiede altri tempi di lavoro e di vita, sino al negro che lotta nell’Africa di Nelson Mandela.”
Impossibile? Può darsi. Ma il compito della politica è pensare l’impossibile e poi, magari, guardare alla luna, nella speranza di raggiungerla e di colorarla di rosso.
Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito.

Fonte: Esseblog

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