La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 11 febbraio 2016

Dal casinò bancario la nuova crisi







di Vincenzo Comito
Una terza idea che non funziona è quella che spiega gli andamenti del listino con ragionamenti esclusivamente razionali, legati all’andamento di un paese, di un settore, di un titolo. In realtà i valori di borsa sono spesso guidati dalla speculazione, dal panico, da ondate emotive, da voci incontrollate, dal programma sbagliato di un computer. Quindi, nel cercare di fornire una spiegazione razionale al pessimo andamento dei listini in questi giorni non siamo sicuri di centrarne le vere ragioni.
Le variabili in gioco 
Perché la situazione sembra precipitare e si parla di bancarotta, di panico, di debacle? Indubbiamente il questo momento prevale un senso di pessimismo sulle prospettive dell’economia mondiale. Quella Usa perde colpi e il pil dell’ultimo trimestre segna una crescita del solo 0,7% su base annua. E’ una pura coincidenza che tale risultato si sia manifestato subito dopo che la Fed aveva deciso di innalzare i tassi? Che abbia ragione Lawrence Summers che da tempo va predicando che l’occidente è ormai avviato ad una stagnazione secolare? Del resto proprio in queste settimane è uscito un corposo volume di un altro importante economista Usa, Robert J. Gordon, che conferma con dovizia di particolari l’ipotesi di Summers, almeno per quanto riguarda il suo paese. Uguali se non maggiori preoccupazioni desta l’andamento dell’economia cinese, diventata comunque un punto di riferimento persino più importante di quello statunitense; preoccupa, in particolare, il fatto che non si riesca ad interpretare il senso delle decisioni finanziarie di quel paese, sia per quanto riguarda la Borsa che lo yuan. Chi scrive ha una visione sostanzialmente positiva della sua economia, ma evidentemente questo non conta molto.
Aumentano i segnali di debolezza anche in Europa; gli ultimi dati tedeschi non sono confortanti, così come non appaiono confortanti, anche se erano forse prevedibili, i non brillanti risultati del cosiddetto job act da noi e mentre la situazione greca sembra di nuovo precipitare. In Europa, a fronte della latitanza dei governi, solo Draghi sembra cercare di lottare contro venti e maree, ma appare ormai chiaro che la politica monetaria non riesce da sola a produrre miracoli, né sul fronte dell’inflazione, né su quello dello sviluppo economico, degli investimenti o dell’occupazione. Intanto escono analisi preoccupanti sulla situazione: così il più autorevole commentatore del Financial Times, Martin Wolf, in un articolo di qualche giorno fa, invitava a prepararsi per la prossima recessione. Si possono aggiungere, a questo punto per sovrannumero, le preoccupazioni politiche sulla situazione dell’Africa e del Medio Oriente, con le relative code di immigrati e la sensazione generale che nessuno sia in grado, o abbia voglia, di mettere un po’ di ordine nelle cose del mondo.
Il settore bancario 
Il settore che sembra trainare maggiormente in giù i listini è quello bancario. Le cose vanno male negli Stati Uniti, dove alcuni dei principali istituti hanno perso circa il 30% del loro valore dall’inizio dell’anno. Sono cadute le speranze di un rapido aumento dei tassi di interesse, aumento che è sempre un buona notizia per le banche; si deteriora la qualità del credito, con il settore energetico in difficoltà che porta poi ad influenzare negativamente altri comparti; la caduta della fiducia nella crescita dell’economia porta poi di solito quasi automaticamente ad una riduzione dei valori nel settore finanziario. In Europa la cose vanno ancora peggio. Alle difficoltà di quelle italiane si aggiungono quelle delle banche tedesche; forse la notizia che in questi giorni ha contribuito di più a far precipitare le cose è l’apprendere che la Deutsche Bank ha perso nel 2015 6,8 miliardi.
Per quanto riguarda l’Italia appare ormai insensato affermare che il nostro sistema finanziario è sano. Una indagine dell’Eba, l’organismo incaricato della sorveglianza del sistema bancario dell’eurozona, segnalava che quelle italiane sono tra le meno redditive del continente, tra la meno capitalizzate e con un livello di crediti inesigibili pari a circa tre volte la media degli altri paesi. Il governo non è riuscito, grazie alla sorveglianza degli organi europei, a regalare ai padroni delle banche i soldi che servivano loro per tappare i buchi e la soluzione poi concordata con Bruxelles appare largamente inadeguata. Incidentalmente, per risanare la situazione servirebbero diverse decine di miliardi e la Borsa, forse per una volta tanto razionale, non riesce a sapere dove si troveranno tanti denari. Forse Renzi lo sa?

Fonte: il manifesto 

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